Missione del blog

Il Biri, il socio più anziano titolare della celebre Agenzia (*), ha l'abitudine, da anni, di annotare i suoi pensieri, le sue osservazioni e gli avvenimenti che gli accadono (anche i meno memorabili) in un taccuino che non mostra a nessuno e del quale è gelosissimo.
Ora, avuto il permesso di visionarlo, l'ho trovato per certi versi interessante (come tutto quello che concerne il Biri) e gli ho chiesto perché non lo pubblicasse in un blog. Impresa disperata: il Biri non sa usare nemmeno il telecomando del televisore, figuriamoci il computer! Impietosito ho deciso di aiutarlo e pertanto ecco qui il blog con le pagine del taccuino del Biri che potrete leggere e commentare ricordando sempre che il sottoscritto non si prende alcuna responsabilità del contenuto essendo il suo contributo solamente quello di una collaborazione tecnica e poco più.


Per saperne di più, leggere il post dal titolo: Ouverture.
R.M.

(*) L'Agenzia di Ascolto e Collaborazione Morale della quale parlerò appronditamente in un prossimo futuro su queste pagine.

Roberto Mulinacci

L’importanza della pubblicità

giovedì 19 agosto 2010



Eppure don Gennaro Cuccurillo, sindaco di Boscotrecase (un grosso centro alle pendici del Vesuvio vicino a Pompei), le cose le aveva organizzate per bene, forse meglio addirittura che negli anni passati. Non c’era proprio nessun motivo che la Festa dell’Unità di quell’anno 1989 riuscisse meno bene di quella degli anni precedenti; una festa (è giusto rimarcarlo) che era il vanto di tutti gli abitanti di Boscotrecase che in quell’occasione riuscivano a dimenticare per qualche giorno le loro giornate, caratterizzate per tutto l’anno dalla monotonia, dalla miseria e dal degrado, tramite l’allegria e l’eccitazione che la musica, le luci, e i cento banconi variopinti che riempivano le strette stradine del centro storico (affollatissime come non mai di turisti e di curiosi provenienti dai centri vicini) trasmettevano tutto intorno.
La Festa dell’Unità di Boscotrecase (bisogna dirlo), di politico aveva ben poco. Era semmai l’occasione per tutto il paese di far vedere che anche lì si riusciva ad organizzare un evento che potesse richiamare gente, che anche lì, a Boscotrecase, almeno una volta all’anno, ci si poteva andare certi di passare una giornata all’insegna del divertimento.
C’erano i banconi con tutti i loro dolciumi coloratissimi in bella mostra, c’erano le cantine aperte dove i visitatori potevano farsi servire un bicchiere di profumata malvasia, e le trattorie e le locande improvvisate dove chiunque poteva fermarsi a consumare qualche celebrata specialità locale. E poi c’era la banda in piazza (con le majorettes!), la mostra mercato di caramiche, quella fotografica e i tazebao ai giardini comunali che spiegavano la storia del paese.
I visitatori ogni anno venivano a migliaia e quell’avvenimento, di per sé già memorabile, si tramutava anche in un benvenuto affare economico per i boscotrecasesi che potevano, con mille piccole iniziative, incrementare le magre pensioni che costituivano l’unico reddito legittimo della stragrande maggioranza degli abitanti.
Quell’anno (1989), disastro.
“O che sarà successo?” pensava ad alta voce il buon Gennaro davanti agli assessori, riuniti per l’emergenza, nella sala del Comune.
Fu fatto un rapido controllo: tutto era stato organizzato a dovere. Quest’anno era stata anche invitata una delegazione dall’Albania (sarebbero venuti in trenta e con la banda, giusto per dare un tòcco multietnico alla Festa), tutti i padroncini dei banchi avevano confermato la loro partecipazione, il paese era tutto agghindato, lindo e pulito che così si vedeva giusto una volta all’anno… O allora? Come mai non era venuto nessuno? Perché i turisti, i curiosi e i viaggiatori sfaccendati avevano snobbato la Festa? Perché le stradine erano deserte, perché nessun brusìo saliva dai vicoli, perché le trattorie, i negozi e gli stand erano vuoti? Perché i banconi erano rimasti con tutti i loro prodotti invenduti? Perché le damigiane di malvasìa erano ancora piene del loro prelibato nettare? Insomma, perché la Festa era stato un megagalattico fallimento?
Don Gennaro provò a scoprirne la ragione.
“La pubblicità è stata fatta? I manifesti.. non ricordo…; cosa dicevano i manifesti?” Il figliolo del farmacista, Nené, che aveva ricoperto per l’occasione la mansione di grafico pubblicitario, alzatosi (era seduto), lo volle ricordare puntigliosamente:
