Missione del blog

Il Biri, il socio più anziano titolare della celebre Agenzia (*), ha l'abitudine, da anni, di annotare i suoi pensieri, le sue osservazioni e gli avvenimenti che gli accadono (anche i meno memorabili) in un taccuino che non mostra a nessuno e del quale è gelosissimo.
Ora, avuto il permesso di visionarlo, l'ho trovato per certi versi interessante (come tutto quello che concerne il Biri) e gli ho chiesto perché non lo pubblicasse in un blog. Impresa disperata: il Biri non sa usare nemmeno il telecomando del televisore, figuriamoci il computer! Impietosito ho deciso di aiutarlo e pertanto ecco qui il blog con le pagine del taccuino del Biri che potrete leggere e commentare ricordando sempre che il sottoscritto non si prende alcuna responsabilità del contenuto essendo il suo contributo solamente quello di una collaborazione tecnica e poco più.


Per saperne di più, leggere il post dal titolo: Ouverture.
R.M.

(*) L'Agenzia di Ascolto e Collaborazione Morale della quale parlerò appronditamente in un prossimo futuro su queste pagine.

Roberto Mulinacci

LA SCOMPARSA DI MARIO MONICELLI (30 Novembre 2010)

giovedì 2 dicembre 2010

E così, orgogliosamente solo, ha scelto l’ora e i modi della sua morte. Si è schiantato sull’asfalto e l’ha fatta finita con la vita, quella vita che tanto gli aveva dato ma che ora lo aveva lasciato solo. Mario non ce l’ha fatta ad aspettare; si è guardato intorno, ha visto che non lo vedeva nessuno ed è volato via, giù dalla finestra, in una gelida sera di novembre.
Muore così l’ultimo della generazione dei grandi Registi italiani; molti critici, che ora lo commemorano con parole fin troppo esagerate, lo definirono, a suo tempo, “solo” un solido mestierante, come se nel richiamo al “mestiere” ci fosse qualcosa di spregiativo, o di mediocre, piuttosto che il riconoscimento più alto per uno come lui che sapeva usare le tecniche cinematografiche per quello che c’è di più solido in un film, e cioè volgendole al servizio del racconto. Il pubblico amava i suoi film (come quelli di Risi, di Blasetti, di Comencini, di Zurlini) anche se gli intellettuali in eskimo di casa nostra stravedevano per Antonioni, Bellocchio e Petri (che facevano “cinema con un messaggio”) e poco si interessavano agli altri registi considerati “meno impegnati” e ridotti a fare film meramente commerciali o (la definizione sinistrese è impagabile) “d’evasione”; come a dire film per poveri deficienti.
La gente se ne fregava e affollava all’inverosimile le sale cinematografiche dove davano “Il sorpasso”, “Poveri ma belli”, “Estate violenta”, “I soliti ignoti”, “L’armata Brancaleone”, “Tutti a casa” e tutta una serie di decine di titoli che, in quei irripetibili vent’anni, hanno dato più lustro all’Italia cinematografica che mille entusiastiche recensioni di Cinema Nuovo e Repubblica alle seghe mentali di Bellocchio e company.
Monicelli era uno di loro, uno di quei bravi “mestieranti” che, guarda caso, hanno costruito l’unico cinema nazionalpopolare del dopoguerra e l’unico genere cinematografico prettamente italiano che è tuttora studiato, esportato e copiato (prima di tutti da Hollywwod) in tutto il mondo. (Si dirà: ma il neorealismo, cos’è allora: fuffa? Affatto e molti sono i film di valore di quel genere nato dalle circostanze e dalla penuria del dopoguerra. Solo che non era cinema per il popolo. La gente non apprezzava quei film e faceva le file per i polpettoni melodrammatici di Yvonne Sanson e Amedeo Nazzari; il neorealismo, lungi dall’essere cinema popolare è stato un cinema di e per intellettuali).
E così, salvo i soliti tardivi riconoscimenti, piano piano (il tempo è galantuomo, lui) ci si sta rendendo conto che il più attendibile critico cinematografico è il pubblico. E non potrebbe essere altrimenti dato che il cinema nasce, si sviluppa e muore (proprio in questi anni) in funzione del gradimento del pubblico. Se non si rivolgesse alla gente, non ambisse ad essere visto dal maggior numero di persone e non tendesse a fare più profitti possibile, il cinema semplicemente non sarebbe mai nato.
Monicelli, come altri bravissimi direttori della sua generazione, l’aveva sempre saputo ed aveva (quasi) sempre saputo dare al suo pubblico quello che questi voleva e si aspettava da lui. I suoi innumerevoli spettatori, che da lui erano stati così magistralmente serviti, lo hanno ricambiato con il successo quando era ancora in vita, e, ora che se ne è andato, con un sincero rimpianto (che è il massimo che un artista si può ragionevolmente aspettare).

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