Missione del blog

Il Biri, il socio più anziano titolare della celebre Agenzia (*), ha l'abitudine, da anni, di annotare i suoi pensieri, le sue osservazioni e gli avvenimenti che gli accadono (anche i meno memorabili) in un taccuino che non mostra a nessuno e del quale è gelosissimo.
Ora, avuto il permesso di visionarlo, l'ho trovato per certi versi interessante (come tutto quello che concerne il Biri) e gli ho chiesto perché non lo pubblicasse in un blog. Impresa disperata: il Biri non sa usare nemmeno il telecomando del televisore, figuriamoci il computer! Impietosito ho deciso di aiutarlo e pertanto ecco qui il blog con le pagine del taccuino del Biri che potrete leggere e commentare ricordando sempre che il sottoscritto non si prende alcuna responsabilità del contenuto essendo il suo contributo solamente quello di una collaborazione tecnica e poco più.


Per saperne di più, leggere il post dal titolo: Ouverture.
R.M.

(*) L'Agenzia di Ascolto e Collaborazione Morale della quale parlerò appronditamente in un prossimo futuro su queste pagine.

Roberto Mulinacci

L'ora di Natuzza

mercoledì 11 aprile 2012

Ieri, tornando a casa, sono passato per i giardini pubblici. A dire perché l'ho fatto, onestamente non saprei dare una risposta attendibile; ho sempre diffidato da simili luoghi dove, tra traballanti piccioni curiosi che ti intralciano il cammino e i soliti marmocchi vocianti si possono incontrare solo badanti in libera uscita, patetiche peripatetiche (notare il bel gioco di parole), tristi pensionati e giovinastri dal ghigno feroce o disperato. 
Fatto sta che, mentre traversavo il largo spiazzo ghiaioso a passo piuttosto svelto, ho notato, seduto in disparte su una panchina, un uomo con viso che non mi era ignoto, qualcuno che avevo già visto e che sul momento non riuscivo a inquadrare nella memoria per dargli un nome. Mezza età... capelli grigi... dove lo avevo visto? Era un vecchio conoscente che non riuscivo a ricordare? Era una persona famosa che avevo conosciuto in televisione? Boh.. L'uomo stava seduto nella panchina a testa bassa, gli occhi socchiusi e una espressione abbacchiata che stonava con la sua figura sobriamente elegante. Ho provato a guardarlo meglio, senza dare nell'occhio però, per non sembrare importuno, o invadente. Aveva la barba non fatta, larghe occhiaie e ogni tanto scuoteva la testa senza alzare lo sguardo, come fosse immerso in gravi, tristi pensieri.
Poi, improvvisamente un lampo nella mia mente: "Zac!".  L'avevo riconosciuto. "Ecco chi è!" ho gridato (dentro di me).
Si trattava nientepopodimeno che del Professor Antonio Ereditato, uno dei responsabili del CERN, quello passato agli onori (prima) e agli oneri (poi) della cronaca mondiale per il famoso esperimento del superneutrino, quello che andava (almeno a sentir lui, l'Ereditato) più veloce della luce.
Per qualche giorno il professore era salito agli onori della cronaca scientifica per il suo storico contributo all'immagine della ricerca scientifica italiana; quando poi il suo esperimento si era rivelato una bufala, il professore, sbeffeggiato dalla stampa mondiale, aveva dovuto chiedere (essendone subito accontentato) di essere messo a riposo.
Eccolo lì, ora. Ai giardinetti, solo, intristito, pensando alle sue disgrazie, evidentemente.
Beh, l'occasione era ghiotta. Con una scusa mi sono avvicinato al tipo e, dopo esser riuscito ad attaccar discorso basandomi sulla mia famosa faccia tosta, sono riuscito a porgli alcune domande che mi stavano particolarmente a cuore; domande alle quali, devo dire, il professor Ereditato ha risposto di buon grado. Forse aveva bisogno di qualcuno con il quale sfogarsi, qualcuno al quale raccontare cos'era veramente successo in quel maledetto esperimento, per liberarsi il cuore da un dolore insopportabile.