“Dicevano. Caratteri rossi su fondo bianco. Festa dell’Unità di Boscotrecase. Due giorni di aggregazione e di spettacolo. Stands gastronomici, attrazioni internazionali, musica, ballo, divertimento assicurato per grandi e piccini. Dolci di marzapane, vino locale e tanta allegrìa. Venite numerosi. Boscotrecase vi aspetta “co ò core i mmane”. E poi c’erano le date dell’evento”
“Ma c’era scritto che non ci sarebbe stato nessun comizio?” Domandò preoccupatissimo Don Gennaro colto da un subitaneo dubbio.
“Come no!” lo rassicurò Nené.
“E nessun dibattito?”
“Don Gennaro, fidatevi di me. Nei manifesti c’è scritto espressamente, secondo le vostre indicazioni: -Si garantisce che quest’anno non ci sarà nessun comizio e non seguirà nessun dibattito. Venite fiduciosi.-“ precisò il giovane.
“Ma, non ci saremo mica dimenticati di affiggerli, ‘sti manifesti?” chiese il sindaco rivolgendosi a Ninnìa, Assessore alle Affissioni e Promozioni Locali.
“Gesù mio, don Gennaro” rispose tremando il vecchio Ninnìa, che occupava quella carica da quarant’anni “E come, non li ho affissi. A tutti gli angoli del paese e ad ogni crocevia delle strade di campagna e al bivio della statale di Napoli. E li ho mandati a Ercolano, a Scafati, a Pompei…” qui si fermò, pensieroso.
Silenzio nella sala. Poi, dopo due minuti buoni:
“Che c’è?” chiese il Cuccurillo.
“No, non credo…” fece come tra sé e sé il vecchio Ninnìa, ma, come gli altri non cessavano di fissarlo, si sentì in dovere di completare il suo ragionamento e, fattosi coraggio, proseguì:
“C’è che quest’anno, per la prima volta, don Mimì Caruso, quello che tiene quel campicello di patate vicino a Pompei, ha organizzato la… la Sagra della Patata Lessa”. Tacque. Tutti si guardarono, attoniti, sbigottiti. Che cosa diavolo stava a significare?
“E allora?” chiesero all’unisono tutti i componenti della Giunta comunale di Boscotrecase.
“Beh, non vorrei che.. come si dice, che don Mimì con la sua Sagra ci avesse soffiato i nostri visitatori.. insomma la clientela” chiarì il suo pensiero Ninnìa.
“Impossibile!” tuonò don Gennaro. “Ma come volete che un povero scemo, che tiene un campicello che ogni anno gli butta qualche quintale di patatacce piccole, mezze bacate e tutte sgarruppate, sia riuscito da solo, in un amen, ad organizzare una Sagra tale da far concorrenza alla nostra Festa dell’Unità!”
Concordarono tutti che la cosa non era verosimile e la seduta fu sciolta tristemente senza aver trovato il motivo della clamorosa debacle boscotrecasese.
Erano passati quattro giorni (la Festa dell’Unità di Boscotrecase si era conclusa con un clamoroso fallimento e non si sapeva nemmeno se sarebbe stata organizzata il prossimo anno) quando, un mattino che don Gennaro era uscito alla guida della sua auto, appena fuori dal territorio comunale la sua attenzione fu catturata da un enorme cartellone pubblicitario a colori sgargianti che si ergeva, ingombrante e visibilissimo, presso la strada, poco prima del bivio per Pompei (e duecento metri prima di quello per Boscotrecase).
Don Gennaro restò a bocca aperta. Frenò, fece marcia indietro, parcheggiò, poi sceso dall’auto si mise ad esaminare attentamente l’enorme manifesto.
Si trattava di un gigantesco cartellone pubblicitario di circa 12 metri per 4. In alto a sinistra, una scritta annunciava: POMPEI - 1° Sagra della Patata Lessa Locale –
L’enorme immagine che sottostava alla scritta mostrava tre ragazze, una mora, una rossa ed una bionda intente, evidentemente, a reclamizzare la sagra. La mora era raffigurata in secondo piano, di spalle, mentre, china al centro di un campo, sorrideva (voltando la testa sopra la spalla, verso lo spettatore) nell’atto (presumibilmente) di cogliere patate. Scalza, indossava una camicetta bianca ed una sottanina rossa lunga poco più di dieci centimetri che lasciava intravedere una porzione di quelle che potevano essere mutandine nere. Sopra di lei la scritta “Venite a gustare le nostre patate!” invitava perentoriamente lo spettatore a partecipare alla sagra. Le altre due signorine erano invece raffigurate in primo piano; entrambe enormi (se si pensa alle dimensioni del cartello) erano agghindate con il tradizionale costume campano.
Erano entrambe giovani, sorridenti e comunque di notevole impatto grazie alla clamorosa scollatura delle loro camicette. Le due ragazze infatti, portatrici entrambe di seni spettacolosi che quasi fuoriuscivano dall’esile indumento che a stento li conteneva, erano mostrate mentre, chine esageratamente in avanti, offrivano allo spettatore un fumante vassoio di patate lesse. Di lato a loro un Pulcinella saltellante con un cembalo nella mano destra e il Vesuvio sullo sfondo era tutto intento a  magnificare le qualità del prodotto offerto poiché, mentre indicava con l’indice dell’altra mano le ragazze col vassoio, un fumetto usciva dalla sua bocca, esaltando a caratteri cubitali la genuinità delle famose patate: “Tutte vere pompeiane!”.
