Missione del blog

Il Biri, il socio più anziano titolare della celebre Agenzia (*), ha l'abitudine, da anni, di annotare i suoi pensieri, le sue osservazioni e gli avvenimenti che gli accadono (anche i meno memorabili) in un taccuino che non mostra a nessuno e del quale è gelosissimo.
Ora, avuto il permesso di visionarlo, l'ho trovato per certi versi interessante (come tutto quello che concerne il Biri) e gli ho chiesto perché non lo pubblicasse in un blog. Impresa disperata: il Biri non sa usare nemmeno il telecomando del televisore, figuriamoci il computer! Impietosito ho deciso di aiutarlo e pertanto ecco qui il blog con le pagine del taccuino del Biri che potrete leggere e commentare ricordando sempre che il sottoscritto non si prende alcuna responsabilità del contenuto essendo il suo contributo solamente quello di una collaborazione tecnica e poco più.


Per saperne di più, leggere il post dal titolo: Ouverture.
R.M.

(*) L'Agenzia di Ascolto e Collaborazione Morale della quale parlerò appronditamente in un prossimo futuro su queste pagine.

Roberto Mulinacci

La gaia scienza

mercoledì 29 settembre 2010

“Ma, secondo te” mi fa Dario “com’è nato il mondo?”.
Prendo fiato e tempo. Una domanda da niente, alle 9 di mattina! E io già stavo pregustando una conversazione di tutto riposo come ad esempio discutere sui risultati dell’ultima giornata di campionato, commentare il discorso di Berlusconi alla Camera o, meglio ancora, dire tutto il male che si pensa dell’ultimo gossip, quello secondo cui Corona vuol lasciare Belen per tornarsene da Lele Mora (ahò, fermi; non prendetevela con me).
Dario però fa sul serio; pretende una risposta seria. Ed io sono pronto alla bisogna:
“Dunque, all’inizio era il Verbo ed il Verbo era Dio. Dio disse: -Sia la luce! – E luce fu. Così dice la Bibbia. E non ho alcun motivo di credere, ipotizzare o supporre che non sia la verità. Soddisfatto?”.
Dario sorride, ambiguo, con un sorrisino che la dice lunga sul perché di quella sua strana domanda (strana solo perché è tremendamente complicata, per chi non crede alla Bibbia, almeno).
“Dai Biri, chi vuoi far fesso? Non mi dirai che credi “letteralmente” a quello che non-si-sa-quando, non-si-sa-chi ha scritto sulla Bibbia. Quello è un libro sacro e come tale deve, pretende di essere interpretato. E comunque oggi non siamo a millenni fa e la scienza da allora ha fatto passi da gigante. La risposta, a me, la da la scienza.”
Va a finire che mi arrabbio anche senza averne voglia. Devo andare a vedere le sue carte.
“E di grazia” domando “cosa dice la scienza al riguardo?” sapendo che come al solito il tapino, partito per incornare, si troverà lui, suo malgrado, mazziato e con le corna rotte.
Ho rilanciato la palla nel suo campo: quello la prende al volo (il gran bischero!).