"Mi dica tutto, Professore" gli ho detto "si confidi con me che, anche se sono per ora un illustre sconosciuto, aspiro ad esser considerato suo amico. Cominciamo dal giorno di quel famoso esperimento".
"Quel giorno... giorno maledetto" ha sospirato Ereditato. Poi ha proseguito:
"Quel pomeriggio era tutto pronto, al CERN. L'esperimento che avrebbe dovuto certificare la più grande scoperta del millennio era stato preparato da mesi. Si trattava di lanciare un neutrino (le risparmio il nome scientifico; noi del CERN lo avevamo soprannominato: Triny) dal laboratorio del Gran Sasso e misurare dopo quanto tempo sarebbe giunto a Ginevra dove, fior di fisici famosissimi e muniti dei sistemi di misurazione più precisi e complessi lo stavano ansiosamente aspettando. D'altra parte la verifica della sua velocità era relativamente semplice da appurare: se il neutrino fosse giunto a Ginevra in un tempo minore di quello che la luce avrebbe impiegato a compiere lo stesso percorso, la mia teoria sarebbe stata convalidata e certificata senza ombra di dubbio. Poiché infatti è la velocità della luce che determina il passaggio del tempo si può dire che se Triny fosse arrivato a Ginevra prima di partire dal Gran Sasso la mia teoria sarebbe stata confermata. Ci pensa! La teoria di Einstein messa in soffitta! Tutte le ipotesi sullo spazio-tempo, sulla creazione dell'Universo e del Big Bang avrebbero dovuto essere riviste, ed il mio nome, quello di Antonio Ereditato, sarebbe risuonato in tutte le assemblee scientifiche, sarei entrato di diritto tra i più grandi scopritori dell'Umanità, citato in tutti i libri di testo, invitato ai consessi più prestigiosi, ricercato dai Grandi della Terra. Insomma sarei diventato l'Uomo più famoso del mondo! Accidenti alla Natuzza!".
Quest'ultima imprecazione mi giunse inaspettata. Ero stupito: chi era questa Natuzza? cosa mai aveva suscitato tanta ira nei ricordi del professore? Ma Ereditato, che aveva visto il mio sconcerto, ha fatto un gesto con la mano come a dire: "Dopo... dopo..." e ha proseguito:
"Quella mattina (l'esperimento doveva essere effettuato alle prime ore del mattino per certe ragioni elettrofisiche che non starò a spegarle), l'intero staff del CERN era in attesa davanti all'enorme macchinario che avrebbe permesso di dare il via all'esperimento del millennio. Io era seduto al posto di controllo, pronto a premere il bottone rosso con su scritto: "RUN!", e pronto a rispondere al telefono che collegava il nostro laboratorio con quello di Ginevra. Guardo nervosamente, ansiosamente il mio grande orologio elettronico... Inizia il conto alla rovescia che, giunto alle ore 5 avrebbe dato inizio all'operazione. Il cronometro scandisce i secondi... ne mancano solo 10 alle ore 5; poi... -meno 4- meno 3- meno 2- meno 1-: VIA! Le cinque! Premo il bottone, Triny scatta come un fulmine, l'esperimento è iniziato!.  Sento urla di gioia al telefono. La suspense è alle stelle; chiedo con voce roca se Triny è giunto a destinazione e in che tempo. Da Ginevra mi rispondono: "Il vostro neutrino è giunto qui da noi alle ore 4 e 10 secondi! Garantito al limone!". E' un tripudio! Triny è giunto prima di partire! La luce, Einstein, il Big Bang vadano a farsi benedire! Tutta la fisica deve essere rivista! Sono io, il professor Antonio Ereditato, il nuovo padrone dell'Universo!".
