Missione del blog

Il Biri, il socio più anziano titolare della celebre Agenzia (*), ha l'abitudine, da anni, di annotare i suoi pensieri, le sue osservazioni e gli avvenimenti che gli accadono (anche i meno memorabili) in un taccuino che non mostra a nessuno e del quale è gelosissimo.
Ora, avuto il permesso di visionarlo, l'ho trovato per certi versi interessante (come tutto quello che concerne il Biri) e gli ho chiesto perché non lo pubblicasse in un blog. Impresa disperata: il Biri non sa usare nemmeno il telecomando del televisore, figuriamoci il computer! Impietosito ho deciso di aiutarlo e pertanto ecco qui il blog con le pagine del taccuino del Biri che potrete leggere e commentare ricordando sempre che il sottoscritto non si prende alcuna responsabilità del contenuto essendo il suo contributo solamente quello di una collaborazione tecnica e poco più.


Per saperne di più, leggere il post dal titolo: Ouverture.
R.M.

(*) L'Agenzia di Ascolto e Collaborazione Morale della quale parlerò appronditamente in un prossimo futuro su queste pagine.

Roberto Mulinacci

FESTIVAL

lunedì 22 febbraio 2010

Non avendo notizie del Biri da un sacco di tempo, decido di andare a trovarlo.
Suono il campanello: niente; risuono: nessuna risposta. Suono più a lungo (insomma, infilo il dito nel campanello e non lo levo più) e resto a vedere.
Dopo tre minuti buoni si sente borbottare qualcosa al citofono; la serratura scatta. Entro, salgo le tre rampe di scale che sollevano il Biri al di sopra del mondo di noi umani e lo vedo, lì, sulla porta, mezzo addormentato, con la barba lunga e senza occhiali (il Biri è cieco come una talpa).

