Missione del blog

Il Biri, il socio più anziano titolare della celebre Agenzia (*), ha l'abitudine, da anni, di annotare i suoi pensieri, le sue osservazioni e gli avvenimenti che gli accadono (anche i meno memorabili) in un taccuino che non mostra a nessuno e del quale è gelosissimo.
Ora, avuto il permesso di visionarlo, l'ho trovato per certi versi interessante (come tutto quello che concerne il Biri) e gli ho chiesto perché non lo pubblicasse in un blog. Impresa disperata: il Biri non sa usare nemmeno il telecomando del televisore, figuriamoci il computer! Impietosito ho deciso di aiutarlo e pertanto ecco qui il blog con le pagine del taccuino del Biri che potrete leggere e commentare ricordando sempre che il sottoscritto non si prende alcuna responsabilità del contenuto essendo il suo contributo solamente quello di una collaborazione tecnica e poco più.


Per saperne di più, leggere il post dal titolo: Ouverture.
R.M.

(*) L'Agenzia di Ascolto e Collaborazione Morale della quale parlerò appronditamente in un prossimo futuro su queste pagine.

Roberto Mulinacci

Al bar

venerdì 21 gennaio 2011

Quella sera, quando entrai nel solito bar, non mi ci volle più di un minuto per avvertire che c’era qualcosa di strano nell’aria.
Dovete sapere che ogni sera, non appena scoccano le sei, ognuno di noi, colleghi e colleghe tutti impiegati nella medesima ditta, usciamo dai nostri uffici, timbriamo il cartellino, e ci salutiamo velocemente sapendo già che, come facciamo da anni ormai, ci rincontreremo dopo 10 minuti davanti al banco del bar “da Beppino”.
E’ divenuta una tradizione, un rito, un modo per dimenticare la giornata di lavoro appena trascorsa e passare una mezz’oretta in compagnia scherzando, chi sorseggiando una bibita, chi davanti ad un caffè, tutti parlando del più e del meno, modo di dire che, nel caso di noi uomini ha il significato di: infervorarci per il Campionato di calcio, fare apprezzamenti sul genere femminile, malignare sul capufficio o sui colleghi assenti, raccontare qualche avventura (vera o tarocca) di viaggio, commentare le ultime notizie apprese dai giornali o dal telegiornale delle una, mentre per le donne significa essenzialmente: spettegolare sulla collega assente, fare apprezzamenti su di noi, criticare mentalmente l’acconciatura, gli abiti e il comportamento delle altre colleghe cercando di memorizzarli come spunti di conversazione da sfruttare alla prossima occasione.
C’è poi sempre una barzelletta da raccontare, un piccolo scherzo da fare, una battuta improvvisa che sorge spontanea nel gaio brusìo di quella pausa fuori orario e così, con il sorriso compiaciuto e ammiccante di Beppino (il gestore del bar, nostro amico), la mezz’ora vola via piacevolmente e contribuisce a rasserenare (e spesso dio sa se ce n’è bisogno) gli animi dopo una giornata di lavoro spesso difficile da sopportare.
Quella volta, no. Non era così, lo sentii subito, non appena, tutto sorridente e accaldato (ero un po’ in ritardo), spalancai la porta e mi fiondai nel bar.
Innanzitutto fui colpito dal silenzio. Strano, pensai. Il bar, almeno quando c’eravamo noi, era tutto un casino di gridolini, risate, seggiole smosse, e tutta l’atmosfera che si crea quando una ventina di amici si ritrovano tutti insieme davanti a qualcosa da bere. Quella volta invece, nisba. I miei colleghi stavano impalati, davanti al banco del bar, senza dire una parola. Beppino, davanti a loro, faceva finta di asciugare un bicchiere: tutti stavano in un silenzio innaturale. Quando entrai io nessuno si smosse se non due uomini, a me sconosciuti, che, seduti davanti ad un tavolino in un angolo della stanza, cominciarono a fissarmi dal momento in cui feci la mia entrata e da allora non mi tolsero più gli occhi di dosso.
“Che succede, ragazzi? Vi hanno ridotto lo stipendio, finalmente?”, dissi ad alta voce, cercando di ravvivare quel mortorio.
“Ciao, Biri.” Rispose a bassa voce Nello. E stop. Eh no. Non andava. Dovevo cercar di riportare un po’ d’allegria in quel locale. “Allora ‘sto Milan?” mi rivolsi a Nanni, sfegatato milanista, “va a finire che quest’anno non vince nemmeno la coppa del nonno” lo provocai cercando una reazione che smuovesse quella calma piatta. “Di che parli?” rispose invece Nanni piano piano, continuando a guardare davanti a sé e senza smuoversi di una virgola.
“Ragazzi” feci allora per sollecitare qualche commento “ma quante ne farà in un mese il Berlusca? Io dico quante il Bozzini ne fa in tutta la vita!!”.