Dopo cinque minuti passati a pensare, don Gennaro stava per rimettersi alla guida quando vide passare da quelle parti un suo conoscente. Lo fermò e, senza preamboli gli chiese se per caso fosse andato alla famosa Sagra della Patata Lessa.
“Scusate don Gennaro” rispose quello “ma, come tutti, ci sono andato”.
“E.. com’era? La sagra, voglio dire.”
“Un schifo, don Gennaro. Un solo banco pieno di patate lesse e niente più. E poi patate cattive, bacate. E care.”
“E, ditemi. Le ragazze? C’erano le ragazze del cartellone?” si informò il sindaco di Boscotrecase.
“Ma quali ragazze, don Gennà. C’era solo don Mimì che incassava i soldi e ci dava tre patate per un cinquemila lire. E il sale si doveva pagare a parte! Uno schifo! Una rapina!” concluse.
“Ma come è possibile che il campicello di don Mimì abbia prodotto tutte quelle patate?” si chiese a voce alta il Cuccurillo.
“Don Gennaro bello. Ma quali patate veraci. Io penso che don Mimì si sia rifornito di patate in qualche supermercato della zona. Quelle patatacce lì, te le tirano dietro”.
“Ma allora, ditemi” chiese ancora don Gennaro “perché mai ci siete andato invece di venire alla Festa dell’Unità di Boscotrecase come tutti gli altri anni?”
“Che volete, don Gennà, non lo so nemmeno io” Abbassò gli occhi e arrossì violentemente. “So solo che ho visto il cartello (e indicò il cartellone pubblicitario) e ho sentito scattare l’impulso irresistibile di andarci. Non lo so perché.” E a capo chino, dopo aver salutato, se ne andò.
Don Gennaro quella notte non chiuse occhio. Il giorno dopo fece chiamare Vincenzino, un giovanotto di quelle parti che, avendo lavorato a Napoli qualche mese come apprendista in uno studio di promozioni pubblicitarie, poteva venire a pennello per escogitare il modo di rinverdire le fortune di Boscotrecase.
Vincenzino fu messo rapidamente al corrente dell’accaduto, della inopinata fortuna della Sagra della Patata Lessa di Pompei e delle subitanee disgrazie della Festa dell’Unità di Boscotrecase. Gli fu fatto vedere anche il famigerato cartellone pubblicitario. Vincenzino scosse il capo, poi un lampò gli attraversò lo sguardo: “Vogliono la guerra? E guerra sia!” quasi urlò.
Poi si avvicinò al sindaco di Boscotrecase e gli espose in quattro e quattr’otto la sua idea.
“Don Gennaro, ditemi. Anche qui a Boscotrecase avete degli ottimi prodotti locali, non è vero? Ho visto campi di verdura, di frutta.. Ditemi, quale è l’ortaggio più rappresentativo della vostra terra?”
“Mah, non saprei” rimuginò don Gennaro senza sapere dove l’altro volesse andare a parare. “Da noi si trovano campi di carciofi, di pomodori, di fave, di melanzane….”  “Alt!” gridò Vincenzino; e poi: “Ho trovato!”.
“Ma.. di che si tratterebbe?” fece il Cuccurillo.
“Don Gennaro ascoltatemi bene. Voi dovete convincere i vostri compaesani che sono proprietari di un campo, di un orto o anche di un terrazzo perché si preparino a seminare baccelli. Voglio quintalate di baccelli pronti per la primavera del prossimo anno, baccelli profumati, teneri, gustosi, tonnellate di baccelli.”
“Ma, e poi?” chiese stupito dalla strana richiesta don Gennaro.
“E poi, a maggio del prossimo anno, lanceremo in grande stile la Prima Sagra della Fava Primaverile di Boscotrecase! Macché feste dell’Unità! Ma quali sagre scontate e stantìe!
Novità, gioventù, iniziativa, ci vuole! E poi, (e qui viene il bello) lasciate fare a me, don Gennaro, per il manifesto promozionale; ho già in mente due o tre idee per comporre un megacartellone pubblicitario di cui si parlerà in tutta Italia!”.
Don Gennaro Cuccurillo restò un poco a pensare. Poi, lentamente, ma decisamente, accompagnò Vincenzino alla porta: “Ci penseremo, ci penseremo, arrivederci e.. stateve bbuono don Vincenzì” gli fece per accomiatarlo.
Vincenzino, sorpreso, se ne andò.
Don Gennaro si avvicinò alla finestra. Era triste senza motivo, irrimediabilmente triste, al limite della depressione. Poi, improvvisamente si rallegrò dietro un pensiero inaspettato e improvviso che gli volò miracolosamente nel cervello. Alzò le braccia in alto, si esibì in due passi di danza (era solo nella grande sala) e, velocemente uscì quasi correndo dalla sala consiliare. Si era ricordato che a Febbraio del prossimo anno ci sarebbero state le elezioni comunali a Boscotrecase e lui, don Gennaro, col cavolo che si sarebbe ricandidato a sindaco.

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