Missione del blog

Il Biri, il socio più anziano titolare della celebre Agenzia (*), ha l'abitudine, da anni, di annotare i suoi pensieri, le sue osservazioni e gli avvenimenti che gli accadono (anche i meno memorabili) in un taccuino che non mostra a nessuno e del quale è gelosissimo.
Ora, avuto il permesso di visionarlo, l'ho trovato per certi versi interessante (come tutto quello che concerne il Biri) e gli ho chiesto perché non lo pubblicasse in un blog. Impresa disperata: il Biri non sa usare nemmeno il telecomando del televisore, figuriamoci il computer! Impietosito ho deciso di aiutarlo e pertanto ecco qui il blog con le pagine del taccuino del Biri che potrete leggere e commentare ricordando sempre che il sottoscritto non si prende alcuna responsabilità del contenuto essendo il suo contributo solamente quello di una collaborazione tecnica e poco più.


Per saperne di più, leggere il post dal titolo: Ouverture.
R.M.

(*) L'Agenzia di Ascolto e Collaborazione Morale della quale parlerò appronditamente in un prossimo futuro su queste pagine.

Roberto Mulinacci

Codici

domenica 13 febbraio 2011

Dario tardava a telefonare. Erano già le sette e non sapevo ancora se la prenotazione per la solita cena in pizzeria, era stata fatta ed accettata.
Gli accordi erano che lui (Dario) avrebbe telefonato a Guido (il gestore della pizzeria) per sentire se eravamo in tempo per prenotare un tavolo per quella stessa sera (giovedì) alle 8; se non fosse stato possibile allora avremmo prenotato per sabato prossimo.
Alle sette e mezzo il mio cellulare ha intonato la Missa Solemnis di Bach (ognuno può avere la suoneria che vuole, o no?): era lui.
“Un’ora sono o non sono sessanta minuti?” gli ho fatto (sottintendendo: “L’hai prenotato il tavolo per stasera?”.
“Forse ma la nonna non vuol cantare.” ha risposto lui (volendo dire: “Non proprio. C’è un problema”).
“Il latte è bollito o è traboccato?” ho chiesto (come a dire: “Spiègati: di che si tratta?”).
“Quaglia, ma dopo un giro.” Ho capito. Voleva dire che per le 8 non  era possibile. Poteva però riservarci un tavolo per le 9.
Ho fatto un rapido calcolo. Alle 9 era troppo tardi. Meglio rinunciare e fissare direttamente per sabato.
“Non c’è brezza, stasera” gli ho comunicato.
“Amen” ha detto lui per farmi capire che aveva capito. Ho chiuso la conversazione e sono passato nel tinello.
“Ma come diavolo parlate al telefono?” mi ha detto poi mia moglie. “E come fate ad intendervi, te e Dario? Io non ci capirei una parola”.
“Davvero? Bene, bene. Va bene così” ho risposto. Mi sono fregato le mani, tutto contento.
“Ma insomma mi vuoi spiegare perché alla vostra età continuate a fare i ragazzini? Che sono questi sotterfugi, questo parlare da scemi, queste parole che non significano niente?” ha chiesto, decisa a saperne di più.
“Cara, non arrabbiarti” le ho spiegato a voce bassissima. “Tutto nasce da quando abbiamo capito, io e Dario, che potremmo non essere soli. Voglio dire quando vorremmo essere soli o meglio quando crederemmo di essere soli. Che so? Quando ci si telefona, per esempio. Quando si cammina per la strada, quando si clicca su Google, quando si manda un messaggio, quando si consulta il navigatore.. insomma in tutte le occasioni in cui non ci aspetteremmo che altri ci possano pedinare, o frugare nella nostra posta, origliare alle nostre porte, o ascoltare e registrare le nostre parole interessandosi morbosamente a quello che diciamo. Ebbene, ho saputo che, per dirne una ma solo una, quando due si telefonano, spesso c’è una persona che parla e due che ascoltano. E anche più di due. E a me non va, e non va nemmeno a Dario. Già mi dà noia che mi riprendano per la strada, o quando entro in un negozio o se vado in banca o prendo un treno. Non mi va che tutti i miei movimenti vengano scrutati, esaminati di nascosto, interpretati e giudicati da parte di gente che non conosco e che comunque non mi ha chiesto il permesso di spiarmi. E allora, noi ci comportiamo come si fosse in un grande campo di concentramento; democratico ovviamente, garantista alla massima potenza, ma comunque stranamente simile a quelli in uso nella vecchia e gloriosa DDR. Per opporsi a questi comportamenti noi abbiamo inventato un codice per parlare senza farci capire dagli altri. Certamente è faticoso e probabilmente inefficace, ma cerchiamo di trattare questi spioni importuni per quello che sono: pazzi pericolosi, malati paranoici che cercano di incastrare le persone per bene. Ah, a proposito: sabato si va a mangiare una pizza con Dario e sua moglie”.
Sono passati cinque secondi.
“Mi aggrappo e ti accudisco” ha fatto poi mia moglie, a voce alta.
Lì per lì non ho capito ma poi, tiratomi dietro un angolo mi ha detto sottovoce che quelle parole volevano dire “Ti capisco e sono d’accordo”. Perché ormai non si può sapere dove stanno le spie; forse anche nel tinello di casa tua.

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