Missione del blog

Il Biri, il socio più anziano titolare della celebre Agenzia (*), ha l'abitudine, da anni, di annotare i suoi pensieri, le sue osservazioni e gli avvenimenti che gli accadono (anche i meno memorabili) in un taccuino che non mostra a nessuno e del quale è gelosissimo.
Ora, avuto il permesso di visionarlo, l'ho trovato per certi versi interessante (come tutto quello che concerne il Biri) e gli ho chiesto perché non lo pubblicasse in un blog. Impresa disperata: il Biri non sa usare nemmeno il telecomando del televisore, figuriamoci il computer! Impietosito ho deciso di aiutarlo e pertanto ecco qui il blog con le pagine del taccuino del Biri che potrete leggere e commentare ricordando sempre che il sottoscritto non si prende alcuna responsabilità del contenuto essendo il suo contributo solamente quello di una collaborazione tecnica e poco più.


Per saperne di più, leggere il post dal titolo: Ouverture.
R.M.

(*) L'Agenzia di Ascolto e Collaborazione Morale della quale parlerò appronditamente in un prossimo futuro su queste pagine.

Roberto Mulinacci

IL CAPPOTTO

domenica 3 aprile 2011

Lo so che è difficile crederci Dario, ma ti assicuro che è la pura verità. Non so spiegarti “veramente” com’è fatto. Posso dirti solo che è pesante, scuro e robusto, che si attaglia a tutti, uomini e donne, e non si consuma mai. E soprattutto costa poco, anzi, pochissimo rispetto a quello che dà; e dà tanto, più di quanto uno potrebbe mai sognare di avere. Tu mi chiedi di che cosa è fatto. Dario, cosa vuoi che ne sappia? So solo che deve essere fatto di stoffa buona considerato che moltissimi se lo mettono in ogni occasione, lo tengono quando leggono un giornale, quando guardano una trasmissione in TV, quando vanno al cinema e non rinunciano a indossarlo nemmeno quando devono fare una dichiarazione, nemmeno quando si siedono per scrivere una lettera, o un articolo, o per chattare su Internet. Qualcuno se lo tiene stretto anche quando (scusa la franchezza) si apparta in bagno per certe funzioni corporali; conosco coppie che non se lo tolgono nemmeno quando fanno all'amore.
Come è fatto? Beh, è un cappotto di taglio classico, sembrerebbe forse un pò ingombrante dato che copre la persona dalle spalle alle ginocchia, ma ti assicuro che ti protegge da tutte le intemperie; insomma, ti fa star bene. Indossarlo è facile, anche troppo; semmai è difficile toglierselo di dosso perché quando ci si è fatta l'abitudine non ci si leva più (salvo quando siamo a casa, stesi nel letto in attesa di prender sonno, nei pochi momenti aurei in cui si può lasciar libera la mente di volare dove vuole e le cose ci appaiono in un lampo – ma domani ci se ne scorderà – per quello che sono e non per quello che vorremmo che fossero). La parte più bella del cappotto però non sono le sue ampie tasche dove ci si può riporre di tutto, non è la sua fodera lucida che fa brillare gli occhi a chi la vede. Sono i suoi bottoni: cinque grossi bottoni gialli e luccicanti che sembrano d'oro. Tu forse osserverai che cinque grossi bottoni dorati in un cappotto scuro rischiano di far sembrare chi lo porta una specie di maresciallo dell'Esercito o un portiere di un Grand Hotel ma io ti dico (io che quel cappotto non l'ho mai indossato ma che a forza di vederlo addosso a tanti amici e conoscenti, posso dire di conoscerlo benissimo), io ti dico che invece dona. Quel cappotto ti dà importanza, ti fa passare per uno importante, uno tosto, sveglio, intelligente, e inoltre fa sembrare azzeccate le tue opinioni, dà una sorta di lasciapassare alle tue idee. Credimi, Dario: anche il più cretino, non dico degli uomini normali, ma anche dei giornalisti, dei conduttori televisivi, degli scrittori e dei registi, quando si presenta ammantato col suo bel cappotto chiuso da quei meravigliosi cinque bottoni similoro riesce a fare la sua porca figura qualunque cosa dica, o rappresenti.
Il taglio forse è un po’ antiquato (pare che la sua forma derivi da un certo tipo di pastrano militare che faceva parte della dotazione dell’esercito sovietico) ma mi dicono (e non ho motivo di dubitarne, visto come va di moda anche ai giorni nostri, specie in Italia) che una volta indossato è talmente comodo che non ci se ne stacca più. E inoltre pare che possegga una qualità prodigiosa: quella di attagliarsi perfettamente al corpo di chi lo indossa. Insomma, nonostante la sua grana grossa e la sua pesantezza, in breve tempo diventa come una seconda pelle e non se ne può più fare a meno. Non c’è pioggia, gelo o neve che riesca a trapassare la stoffa di quel cappotto; mi dicono che chiusi là dentro non si avverte mai il freddo e ci si sente pronti ad affrontare qualunque sfida, qualunque dibattito, qualunque minaccia. E non c’è dubbio, non c’è titubanza, non c’è prova contraria che riesca a superare la barriera di quella stoffa: protetti dalla sua trama e dai suoi cinque bottoni possiamo superare qualsiasi pericolo, possiamo controbattere vittoriosamente qualunque affermazione, possiamo vincere ogni sfida dialettica, possiamo proporci come depositari della Verità assoluta.
Il cappotto ci fa da scudo e da riparo, ci apre le strade davanti e ci difende dai nemici, ci rappresenta al mondo come “giusti”, ci innalza, dà ragione alle nostre idee, offre diritto di cittadinanza alle nostre affermazioni (anche le più strampalate, mi dicono).
Questo so e questo scrivo: e non ho nessun motivo di dubitare di queste affermazioni. Io, da parte mia, quel cappotto non l’ho mai indossato e penso che non lo indosserò mai. E’ troppo pesante da portare, per me. E, a parte il modello vetusto, c’è qualcosa nel suo taglio che non mi si addice. Forse è la stoffa che non mi piace,  forse sono i bottoni (troppo pacchiani per i miei gusti) che mi respingono, o forse… forse…
Ho trovato: è l’odore. Quel tipo di cappotto emana un odore particolare. Un odore quasi inavvertibile ma che a ben annusare diventa evidente anche ai nasi meno esercitati. Chi indossa il cappotto giura di non sentirlo ma coloro che hanno a che fare con chi lo porta non hanno dubbi: l’odore c’è. Eccome. E’ un odore che sa di stantìo, un afrore esile esile ma evidente che richiama come un misto di ragnatela e di pozzo nero; una puzza più che un odore, insomma. Evoca brutti pensieri quell’odore, fa intravedere uno squallido passato e presagisce un triste futuro. Ecco perché preferisco indossare senza rimpianti il mio vecchio giaccone blu stile pescatore, quello con quattro tasche chiuse da una cerniera lampo e senza alcun bottone. Certo è un po’ stinto, un po’ sdrucito; c’è anche qualche macchia un po’ sbiadita. Ma è fresco, mi ci sento a mio agio e mi dà una piacevole sensazione di libertà. E non puzza.

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