“La scienza, caro Biri, dice –incontrovertibilmente- che tutto quello che conosciamo; pianeti, stelle, galassie e tutto quello che ci sta dentro, è il risultato di un immane e continuo cambiamento. Tutto in natura si evolve, tutto è in movimento. E tutto il cosiddetto Creato deriva in effetti da un unico, infinitesimale nucleo. Un nucleo in cui era racchiusa tutta l’energia sufficiente a formare tutta la materia dell’universo. Poi, ad un tratto, questo atomo (chiamiamolo così) è esploso (sai, quello che gli scienziati chiamano il Big Bang) e ha spedito da ogni parte la sua materia-energia che ha formato, a partire da quel minuscolo nucleo originario, le galassie, i soli, i pianeti ed infine la Vita”.
Se pensava di impressionarmi devo dire che si sbagliava di grosso. Tirar fuori il Big Bang per dimostrare che Dio non esiste! Dai, roba da dilettanti; o da masochisti.
“Senti Dario” gli ho fatto “Ma questo primo atomo infinitesimale, da dove veniva? O, se posso esprimere altrimenti la domanda: chi lo aveva fatto?”. Dario ha respirato profondamente; era in difficoltà e brigava per inventarsi velocemente qualche salvagente a cui aggrapparsi: “C’era da prima” ha detto poi, poco sicuro.
L’ho incalzato:
“Ah, c’era da prima. Da quanto? E perché stava lì senza fare niente? E perché ad un certo punto si è svegliato ed ha pensato di esplodere con tutto quel chiasso, gli effetti speciali e tutto il resto e combinare questo bel casino? E perché c’è un prima e un dopo? Se c’era un prima c’era qualcosa o qualcuno anteriormente al Big Bang. Non lo credi?”.
Dario ansimava (virtualmente, ovvio; in modo tutto intellettuale).
“Beh” ha farfugliato arrampicandosi sugli ultimi specchi “C’era e poi, ad un certo punto, è esploso da sé.”
“Allora era qualcosa di intelligente! E c’era da prima dello… scoppio! (proseguendo la conversazione terra terra). Beh” ho concluso “Io lo chiamo Dio. E mi pare che la scienza concordi appieno con la Bibbia. O no?”.
“Insomma non c’è bisogno di Dio!” ha esclamato Dario (che si infuria quando sa di aver torto). “La scienza dice che l’Universo si è formato da sé!”. Poi si è messo zitto, sapendo di averla sparata grossa.
Ho fatto passare un minuto prima di ribattere.
“Dario, amico mio” gli ho fatto dopo avergli messo la mano sulla spalla “Ho letto che i nativi della Terra del Fuoco pensano che la Terra è nata da un grande Uovo. L’Uovo era stato portato nel becco da un enorme pappagallo multicolore che ad un certo punto si fermò e lo posò nel cielo, su una nuvola. Poi lanciò un grido e subito una Strega ed una Principessa, venute dal mare (non chiedermi dov’era il mare se la Terra ancora non c’era) covarono a turno l’Uovo che finalmente si schiuse. Dentro c’era il mondo.”
Dario mi ha guardato in silenzio con l’aria di chi dice: “Emmbé?”.
“Allora senti che ti dico, Dario. E’ assai più facile credere all’Uovo dei nativi della Terra del Fuoco che al fatto che l’Universo si sia fatto da sé, senza alcun intervento esterno (che io chiamo divino). E questa è anche la mia risposta alla tua domanda iniziale.”
Dario, che non è uno stupido ha replicato, calmo: “Può essere, Biri. Chissà”.
Per il momento mi è bastato.