Il Bozzini era il nostro collega più rozzo, triviale e battagliero; mi aspettavo una reazione esagerata.. Non rispose.
La cosa non era solo strana; diventava preoccupante. Mi voltai girando lo sguardo su tutta la saletta che costituiva il nostro bar. Beh, salvo i due sconosciuti, c’eravamo solo noi e Beppino. Vidi però che uno dei due scriveva qualcosa velocemente in un libriccino.
Provai l’ultima risorsa per far tornare il sorriso sulle labbra dei miei amici.
“Lo sapete come si è piazzato il Ragionier Caldini, che come si sa è il più cretino dell’intera Azienda, ai Campionati Mondiali dei Cretini?... Secondo!!”. Mi aspettavo il doveroso: “Perché?” ma nessuno commentò. Dovetti proseguire da solo: “Perché secondo? Ma perché è troppo cretino!!!” e scoppiai a ridere cercando di sollevare al riso anche quella banda di morti in piedi. Niente. Silenzio più silenzio.
Feci un cenno a Beppino; un gesto veloce con il pollice e l’indice della destra come a chiedere: “Ma che succede?”. Per tutta risposta il barista, senza muovere la testa, girò per un attimo gli occhi verso il tavolo dei due e poi li riportò velocemente nella posizione di partenza. “Ho capito” realizzai “Sono quelli il problema” e mentre mi apprestavo ad approfondire il mistero vidi che uno dei due, quello più alto che indossava un paio di occhiali neri (era quello che aveva scritto nel taccuino) si era alzato dalla sedia e si stava avvicinando al banco.
Ordinò un tè al limone, poi, rivolto Beppino: “Bella serata, non è vero?” chiese improvvisamente. Beppino era diventato più giallo del limone che lo sconosciuto aveva spremuto nella tazza di tè: “Oh.. non lo so” farfugliò “forse.” E, con la scusa di un bisogno improvviso, scappò nella toilette e non si vide più.
“Per me, il Milan, vincerà il Campionato. Lei che ne pensa?” fece allora quello, rivolto a Nanni. Il mio caro collega, famoso per essere più tifoso del più esagitato ultrà rossonero, rispose in un soffio: “Io? Mah.. Non seguo tanto il calcio. E poi io tengo per la Pro.. (si corresse), la Carrar.. (cambiò versione) il Burgess…” proseguì la parola con qualcosa di incomprensibile poi voltatosi velocemente corse all’attaccapanni, prese il giubbotto e sparì.
L’uomo non si smosse; voleva attaccar discorso anche se non ne capivo il motivo. Si rivolse al Bozzini e gli sparò a bruciapelo: “Lei, che ne pensa del nostro Presidente del Consiglio? Secondo lei merita di essere premier?”. Il Bozzini voleva essere morto. Alzò gli occhi al cielo in cerca di un aiuto ultraterreno, poi, visto che quello lo indagava con lo sguardo, dopo aver provato disperatamente a fingere di essere stato colpito da mutismo improvviso non potette esimesi dal rispondere: “Quale Presidente? Ahh.. Il Presidente… Come si chiama? Non ricordo il nome” si rivolse agli altri in cerca di aiuto “Come si chiama il Presidente del Consiglio??” ma tutti, come istruiti in precedenza si misero a fare “Chi?”, “Boh?”, Presiché?” fino a che lo sconosciuto rivoltosi a me direttamente mi chiese a bruciapelo: “Lei che ne pensa della situazione politica italiana?”. Non ne pensavo niente, gli dissi. Era vero.
E comunque intuivo che dovevo restare reticente, cauto, senza espormi. Anche se non ne capivo il perché.
Dopo altri dieci minuti di sofferenza, come Dio volle, quelli se ne andarono dopo aver lanciato una lunga occhiata su tutti noi. Appena usciti un sospiro di sollievo uscì all’unisono dai petti di noi tutti. “Ma chi diavolo erano quelli?” chiesi subito a Nello. Nonostante se ne fossero andati, il mio collega mi rispose in un soffio, all’orecchio: “Toghe Rosse….”, e si pose l’indice sulle labbra.
Ora l’atmosfera stava tornando più meno quella abituale anche se qualcosa di raggelante continuava a persistere nel bar.
Beppino, uscito dalla toilette ci chiese un favore: “Ragazzi, forza. Datemi una mano.” Così tutti ci demmo da fare a guardar sotto i tavoli, dietro le bottiglie o sotto le sedie per veder di trovare qualche cimice o qualche microfono spia. “Inutile” sospirò Beppino “Loro sanno come fare. Non si trova niente.” Poi disse che il giorno successivo avrebbe cambiato disposizione dei mobili e avrebbe fatto ritingere le pareti.
Ci salutammo e ci allontanammo in fretta da quel luogo. L’indomani ci saremmo rivisti in ufficio ma da quella sera non tornammo mai più al bar e Beppino non ci saluta più.

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