Missione del blog

Il Biri, il socio più anziano titolare della celebre Agenzia (*), ha l'abitudine, da anni, di annotare i suoi pensieri, le sue osservazioni e gli avvenimenti che gli accadono (anche i meno memorabili) in un taccuino che non mostra a nessuno e del quale è gelosissimo.
Ora, avuto il permesso di visionarlo, l'ho trovato per certi versi interessante (come tutto quello che concerne il Biri) e gli ho chiesto perché non lo pubblicasse in un blog. Impresa disperata: il Biri non sa usare nemmeno il telecomando del televisore, figuriamoci il computer! Impietosito ho deciso di aiutarlo e pertanto ecco qui il blog con le pagine del taccuino del Biri che potrete leggere e commentare ricordando sempre che il sottoscritto non si prende alcuna responsabilità del contenuto essendo il suo contributo solamente quello di una collaborazione tecnica e poco più.


Per saperne di più, leggere il post dal titolo: Ouverture.
R.M.

(*) L'Agenzia di Ascolto e Collaborazione Morale della quale parlerò appronditamente in un prossimo futuro su queste pagine.

Roberto Mulinacci

LETTERE SENZA RISPOSTA. –Ragazze.

mercoledì 25 maggio 2011

“Caro Biri,
hai notato che in giro non ci sono più ragazze?
Non so tu, ma io che sono abbastanza all’antica ma ancora relativamente giovane, reputo la cosa estremamente preoccupante. Quello che mi lascia basito è che, a sentire gli esperti (che dicono la loro su tutto e da ogni parte) le donne in generale e, presumo, le ragazze in particolare, si stanno espandendo. Sono più le donne di noi uomini, pare, e continuando con quest’andazzo c’è solo da sperare che il genere umano arrivi presto a riprodursi per partenogenesi perché i pochi uomini che di qui a qualche anno resteranno su piazza, oltre ad ingegnarsi a sopravvivere nei regimi di matriarcato che inevitabilmente verranno istituiti in tutti i Paesi del mondo, figurarsi se se la sentiranno ancora di impegnarsi, come facevano in passato, in tutto quel popò di cerimoniale che partendo dal puntamento, passa dal corteggiamento, giunge quindi al petting per poter poi arrivare stremati alla sudatissima e spesso velleitaria scopata remuneratrice. Scopare chi poi, dato che non ci sono più ragazze! (Ci sono sì adolescenti di sesso femminile ma queste a me non interessano. Mi interessano le ragazze!). Una volta le ragazze si dividevano in tre grandi categorie: le studentesse, le lavoratrici e le atte-a-casa. Oggi? Niente di niente; estinte, cambiate, o imbastardite, le tre categorie non ci sono più. Guarda un po’ le studentesse; o dove sono? O come sono fatte? O da che si riconoscono? Io non le vedo. Ricordo che ai miei tempi uno dei momenti imperdibili, uno di quei momenti che ti riconciliava con l’universo e che ti faceva pensare che veramente esisteva un giusto Dio che è buono e ti ama se ti permetteva di godere di momenti come quelli, era l’uscita di scuola delle liceali. Ti mettevi in postazione un quarto d’ora prima che suonasse la campanella e tutto quello che dovevi fare era aspettare. E io aspettavo con fiducia.
Per un po’ non succedeva niente, poi, lontano, ovattato, ma distinto, ecco il suono della campanella! Il tempo di mettersi bene in vista e di scegliere la posizione più strategicamente vantaggiosa (proprio davanti al cancello della scuola, in modo che le studentesse che sciamavano via quasi ti investivano, e sentivi il loro fresco profumo di fragrante lavanda o di modesto Camay, coglievi i loro sguardi, godevi dei loro sorrisi e, a volte, ce la facevi anche a farti sfiorare dai loro corpi fuggitivi) ed ecco la felicità! Decine e decine di giovani ragazze, tutte dai tredici ai vent’anni (ripetenti queste; ma chi se ne fregava!) ti venivano incontro ridendo e cinguettando tra loro, tutte con le loro sottanine al ginocchio scampanate o a pieghe, e i calzini bianchi sopra le scarpette colorate senza tacco, e la camicetta con il colletto che sporgeva da sotto il golfino e il pacco dei libri stretto al seno. I capelli lunghi, biondi o bruni, tenuti insieme da una larga passata, esaltavano senza coprirlo un viso solare, spesso tempestato da una minigrandinata di lentiggini dorate e le belle labbra rosse, rese lucide dal burro cacao, mostravano irresistibili, splendenti dentro un sorriso timido ma aperto e spensierato, i bei dentini color perla. A far finta di cercar di resistere a quel fiume in piena che ti investiva in pieno petto ti sembrava di rinascere. Almeno, a me mi sembrava.