L'Oroscopo

martedì 28 settembre 2010

Non credo al malocchio, alle cabale, ai tarocchi, ai maghi e agli stregoni. Mi fo beffe delle magìe bianche o nere. Non prendo sul serio le previsioni di disgrazie personali o collettive basate su influenze astrali, esoteriche o numeriche e non credo che si possa modificare il corso delle cose con i pendolini, le buste di sale, i corni rossi da portare in tasca o i soldi inviati al veggente di turno. I gatti neri poi mi sono simpatici e degni di rispetto (quando ho avuto un gatto è stato sempre rigorosamente nero). Insomma non sono un tipo superstizioso. E, soprattutto, non credo all’Oroscopo.
“Come?” mi fanno, preoccupati e premurosi insieme i miei amici, “Non credi all’Oroscopo? Ma guarda – mi fanno poi concilianti – che i segni zodiacali sono importanti. E il segno astrale determina il carattere delle persone e può far prevedere il loro destino.”
E siccome scuoto il capo tirano fuori quella che presumono essere la loro carta vincente. “E’ dimostrato scientificamente.” fanno tutti seri. E io, ridendo: “Balle!”. Questo li manda in bestia.
Non c’è niente che mandi più in bestia un oroscopista che l’ostentato agnosticismo zodiacale del vicino. Sia parente, amico o solamente un conoscente, sapere che quello prende il loro credo per quello che è (insomma, cazzate) li manda fuori dai gangheri. Forse è un eccesso di altruismo quello che li turba, forse è il desiderio filantropico di non permettere che l’altro continui a vivere nell’oscurità (cioè a non credere che la posizione virtuale di stelle e pianeti rispetto alla Terra ed agli altri corpi celesti in un certo momento storico possa aver influito e continui ad influire sul fatto che il tizio in questione possa o meno superare un esame, vincere al lotto, portarsi a letto la cassiera o ritenersi immune dall’avere le corna) o forse è perché, il sapere di essere in tanti a pensarla a quel modo (che il destino dipende dalle stelle) li esenta dal tentare strade che richiederebbero più difficoltà a sapere cosa si deve fare della nostra vita che addossare la sua riuscita o il suo fallimento a qualcosa di inafferrabile come Giove, i Pesci o il misterioso (e affascinante) Capricorno.
Sempre più spesso ci si conosce, ci si presenta, poi, non appena entrati in confidenza (ma appena appena) quello, proditoriamente, mi chiede: “E tu, di che segno sei?”.
Prima prendevo la domanda sul serio e, per non creare polemiche, rispondevo: “Del Toro” (poiché fin da piccolo mi era stato detto che, essendo nato in Maggio, era quello il segno che sovraintendeva al mio destino), ma quando ho visto che questo gli dava la possibilità di ribattere di volta in volta con un : “Fantastico! Anch’io sono del Toro!..... (ecc. ecc.)” o un: “Peccato! L’Ariete e il Toro non si incontrano (ecc. ecc.)” o, peggio ancora, con un erudito: “Vediamo un po’. Il Toro è ambizioso ma anche generoso e comunque un tantinello narcisista… (ecc. ecc.)” o un perentorio: “Allora sarà dura! Io sono un Acquario!”, allora, dicevo, ho deciso di cambiare tattica e rispondo, sicuro e deciso: “Della Narda”.
Se quello fa finta di niente per non alimentare risposte che presume (a ragione) ironiche e dissacranti, la conversazione sui segni finisce lì, ma se invece chiede (non c’è bisogno che parli, basta la sua aria interrogativa): “O che razza di segno è?”, allora ribatto, con noncuranza: “E’ un segno dello Zodiaco senese. Uno dei più ambìti.”
Se però (càpita di rado ma può accadere) mi decido a prendere la questione oroscopo un po’ più sul serio, comincio col citare la famosa frase di Leonardo da Vinci (che disse di aver smesso di credere nell’oroscopo dopo aver controllato la data di nascita dei caduti nella battaglia di Campaldino) e, se ciò non è ancora sufficiente a insinuare nella mente del mio interlocutore una certa possibilità che i segni zodiacali possano essere inaffidabili nel determinare il successo o il fallimento degli umani gli sferro in piena faccia la Madre di Tutte le Prove:
“Ma poi, senza andare a Leonardo; lo sai che Berlusconi e Bersani celebrano lo stesso compleanno? Sono nati entrambi lo stesso mese e lo stesso giorno. Hanno entrambi lo stesso identico segno! Chissà che diceva il loro oroscopo il giorno delle Elezioni Regionali. O quello delle Europee. O il giorno delle Consultazioni Amministrative”.
L’altro a volte si mostra pensieroso; spesso scuote la testa e la pianta lì. Altri invece niente: come non avessero sentito; duri come le pine verdi. Perché l’oroscopo per loro è come una fede; o ci s’ha o non ci s’ha e loro ce l’hanno (oh se ce l’hanno!) e guai a chi si permette di mettergliela in dubbio. E così continuano a confidare su Venere, Giove, Plutone, Urano, il Sole e tutto il loro strambo bestiario: l’Acquario,  il Cancro, lo Scorpione, l’Ariete e così via. C’è anche la Vergine (e mi chiedo che speranza abbia lei, sola soletta in mezzo a tutti gli altri segni dello Zodiaco; i Gemelli non sono ancora svezzati e da quella parte, c’è poco da sperare…).
Io, da parte mia me ne frego. Mi basterebbe solo che la Narda mi fosse un po’ benigna e sono certo che la vita tornerebbe a sorridermi (e scusatemi se poi dico di non credere all’Oroscopo…).

