Missione del blog

Il Biri, il socio più anziano titolare della celebre Agenzia (*), ha l'abitudine, da anni, di annotare i suoi pensieri, le sue osservazioni e gli avvenimenti che gli accadono (anche i meno memorabili) in un taccuino che non mostra a nessuno e del quale è gelosissimo.
Ora, avuto il permesso di visionarlo, l'ho trovato per certi versi interessante (come tutto quello che concerne il Biri) e gli ho chiesto perché non lo pubblicasse in un blog. Impresa disperata: il Biri non sa usare nemmeno il telecomando del televisore, figuriamoci il computer! Impietosito ho deciso di aiutarlo e pertanto ecco qui il blog con le pagine del taccuino del Biri che potrete leggere e commentare ricordando sempre che il sottoscritto non si prende alcuna responsabilità del contenuto essendo il suo contributo solamente quello di una collaborazione tecnica e poco più.


Per saperne di più, leggere il post dal titolo: Ouverture.
R.M.

(*) L'Agenzia di Ascolto e Collaborazione Morale della quale parlerò appronditamente in un prossimo futuro su queste pagine.

Roberto Mulinacci

RISORGIMENTO: Facce di marmo e facce di bronzo.

mercoledì 23 febbraio 2011

Il Risorgimento quest'anno è di gran moda; "colpa" o "merito" di Napolitano che non perde mai occasione di richiamare tutti ai valori ideali di quell'epoca e degli avvenimenti eroici (e meno eroici) che la caratterizzarono.
E' stata addirittura ideata in fretta e furia una nuova Festività Nazionale: il Giorno dell'Unità d'Italia, da celebrarsi il 17 Marzo, data che si rifà a quella analoga del 1861 quando fu istituito ufficialmente il Regno d'Italia.
A parte il fatto non trascurabile che, come già detto in questo blog, l'Unità d'Italia non risale affatto al 1861, anno in cui, giova ricordarlo, Roma non era ancora né italiana né Capitale del Regno (la Capitale era Torino) come non appartenevano all'Italia il Veneto, il Friuli, il Trentino e la Venezia Giulia (e definire unita una Italia senza Roma, Verona, Venezia, Udine, Treviso, Padova, Trento e Trieste mi sa di una bella forzatura), ma addirittura il Sudtyrol (chiamato poi a spregio, in italiano: Alto Adige), entrò a far parte dell'Italia solamente nel 1919 e, è bene ricordarlo, non per libera scelta bensì a seguito di una annessione territoriale susseguente ad una guerra vinta (senza grande merito).
Ma, a parte l'italianità dei sudtirolesi, che vengono riconosciuti come fratelli solo in occasione delle medaglie che questi vincono per i nostri colori alle varie Olimpiadi (e non solo invernali), è tutta la faccenda che puzza d'imbroglio lontano un miglio e siccome il Biri sente puzza di bruciato voglio dirvi perché questo subitaneo rigurgito di patriottismo mi lascia perplesso.
Ma insomma: un pò di dignità. Saranno passati si e no cinque anni da quando il popolo di Sinistra ostentava coccarde e sciarpe multicolori in ogni occasione, la parola d'ordine era "Internazionalismo contro tutti i nazionalismi" e le Bandiere Arcobaleno (chiamate chissà perché "della Pace") facevano baldanzosa mostra di sé persino nelle facciate degli edifici pubblici e sui tetti dei monumenti storici, un gadget demenziale, senza un significato certo e senza storia che gli ex-comunisti avevano copiato da altri e che era stato adottato senza alcun ripensamento proprio in opposizione al tricolore nazionale, considerato, questo, "di destra".
Addirittura nelle contrapposizioni politiche, per riconoscersi, quelli di sinistra inalberavano bandiere rosse e arcobaleno mentre gli altri (subito battezzati "fascisti") ostentavano la bandiera nazionale.
Ricordo a chi volesse scordarselo che il simbolo del P.C.I. era una enorme bandiera rossa che copriva (non lasciandone che un minimo bordo) un'altra bandiera bianco-rossa-verde e che comunque tutta la propaganda di sinistra denunciava e condannava in ogni occasione il deteriore attaccamento ai colori nazionali e a tutto quello che richiamasse, anche da lontano, il concetto "deteriore" di Patria o dimostrasse anche solo simpatia, (figuriamoci orgoglio!), per il sentimento nazionale.
Poi, sull'onda e sul timore dei successi leghisti e paurosi della possibilità di un sempre più spinto federalismo (che, a parte certe considerazioni, vorrebbe dire meno soldi da gestire da parte di chi finora li ha amministrati nel nome e per conto di altri) ecco la conversione ad U: una curva a 180 gradi così spericolata che nemmeno Alonzo ci si arrischierebbe a provarla a simili velocità; le nuove parole d'ordine della Sinistra, benedette da Napolitano e sponsorizzate da tutti i giornali progressisti sono istantaneamente diventate: Patriottismo, Risorgimento e Amor di Patria. Gli attivisti della CGIL (quelli che una volta sventolavano il libretto rosso di Mao) ora alzano trionfanti al cielo la bandiera dei Tre Colori e gli occhi dei proletari si fanno rossi di commozione e non riescono a trattenere una lagrima pensando alle fulgide gesta dei Padri della Patria. Italia, Italia! risuona nelle Case del Popolo e in tutti i Circoli Arci, tolti in fretta e furia i ritratti di Engels e Marx, si appendono alle pareti le gloriose stampe (anche se un pò sbiadite) di Garibaldi, Nazario Sauro e Nino Bixio!