Il professore a questo punto si fermò. Si asciugò una lacrima che aveva cominciato a scendergli giù per il viso, poi si erse su tutta la sua statura e, i pugni stretti alzati contro il cielo tempestoso, la bianca chioma ondeggiante al vento di tramontana, gridò: "E invece... Maledetta sii tu, ovunque tu ti trovi, o Natuzza Pecorelli!".
Era un mistero; volevo vederci chiaro: "Professore si spieghi. Perché l'esperimento fallì? E chi è questa Natuzza Pecorelli?".
Solo dopo un tempo che mi parve lunghissimo l'Ereditato riuscì a ritrovare la calma necessaria per proseguire il suo racconto.
"La signorina Pecorelli Natuzza era una delle donne delle pulizie impiegate al CERN; una di quelle indispensabili, operose femmine che ogni sera, quando il personale tecnico esce dal laboratorio, passano di stanza in stanza a lavare i pavimenti, svuotare  i cestini, lucidare gli scaffali e pulire i bagni in modo che i locali, all'indomani, risultino lindi e decorosi. Bene, detto questo bisogna dire che la signorina Pecorelli era la lavoratrice più servizievole del mondo. Quello che quella benedetta donna più desiderava era farsi benvolere da tutti e per questo era sempre la prima ad entrare e l'ultima a uscire, sempre pronta se c'era da fare un'ora di straordinario e disponibile per qualunque lavoretto gli fosse richiesto, anche se esulava dalle sue mansioni, anche fuori dall'orario di servizio."
Lo guardavo, in silenzio. Sì, va bene, ma allora?
"Due furono i responsabili del mio fallimento: una notizia e la signorina Natuzza Pecorelli. Ecco gli strumenti diabolici di cui si è servito il destino per rovinarmi" proseguì lentamente il professore.
Non capivo. Una notizia? La signorina Natuzza?
"Ma si spieghi, professore. A quale notizia si riferisce? E in che modo si rivelò così ferale?" chiesi  con impazienza.
"L'introduzione dell'ora legale. Forse ricorderà che il giorno del famoso esperimento coincideva con quello in cui l'Europa (salvo pochi Stati) adotta l'ora legale. Si chiama anche ora estiva, serve per recuperare un'ora di luce e richiede che gli orologi dei Paesi che la adottano vengano rimessi avanti di un'ora. Una operazione banale che viene compiuta in pochi secondi ma che può nascondere terribili insidie. La sera della vigilia avevamo ovviamente tenuto conto del fatto e avevo appositamente incaricato un mio collega affinché, il giorno successivo, non appena fossimo giunti al laboratorio, si preoccupasse di mettere le lancette avanti di un'ora. Naturalmente la stessa manovra sarebbe stata fatta nel laboratorio di Ginevra poiché anche la Svizzera, come noi, adotta nello stesso giorno l'ora legale. Bene, date queste disposizioni ce ne andiamo tutti a dormire, eccitatissimi per la grande giornata che ci attendeva....ma..."
"Ma?" chiesi con voce alterata
"Ma non avevamo fatto i conti con la maniacale precisione della signorina Natuzza. La ragazza si era trattenuta fino a tardi per compiere le sue mansioni e, quando, terminato il suo lavoro, si apprestava ad andarsene finalmente a casa a gustarsi il suo meritato riposo, si accorse di essere rimasta completamente sola nell'enorme laboratorio del CERN. Prima di spengere le luci ed uscire notò sulla lavagna che usiamo per gli appunti e i promemoria la scritta "Mettere gli orologi un'ora avanti!" che avevo scritto affinchè il collega Perruccelli, incaricato di provvedere al passaggio all'ora legale il mattino successivo, non se ne dimenticasse. Ma Natuzza, giovane ingenua e servizievole (che Dio la strafùlmini), pensando che quella nota scritta sulla lavagna fosse un ordine per lei, non ci pensò due volte e rimise avanti di un'ora il grande orologio della sala degli esperimenti. Poi la disgraziata se ne andò tranquillamente a dormire" fece Ereditato, sempre più alterato a ricordare tali terribili eventi.