Non solo Gargamella

domenica 19 settembre 2010

“O Biri, o che cosa ti succede?” ha esordito con domanda perentoria e misteriosa Dario, quando, dopo una vita, l’ho rivisto alla fermata dell’autobus.
“Dario, amico mio, mi succede cosa? Chiarezza, prego” ho risposto un po’ piccato perché non avevo trovato niente di più intelligente per controbattere (lo sapevo infatti, a cosa, il bischero, si riferiva).
“Ma come? Seguo il tuo blog per godere delle tue trovate, delle tue impertinenze, delle tue dissacrazioni (anche politiche, sì, soprattutto contro quella che tu ritieni la mia parte), delle tue arguzie verbali pittoresche ma sempre divertenti e ieri che ti trovo? Un pistolotto a metà tra la predica e la confessione esoterica con morti che parlano, cipressi che si muovono e tutta una serie di confessioni religiose che mi hanno lasciato di stucco. Stai invecchiando? Hai sentito le voci? Che diavolo significa?”
Ho dovuto spiegare a Dario che un blog che si rispetti (e anche un uomo che si rispetti) non deve focalizzarsi solo su un aspetto dei mille motivi che circondano, arricchiscono, complicano e intrecciano la nostra esistenza.
“Vedi, amico mio” gli ho confidato “di tutte le miriadi di notizie inutili che intralciano, appesantiscono e rendono le nostre giornate un po’ meno degne di essere vissute, quelle provenienti dal mondo (anzi, dal “teatrino”) della politica, sono le più spassose, se viste sotto la giusta angolazione (eliminando subito il fatto che si possano prendere sul serio) che è quella della gioiosa “presa per i fondelli” di coloro che appartengono (magari vantandosene, i bischeri!) a quel mondo. E di tutti quelli che lo meritano (quasi tutti), i più meritevoli sono, guarda caso, proprio quelli che tu definisci “la tua parte”. I comunisti, insomma, o, se questa parolina di cui una volta ci si vantava (loro, intendo) ora, a dirla, si rischia di offendere qualche repentina suscettibilità chiarisco meglio che i signori in questione sono i progressisti, gli illuminati, i tolleranti, i democratici insomma. Sono quelli che per decenni ci hanno dato a bere, e continuano imperterriti, anche se ora molti cominciano a rifiutare di sorseggiare le loro tisane, che solo loro sono sempre e comunque “dalla parte giusta”, che solo loro possiedono, promuovono, comprendono e praticano la “Cultura”, che solo loro hanno i mezzi e le carte in regola per interpretare la “Storia” e che solo loro hanno la ricetta giusta per tutti i mali, piccoli o grandi che possano affliggere un Paese.
Così per anni hanno imperversato monopolizzando quelli che ormai considerano i loro “territori” di caccia, i grandi spazi sociali che gli altri, spaventati da ciò che “gli illuminati” potessero fare, hanno loro lasciato: le grandi praterie del consenso che si chiamano Educazione (Scuola, Università ecc.), Lavoro (Organizzazioni Sindacali, Aziende Statali ecc.), e ancora Editoria, Grande Distribuzione, Magistratura e via col liscio.
Ovvio che, alla fine, poiché loro non cambiano ed il mondo invece sì, alcuni nodi sono venuti (e vengono, sempre più spesso) al pettine. E così emerge (faticosamente, ma emerge) che la loro Storia è perlopiù composta di Miti e Luoghi Comuni inamovibili e che la loro Cultura tanto sbandierata è una sottocultura al servizio della loro stessa ideologia, una Cultura vecchia, funzionale, utilitaristica ed autoreferenziale che dà origine a spettacoli tragicomici. Per esempio, nel Cinema (una delle discipline culturali che mi hanno sempre interessato) si può arrivare al punto in cui produttori di sinistra (grazie a finanziamenti pubblici erogati in base a leggi votate, a suo tempo, dalla sinistra), sulla base di una sceneggiatura di sinistra (ovviamente politically-correct e tratta da un romanzo di uno scrittore di sinistra), commissionano film a registi di sinistra che si avvalgono di staff tecnico e attori di sinistra. Il film viene recensito positivamente nei giornali di sinistra, vince premi nei festival presieduti da giurati di sinistra e viene infine proiettato (pressoché esclusivamente) nei cinema d’essai (non in tutti ma quasi: quelli in mano alla sinistra). I giornali ispirati alla sinistra (primo fra tutti il giornale-partito della sinistra: La Repubblica), ovviamente sprecano piombo e spazio nelle loro pagine culturali per recensire entusiasticamente il film in questione.