E oggi? Hai provato ad aspettare la campanella davanti ad un liceo di oggi?
Già la vista della scuola dà una bella mano a toglierti dalla testa, casomai tu ne avessi, eventuali pensieri erotici.
I muri di pietra del tempio che dovrebbe essere  il simbolo stesso della scienza e della disciplina sono tutti coperti fino ad un’altezza di 2 metri da ghirigori e scarabocchi senza senso tracciati a spregio (per far vedere quanto siamo ribelli, fratello!) con spray indelebili dei colori più smaccati. Ci sono anche delle scritte (o almeno tali potrebbero essere) interlacciate con le spirali, i vortici ed i ghiribizzi grafici a comporre l’orrendo porcaio(anche se è stato deciso, visto che non si riesce ad impedire lo scempio, di definire quei troiai: “Arte di Strada”). Si distingue un “Gooof!” rossissimo e un “free-trip” tutto spirali goticheggianti; forse le parole d’ordine degli studenti stradartisti. Davanti, appoggiati ai muri della scuola, intasanti tutti e due i lati della strada che vi conduce e riempiendo all’inverosimile la piazzetta che le dà accesso, un oceano di motori, motorini, moto e comunque mezzi di locomozione a due ruote tutti delle più incredibili varietà ma unificati nell’essere, tutti, parcheggiati a “c..o di cane” nel modo cioè che più può ostacolare il cammino dei malcapitati non-studenti che passano da quelle parti. In queste condizioni quale può essere la posizione più strategica dove conviene mettersi ad attendere il suono della campanella? Boh; mettiamoci davanti al cancello.. “Ahò, lì non si può stare. Lasciare libero il passo!” fa una voce strafottente ed invisibile. Mi sposto di lato. Aspetto. Poco prima che la campanella suoni ecco che già alcuni studenti cominciano ad uscire. Corrono via alla spicciolata; forse hanno un permesso speciale per cui possono uscire, solo loro, non dopo il suono della campanella ma (chissà perché) un minuto prima. “Driiiiiiiiiiiiinnn! (ad libitum)”. Ci siamo. Pregustiamoci l’ondata delle ragazze! Manco per niente! Una marea nera o cangiante dal nero al grigio scuro, si muove velocemente verso il mio rifugio. Guardo bene: sono tutte femmine! Queste (mi dico per convincermi) sono ragazze; hai capito? Ragazze! Non ci credo; non lo ammetto; non mi capacito. L’orda che avanza è triste, senza colori, senza allegria; tutte indossano vestiti che si potrebbero definire uniformi asessuate: nessuna gonna, nessuna sottana, nessun vestitino completo; solo jeans o pantaloni neri (alcuni con macchie, altri con strappi) ma tutti rigorosamente fuori taglia. O troppo larghi, o troppo (troppissimo) stretti, o corti in vita (ché davanti si veda l’ombelico e da dietro, il solco delle meluzze) o lunghissimi in modo che la tipa in questione possa camminare solo pestandone l’orlo. Addosso, tutte, giubbotto nero, spesso con borchie. E capelli neri o scuri, e rossetti scuri e demenziali anelli metallici inchiodati a casaccio nel viso ad accentuarne lo squallidume. Al collo, tutte con la famosa sciarpina stile  Al-Fatah, ché si veda come siamo pacifiste e rivoluzionarie, par vadano dicendo! Nessun viso da ricordare, nessuno sguardo che possa infiammarti, nessun fruscìo di gonne che ti solletichi e nessuna gamba da valutare con sguardi da presunto intenditore… solo un omologamento acritico su un modo di apparire asessuato che “deve” essere seguito. Escono a passo svelto, molte sembrano impegnate in discussioni violente a giudicare dal tono altissimo della voce con la quale urlano nel telefonino, altre si spintonano (urla: “C…, mavaff…lo!), qualcuna accende subito una sigaretta. Nessuna sorride. Sorrido a una, quella che mi sembra la più carina… “Aò, che ciài da guardà?” fa la tipa scuotendo il capo e lanciandomi uno sguardo pieno di commiserazione. La turba monocromatica si dilegua in due minuti tra sgassate di motorini, urlacci e strombazzate di clacson.
E le ragazze? Dove sono finite le mie ragazze?”

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