Ma a dimostrazione che allo sprezzo del ridicolo non c'è mai fine, ecco la sceneggiata rappresentata sul massimo palcoscenico mediatico nazional-popolare da quell'icona della Sinistra (macché sinistra!: del Comunismo puro e duro! Chi non ricorda i suoi abbracci a Berlinguer (al quale dedicò anche un film) ed i suoi esilaranti monologhi alle Feste dell'Unità infarciti di battute corrosive su tutti coloro che avevano la sfortuna di militare nel Centrodestra); il Vate della Sinistra, il Grande Artista (proprio così è stato definito: Grande Artista) Roberto Benigni da Vergaio (Prato).
Il Roberto nazionale, annusato il cambiamento di clima e forte del successo tanto planetario quanto immeritato piovutogli addosso dopo le declamazioni della Divina Commedia (della Divina Commedia! di Dante! Benigni!!) ha pensato bene di ammannire a tutta Italia una Letio Magistralis nientepopodimeno che su quel popò di poema che va sotto il nome di "Fratelli d'Italia" (detto anche "Inno di Mameli" dal paroliere che, presumibilmente, lo compose).
Ebbene, in un delirio logorroico tanto inaspettato quanto oggettivamente fuori posto (parlando di tanto componimento poetico) il Benigni, rosso dall'emozione e spinto dalla foga patriottica si è lanciato in una sequela talmente incredibile, inattendibile e sciatta che, più per la boiata meritava forse il premio per il kitsch letterario dell'anno. 
Il Benigni pensiero si è estrinsecato in un insieme di fatti che, più che storici, sembravano tratti pari pari dal "Piccolo Balilla"; ha illustrato certe sottigliezze della rima mameliana come si potrebbero spiegare ai bambini delle elementari e, in un crescendo patriottico inaspettato e insospettabile da tutti quelli che lo conoscevano in versione universalistica, si è sbilanciato corpo ed anima in una dimostrazione di fede nazionalista che nemmeno D'Annunzio prima del volo su Vienna, nemmeno De Amicis, nemmeno tutte le Camicie Rosse tutte insieme, sarebbero stati in grado di immaginare, elaborare e proporre.
Le bellezze d'Italia sono state esaltate con aggettivi onestamente difficili persino a riportare (pena cadere nella comicità involontaria); la parola "Memorabile" è stata pronunciata decine di volte, la grandezza di Mazzini, Garibaldi e di tutta la Giovane Italia è stata portata ad altezze che nemmeno un fondamentalista risorgimentale dei primi del secolo scorso,  si sarebbe sognato di poter fare.
Dopo una quarantina e passa di minuti, trascorsi a farci balenare davanti agli occhi della mente: la bella Rosin, i Mille, la battaglia di Custoza, Cavour, i carbonari ed il Re Galantuomo, stanco e sudato, finalmente a corto di immagini eroiche e di gossip risorgimentali (la maggior parte dei quali o inattendibili o falsi), il Robertone, sazio di retorica ha salutato ed è uscito dal palco di Sanremo inseguito da battimani esagerati, applausi interminabili e standing ovations da parte di tutti i presenti e, credo, persino da chi ha seguito, allibito ma coinvolto, la performance da casa.
Ho pensato a lungo a quella penosa esibizione (e altrettanto penose sono state tutte recensioni superentusiaste che hanno commentato il pompieristico monologo) speculando, con il pensiero, su quanto caduche siano le certezze umane. Benigni patriota? Bersani e Di Pietro risorgimentalisti? Tutta la Sinistra nazionalista?
Che cavolo stava succedendo? Poi ho realizzato la verità e ho finalmente compreso la vera grandezza di Benigni. Come non ci avevo pensato fin dall'inizio? Come avevo potuto pensare ad un giro di valzer così drastico come quello che sembrava aver compiuto il comico toscano?
Invecchio, lo so. Sono lento (o duro) di comprendonio. Ma poco alla volta ci sono arrivato.
Lo show di Benigni non era stato altro che una macchietta, una satira (lui che della satira è un maestro) per mettere alla berlina i nazionalisti, i patrioti, i fautori dell'Italia Uber Alles. Vedete? Ci ha detto Roberto; così fanno i fascisti. Queste sono le parole che usano quelli di destra. Ora che lo avete visto sapete come riconoscerli. Satira era; una imitazione; una gogna mediatica per quelli di destra messi così ingloriosamente alla berlina! Diabolico Benigni! Grande popolo della Sinistra!  E io che all'inizio avevo pensato che amassero veramente l'Italia!

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