La gente normale, di solito, questi film non li va a vedere e, se vi viene costretta da alcune circostanze (ripararsi dalla pioggia, il desiderio di far colpo su una persona, la voglia di sentirsi un po’ meno cretino di quanto gli altri cretini, quelli di sinistra, lo giudicano), esce poi dalla sala incazzata, annoiata e triste (semplicemente: non saprebbe descrivere cosa ha visto). Se ha visto il film di pomeriggio, la sera a cena, litiga con la moglie (anche lei arrabbiatissima per averlo dovuto accompagnare ed essersi dovuta sorbire quella che, considera come una “cagata” indescrivibile), se invece ha visto il film dopo cena, quando si corica viene colpito da tremendi sensi di colpa (per essere andato a vedere quella boiata) e dorme un sonno tormentato dagli incubi.
 Ricordo al riguardo i micidiali film di Antonioni, uno dei più sopravalutati registi del dopoguerra (insieme ad altri riferimenti della sinistra come Petri, Bellocchio, Bertolucci ecc. ecc.). Questo regista, dopo un esordio onorevole cadde in preda alla paranoia (o a qualcosa di più serio che non si è ancora riusciti a scoprire) e, uno dopo l’altro, sfornò una serie impressionante di film che definire demenziali è far loro un complimento. Ma il tizio era nelle grazie della sinistra, quella più pericolosa, quella che gestiva le pagine culturali dei grandi quotidiani e le riviste di critica cinematografica. Ebbene, lì cominciò la beatificazione di Antonioni. Pagine e pagine di articoli, di dibattiti (“culturali” ovviamente), sulla “rappresentazione cinematografica dell’incomunicabilità”, sui rapporti di coppia nella società del boom economico e tante fregnacce similari, fecero di tre o quattro dei film più pazzeschi della storia della cinematografia italiana, dei capolavori.
Oggi, nessuno sano di mente si arrischierebbe, se non fisicamente costretto, ad assistere (e non per più di due, tre scene) a tali “capolavori” (mi riferisco a film come “La notte”, “L’eclisse”, “L’avventura”, opere che, all’epoca, fecero incetta di premi e suscitarono critiche entusiastiche e incomprensibili da parte di tutti i guru dell’intellighenzia cinematografica nostrana, “Cinema Nuovo” e Aristarco in testa), tanto è vero che oggi non si trova nemmeno un editore che abbia il coraggio di riproporli in DVD o un canale televisivo che si attenti a mandarli in onda, nemmeno a notte fonda (escludendo forse Ghezzi in “Fuori Orario” su Rai 3; ma Ghezzi, si sa, è sempre fuori-sincrono). Quanto al micidiale “Deserto rosso”, la sua visione integrale, se proposta ad una singola persona può essere considerata come “tortura”; se proiettata davanti a centinaia di persone: “arma impropria di distruzione psicologica di massa”. Le rarissime bobine rimaste sono conservate in un luogo segreto da parte dell’antispionaggio ad evitare che, se cadute in mano di terroristi, possano da costoro essere usate “contro la sovranità e la sicurezza dell’Occidente”.
Ebbene, quei film la sinistra li esaltava. E lo stesso succedeva e succede anche oggi per quanto riguarda la letteratura, la poesia e le arti figurative: la sinistra, depositaria nazionale dell’Arte e della Cultura è sempre, o in ritardo o fuori bersaglio. Ovvio che, essendo questo il contesto, è proprio la sinistra che mi interessa di più, è lei che stimola e nutre le mie umili velleità satiriche. E’ comunque niente più che un divertimento, uno scherzo che mi illudo possa aiutare la mia mente a restare sveglia e vigile; niente altro.
Ma i grandi interrogativi, quelli che prima o poi sorgono in ognuno di noi (e a me è un po’ di tempo che questo succede) sono ben altri. E a questi non si può rispondere con un’alzata di spalle, voltando la testa da un’altra parte o buttandola sullo scherzo. Qui non si scherza. Qui è in ballo semplicemente “tutto”.
E da ora in poi, mio caro amico, mi occuperò a tempo pieno ed un po’ anche su questo blog (se al Mulinacci, che me lo gestisce, non dispiace) di questi temi, magari trascurando per un po’ l’avvenenza della Bindi, le diatribe tra Gargamella e Franceschiello e le smorfie di Di Pietro, il sintassiclasta. E’ venuto il tempo di pensare a me, e anche a te e a tutti gli altri. E’ venuto il tempo di riflettere; e non c’è più la voglia di qualche tempo fa per prendere in giro certi personaggi che ci si prendono benissimo da sé. Basta guardarli.”