"Beh?" mi fa (non con la voce; semplicemente unendo la punta delle dita della mano destra e muovendola poi velocemente per ben cinque volte in su e giù sotto il mento).
"Biri" rispondo al suo gesto ansimando (le scale..): "Non ti si vede più. Il blog è fermo, la gente mi ferma per la strada, mi chiede che fine hai fatto, se stai bene, se sei malato. Se sei morto."
Fa un gesto ampio con la mano e si scosta dalla porta per lasciarmi entrare. Si va nella sua stanza (il salotto, lo chiama lui), ci sediamo uno davanti all'altro. Lo osservo; mi guarda. Passano trenta secondi buoni prima che si degni di rispondere. Poi la sua bocca si schiude, un suono viene emesso. Una parola sola: "Festival".
Questa volta sono io a sembrare un deficiente, lo sento.
"Biri! Che significa? Non mi dirai che hai abbandonato il tuo impegno letterario e che non scrivi più gli articoli che danno linfa vitale al tuo blog, così seguito, così ammirato per... per seguire il... il Festival di Sanremo?" (volevo aggiungere: "quella schifezza del", ma non sapevo come la pensasse e per evitare scontri dialettici nei quali avrei avuto senz'altro la peggio ho preferito stare alla finestra (metaforicamente).
Sono passati almeno due minuti da quando mi aveva aperto la porta e adesso il Biri è perfettamente in sé. Disponendosi relativamente comodo sulla sua poltrona (sulla quale, oltre a lui, si trovano: un paio di occhiali - che inforca -, due telecomandi, il giornale "la Repubblica", il suo cellulare -spento -, due o tre biscotti e il gatto), inizia a parlare con l'atteggiamento di uno che ce n'ha per molto mentre il sottoscritto, conoscendolo, messomi attento e comodo per quanto possibile (il mio scranno non essendo altro che una scomodissima seggiola di fòrmica celestina) cerco di far mente alla torrenzialità degli argomenti bireschi che si apprestano a fuoriuscire dalla bocca del mio, fino ad allora taciturnissimo, amico.
Che parla così:
"Il festival di Sanremo è, si voglia o non si voglia, la Manifestazione Nazionale per autonomasia. Per il Festival la Nazione si ferma, e non solo in senso metaforico; si omette semplicemente di occuparsi d'altro. Per cinque lunghissimi giorni non si parla che di cantanti, di presentatori, di ospiti, di testi, e di sorprese e si fanno dibattiti, si organizzano scandali, si paventano imbrogli, si svelano segreti. Il Festival della Canzone Italiana insomma è totalizzante al punto che perfino le reti della concorrenza, messosi l'animo in pace, evitano di disturbarlo con qualcosa di vagamente concorrenziale e, come le reti RAI, riempiono i loro palinsesti alternativi con documentari vecchi come il cucco, film visti e rivisti (tipica è la messa in onda di "Pretty Woman" che viene trasmessa da tre lustri almeno una decina di volte l'anno), dibattiti sul nulla, cartoni animati e rimestaggi di aria fritta. Persino il vecchio Ghezzi anticipa il suo "Fuori Orario" in un orario quasi normale solo per riempirlo dei suoi tipici tre o quattro cortometraggi armeni con sottotitoli in tedesco.
Eppure il Festival non si guarda e non vi si va (spendendo una marea di soldi) per ascoltare le canzoni. E i cantanti non vanno al Festival della canzone nemmeno per cantarle. E i giurati (esperti o popolari) non votano per far vincere la canzone migliore. E se la canzone vincente non sarà cantata da nessuno, non sarà trasmessa dalle radio, non venderà dischi e non scalerà le classifiche dell'hit parade, ebbene, non interesserà nessuno. Al Festival si va, il Festival si vede, il Festival si commenta perché è un totem mediatico nazionale, anzi, è l'unica manifestazione nazionalpopolare (concordo in questo con quanto disse un noto presentatore) della nostra nazione. Ci sono le migliori canzoni? No, anzi. Quest'anno non ne ho sentita una che meritasse di essere riascoltata e quando si parla delle migliori si intende "le meno peggio". La maggior parte erano canzoni loffie, o ruffiane, o stupide; tutte si segnalavano per mancanza di originalità e assoluta mediocrità musicale; alcune facevano schifo. Gli interpreti poi. I pochi cantanti dotati di una qualche personalità o di una certa notorietà che erano caduti nel trappolone e si erano decisi a parteciparvi mettendosi in lizza con cinque o sei giovanotti resi noti dai reality musicali, si sono visti buttati fuori a calci dalle giurie popolari che hanno premiato, con una valanga di voti telefonici, la canzone più brutta per melodia, più stupida per testo, e interpretata perdipiù dal cantante (chiamiamolo così) più mediocremente insipido nell'apparire, ruffiano nel presentarsi e, comunque, assolutamente banale e dimenticabile nel cantare.
Eppure il Festival ha monopolizzato le trasmissioni televisive e le pagine degli spettacoli dei quotidiani per una settimana intera decretando, in questo caso sì, una svolta storica. Da quest'anno in poi il Festival, svuotato di interpreti veri, noti e conclamati (i quali, tuttalpiù e dietro lauto compenso potranno degnarsi di parteciparvi come "ospiti speciali") si trasformerà in una enorme vetrina mediatica dove potranno trovare notorietà, risonanza e conforto tutte le varie istanze (per carità: tutte nobili, legittime, democratiche eccetera eccetera) a favore, ad esempio: dei lavoratori a rischio licenziamento o della ricerca per questa o quell'altra terribile malattia. Vi sarà la possibilità di promuovere l'ultimo spettacolo dell'attore o del comico di turno, poi sarà la volta dell'intervista alla protagonista (nel bene o nel male) del momento e così via. Insomma un mix tra Maurizio Costanzo Show e Amici in cui i coniugi Costanzo, sotto l'egida di Mamma Rai faranno sotto altre forme lo stesso programma di sempre. Le canzoni, quelle chi proprio le vuole, se le scarichi da internet o si compri un CD. Non taroccato, mi raccomando."

Silenzio. Si sente solo il ronfare del gatto del Biri, acciambellato sulla poltrona accanto al medesimo.
La politica? Il cavaliere? I massimi sistemi?
Alla prossima volta.

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