"Avanti, professore. Vada avanti. E poi?" domandai avidamente. Sentivo che stava per essermi rivelata la chiave del mistero.
"Bene. Giungono le prime ore del mattino, e tutti i tecnici, e me medesimo, entriamo, eccitati per il grande evento che stava per compiersi, nel laboratorio. Il Perrucelli, il tecnico incaricato dell'ora legale, letto quanto stava scritto sulla lavagna, subito rimette avanti di un'ora l'orologio del laboratorio e si accerta, telefonando ai colleghi svizzeri, che anche loro abbiano provveduto alla stessa operazione. -Ok. Procedete- è la loro risposta. E così ci prepariamo all'esperimento, inizia il conto alla rovescia, poi dò il via a Triny e.... il resto lo immagina. Triny arriva sì a Ginevra quasi un'ora prima di quando è partito, ma... ma... (e qui il Professor Ereditato scoppiò in un pianto dirotto).. ma solo perché noi avevamo rimesso il nostro orologio avanti di due ore invece di una! Il nostro orologio segnava un'ora in più: l'ora di Natuzza! Ah, la gran tròia!"
Antonio Ereditato non potè proseguire; i singhiozzi lo soffocavano. Cercai di calmarlo anche per evitare che intorno a noi si facesse gente. Finalmente il povero Professore si quietò.
"Signor Biri, lei è il primo a cui ho raccontato queste cose che restano un segreto noto solo a noi del CERN. Il seguito può immaginarselo: quando la storia della velocità di Triny si è rivelata fasulla, ho dovuto dimettermi e, dall'oggi al domani, eccomi qui: solo, abbandonato da tutti e oggetto del più feroce sarcasmo da parte di tutti i miei ex-colleghi. Come ricordo di ciò che è avvenuto ecco cosa mi resta."
ed Ereditato estrasse dalla tasca della giacca un oggetto che lì per lì non riconobbi. 
"Prenda, prenda pure" fece il professore porgendomelo "Ma faccia attenzione".
Era una piccola scatola, una scatolina di metallo del tipo di quelle che una volta contenevano le celebri pasticche Valda. La soppesai: sembrava vuota. Guardai il professore con un'aria come a dire: "Embè?".
"La apra, la apra pure" fece lui. 
Aprii la scatola, guardai bene dentro per vedere cosa contenesse. Niente. Vuota.
"Ah, mi scusi" disse l'Ereditato vedendo la mia espressione sconcertata "Dimenticavo che non può vederlo senza il nanoscopio monucleare" e mi passò una specie di monocolo che mi affrettai a piazzare davanti al mio occhio destro.
"E adesso guardi; guardi bene. Lo vede? E' lui. E' Triny".
Con l'aiuto del futuristico aggeggio (il nanoscopio monucleare) potei esaminare la scatolina da cima a fondo (sembrava immensa). In un angolino c'era lui, Triny, il neutrino che per un giorno aveva fatto parlare di sé il mondo intero; anche se così piccolo da risultare invisibile ad occhio nudo con l'aiuto del nanoscopio potei vederlo abbastanza bene. Stava seduto, con il capo nascosto tra le ginocchia (almeno così mi parve). Quando si accorse di essere osservato, sollevò di scatto la testa e mi fece una linguaccia. Poi si rimise nella posizione primitiva.
Ho richiuso la scatola e l'ho resa al Professore senza dire niente.
"Lo scusi. Non è musone ma questa vicenda ha scosso profondamente anche lui" ha detto il Professor Ereditato; poi ha proseguito:
"Quando sono stato allontanato dal CERN, Triny ha voluto condividere il suo destino con me. Beh, non sarà così veloce come presumevo, ma mi ha dimostrato di avere un cuore d'oro".
Essersi confidato con me aveva un poco alleviato le pene del celebre fisico. Ci siamo abbracciati prima di salutarci. Chissà se ci rivedremo ancora.

0 commenti:

Posta un commento