Siamo andati a prendere un caffè insieme e di questo, per oggi, non abbiamo più parlato.

La passeggiata pomeridiana

martedì 14 settembre 2010

Dopo aver pranzato, ogni giorno, esco a fare una passeggiata. Di regola sto fuori un'oretta o poco più, e vago senza una meta, con un certo passo corto e lesto che mi illudo possa aiutarmi a digerire meglio, spesso con la macchina fotografica a portata di mano caso mai capitasse qualcosa di insolito (o memorabile) da immortalare.
Da un paio di anni però le mie uscite pomeridiane sono cambiate; non è che durino di meno o che le svolga ad un passo più blando: sono cambiate perché il loro scopo è cambiato. Per esser chiaro: non esco più, come prima, per digerire o per fare del moto salutare; esco per onorare un appuntamento. Direte (maliziosi): e con chi ce l'avresti 'sto appuntamento, sentiamo un pò? Un pochino di pazienza, amici e arrivo subito a svelarvi il mistero (posto che si tratti di un mistero). Dunque: tutto cominciò un caldo pomeriggio d'estate, due anni fa.
Quel giorno decisi (senza un motivo preciso, mi par di ricordare) di cambiare itinerario e, desideroso di silenzio e di pace, pensai di andare a fare una visita al cimitero comunale. Al cimitero, in effetti, non ci si va quasi mai e quando ci capita o è per l'annuale ricorrenza dei Defunti o per ricordare, con un triste commiato, un conoscente o una persona cara. C'è poi un'altra occasione in cui (tutti) andremo a far visita al cimitero, ma, benché certa e, per quanto risieda nella nostra volontà, improcrastinabile e di durata assai più lunga della nostra stessa vita, si tratta a nostro avviso di un evento che consideriamo (da vivi) lontano, nebuloso, misterioso e così impalpabile che non lo riteniamo degno di catturare la nostra attenzione per un tempo che superi quello di un angoscioso brivido, inspiegabile, improvviso e deterrente al punto di impedirci di proseguire oltre in quel tale ragionamento.
Il pomeriggio era caldo e la strada assolata e deserta; passai dal portone che introduce al cimitero quasi con sollievo, pensando che avrei potuto godere del refrigerio che pervade i corridoi laterali del grande atrio. Traversai il piazzale, entrai sotto l'arco che introduce ai portici con le cappelle mortuarie e cominciai a percorrerlo. Passando osservavo le cappelle con i monumenti funebri e le tombe dei defunti; mi impegnai a cercar di memorizzare i nomi più strani ed insoliti. Un'altra occupazione che trovai (non avevo niente di meglio da fare) era quella (ricordo) di annotare mentalmente le date di nascita e di morte per calcolare l'età del trapassato. Passavo il tempo senza annoiarmi, così, dopo aver visitato le cappelle sotto i portici, scesi nei sotterranei e poi di nuovo all'aperto, traversando i campi pieni di lapidi e di croci, salendo e scendendo per le colline piene di sepolcri, errando tra i morti, ancora osservandone i nomi, a casaccio, ancora a calcolarne l'età del decesso.
Beh, pensai, ce n'erano di nomi strani, specie tra le donne: Eurasia, Elpidia, Bea, Urania, Idomenea, Scilla.. e chissà quanti altri dei quali non mi ricordavo.. E le età? Quasi tutti erano morti tra i settanta e gli ottant'anni anche se c'erano rassicuranti vegliardi che avevano dato l'addio alla vita terrena oltre i novant'anni. Avevo trovato anche qualche centenario e, bellissima notizia (tale la considerai, chissà perché poi...), non avevo trovato nessuna tomba che portasse il mio mese e giorno di nascita.
Erano quasi due ore che, come un maniaco (o un cretino), vagavo tra le tombe e, poiché mi sentivo un pò stanco mi sedetti su un'opportuna panchina che  mi aspettava proprio là, al bordo del vialetto che divideva le sezioni del cimitero, all'ombra, pronta per me.
Mi sedetti, respirai profondamente, mi guardai intorno... dove mi trovavo? Perché ero in quel posto? Cosa mi aveva condotto lì? Da ogni parte croci, angeli, fiori, marmi.. l'orizzonte non era che una sequela di cappelle dalle forme più varie e fantasiose interrotta dall'alta struttura in mattoni della chiesa del camposanto e dalla bassa cornice circolare dei due porticati; in alto, lente e impassibili, scorrevano alcune nuvole svagate.
All'improvviso e senza nessuna giustificazione i miei pensieri presero una direzione inaspettata; mi trovai a trattenere il respiro, a tendere le orecchie, a cercar di allontanare da me i lontani rumori che provenivano dalla città. Dovevo pensare. Qualcosa di luccicante mi era passata accanto, qualcosa di incredibilmente sconvolgente mi costringeva (con soddisfazione, con gioia!) a non abbassare la guardia, a cercar di trattenere quel palpito di ragionamento che per un attimo aveva scossa l'indolente apatia di quella giornata calda e noiosa.
Mi concentrai; feci appello a tutte le forze ineffabili della mia memoria. Avevo pensato: questa gente mi guarda, mi osserva, mi giudica, mi chiama. E anche: sono qui, fra i non-vivi, sono qui fra gli immortali.
La mente ora prese il largo. Sentivo di essere prossimo a qualcosa, ad un ragionamento antico ma misterioso. Pensai: tutti questi defunti sono in attesa di qualcosa. E la parola nacque spontanea dallo stesso ragionare. Resurrezione.
E vidi con chiarezza disarmante, ed esaustiva che la nostra natura stessa è quella di una comunità in attesa di un Evento, e che l'Evento è talmente certo che ignorarlo o negarlo sarebbe una specie di provocazione così insincera e sprovveduta che solo la malafede avrebbe potuto ispirarla.
L'Uomo tende all'immortalità, pensai. Riflettei che: "Se non pensassimo di essere in qualche modo immortali non varrebbe nemmeno la pena di vivere". E vidi i milioni di trapassati che, a partire dalla preistoria, prima di pensare a lasciar testimonianze storiche o artistiche o civili, si erano preoccupati a costruirsi una casa per l'Aldilà. Le prime testimonianze di una civiltà sono i segni della fiducia sulla rinascita da quella che chiamiamo impropriamente Morte. E che siano Piramidi (Egiziane o Atzeche), Necropoli, Catacombe, tumuli o sepolcri di ogni forma e dimensione, famosi e celebrati o senza nome e senza tempo, ognuno di quei manufatti, fin da quando l'Uomo ha dato segni di sé in ogni terra, in ogni età e in ogni cultura, spiega e dimostra, meglio di qualunque speculazione pseudoscientifica o "verità" agnostica, come la fede nella risurrezione sia innegabilmente inglobata nel nostro stesso essere. Fa parte di noi, "è" noi, ci distingue dagli altri esseri viventi, è evidente e tangibile e negarla è un atto inutile, anzi, più che inutile: criminale (perché nega la vita, quella futura).
Tutti i miliardi di uomini e donne che in ogni epoca hanno vissuto la loro travagliata vita terrena, giacciono ora (pensavo) qui, intorno a me e in ogni altra parte del mondo, immobili, pazienti, fiduciosi; gli occhi chiusi volti in alto trascorrono la loro esperienza di non-vivi nell'attesa della risurrezione. E del Giudizio.
Se l'intero genere umano, fin dalla propria venuta sulla terra, ha sempre ipotizzato (in mille modi e con mille giustificazioni diverse) la vita al di là della morte, vuol dire che questa non è una semplice credenza, non è una eventualità di poco conto da liquidare come una speculazione filosofica sconfinante nell'esoterismo. Significa che la vita al di là della morte fisica può esistere. E quindi ESISTE. E' possibile, è a portata di mano. E' talmente possibile che un Uomo l'ha sperimentata e ci chiede continuamente (poiché vive e opera accanto a noi) di credere a quello che abbiamo visto e sentito; di non chiudere gli occhi e di non tapparsi le orecchie. Non siamo noi a non voler vedere e a non voler sentire; non siamo noi a non voler credere in Lui (e quindi nell'immortalità). E' l'Altro, il Principe del male che regna in quel mondo in cui siamo stati esiliati per espiare una colpa immane; è lui che ci chiede di non vedere ciò che splende e di non sentire ciò che grida.
Io non credo che a ciò che vedo e a ciò che sento; ecco perché credo in un Dio che ci ama e in Gesù Cristo, suo Figlio, che è venuto sulla Terra a morire e a risorgere per aprirci le porte dell'immortalità.
Pensavo questo e molto più di questo e per la prima volta vedevo chiaramente ciò che fino ad ora (intuendolo) tenevo pervicacemente nascosto, quasi vergognandomene. I non-vivi, tutt'intorno a me, annuivano; e certo non in silenzio. "Hai capito anche tu, finalmente" dicevano e le loro parole formavano quasi un brusìo vegetale (no, non era il vento che faceva vibrare i cipressi) che era una brezza corroborante per l'anima.
I non-vivi mi hanno insegnato che non si può morire veramente: le porte di una eternità inimmaginabile si aprono dietro la spinta (dolce, ma decisa) di una sublime certezza.
"Se Dio mi ha dato i sensi per sperimentare il mondo intorno a me, ed una mente in grado di elaborare tutte le informazioni che mi giungono da ogni dove perché devo autolimitarmi riducendomi a negare l'unica verità inconfutabile che determina il futuro dell'intero genere umano?" riflettevo.
Da quel giorno la mia passeggiata pomeridiana ha per meta il cimitero. I non-vivi hanno sempre qualcosa di interessante (per usare un aggettivo comune) da dirmi.
Le banalità, le lascio dire a chi non ha altro da raccontarmi.