Missione del blog

Il Biri, il socio più anziano titolare della celebre Agenzia (*), ha l'abitudine, da anni, di annotare i suoi pensieri, le sue osservazioni e gli avvenimenti che gli accadono (anche i meno memorabili) in un taccuino che non mostra a nessuno e del quale è gelosissimo.
Ora, avuto il permesso di visionarlo, l'ho trovato per certi versi interessante (come tutto quello che concerne il Biri) e gli ho chiesto perché non lo pubblicasse in un blog. Impresa disperata: il Biri non sa usare nemmeno il telecomando del televisore, figuriamoci il computer! Impietosito ho deciso di aiutarlo e pertanto ecco qui il blog con le pagine del taccuino del Biri che potrete leggere e commentare ricordando sempre che il sottoscritto non si prende alcuna responsabilità del contenuto essendo il suo contributo solamente quello di una collaborazione tecnica e poco più.


Per saperne di più, leggere il post dal titolo: Ouverture.
R.M.

(*) L'Agenzia di Ascolto e Collaborazione Morale della quale parlerò appronditamente in un prossimo futuro su queste pagine.

Roberto Mulinacci

Senso Civico

lunedì 26 novembre 2012

"Ma Biri, cosa diavolo ti succede?" Dario sembrava veramente preoccupato "Non ti si sente più, non ti si vede più...; non ti si legge nemmeno più (si riferiva a questo blog). Cosa fai? Hai smesso di esternare? Ti sei ritirato a vita privata proprio ora?" (che ce ne sarebbero di cose da dire, intendeva). Eravamo in quel bar, seduti ad un tavolo davanti al nostro solito (caffè per lui, tamarindo caldo per me) e mi trovavo in uno stato fisico e mentale di così buona disposizione che non mi sentivo di lasciar cadere la domanda, né di svicolare (dialetticamente, intendo). 
"A cosa ti riferisci, in particolare?" gli risposi gentilmente ma con un'altra domanda, così, per lo spettacolo.
"Beh, alla situazione politica, economica e sociale del momento; all'aria particolare che si respira; alle prossime elezioni, per esempio". Si zittò. Un sorrisino gli aleggiava sulle labbra. Alzò la tazzina alle labbra scolandone l'ultima goccia e si pose in paziente attesa. Attesa vana. Muto, me ne restai.
"Ecco" riprese il mio amico vedendo che la conversazione non proseguiva "Scommetto che tu alle prossime elezioni ti asterrai. Disfattista" concluse, per provocare la mia reazione.
Il bicchiere di tamarindo era ancora mezzo pieno; ce n'era di tempo da perdere, tanto valeva dargli spago anche perché l'argomento, a esser sinceri, si prestava a diverse, allegre, intorcinature dialettiche.
"Ma Dario, cosa mai ti salta in mente. Astenermi io? Ci mancherebbe altro. Diciamo che mi sto guardando intorno per cercare di decidere a chi dare il mio voto. E lo sai Dario? Sono veramente perplesso. Indeciso. Titubante. Insomma, se proprio lo vuoi sapere non so ancora a chi darò la mia fiducia. Guardo. Osservo. Cerco di informarmi. Leggo i giornali, guardo la TV.. Astensionista io? Tu non mi conosci".
E giù un'altra sorsata di quella nera, calda, profumata, corroborante bevanda.
Il ghiaccio era rotto, la conversazione poteva cominciare; le prospettive erano invitanti. Dario ci si buttò a capofitto.
"Allora un'idea te la sarai fatta. Se non altro di schieramento." Raccolse le forze: "Senti, Biri, ci conosciamo
da una vita, a me puoi dirlo. Destra o sinistra?"
Lo sapevo. Lo aspettavo al varco. Alzai gli occhi al cielo (insomma, al soffitto del bar) e cercai di assumere un'espressione sofferta e partecipata.
"Destra. Sinistra. Cosa mai significano, adesso, queste parole? La destra non era quella che difendeva i padroni, gli industriali, il profitto e il ceto medio? Beh, hanno governato per anni e oggi il ceto medio è impoverito, le industrie chiudono e i profitti calano incessantemente. E la sinistra non era quella che difendeva gli operai, i lavoratori e il pubblico impiego? Anche loro hanno governato per decenni e ecco che la disoccupazione è salita alle stelle, le famiglie si sono impoverite e le pensioni sono diventate un miraggio... Dario, ormai non si parla più di destra o di sinistra ma di persone. Io voglio trovare una persona alla quale dare il mio voto che sarebbe poi la mia fiducia, una persona che vorrei vedere a Capo del Governo, una persona della quale condivido il programma a prescindere se questa persona è considerata alla vecchia maniera e cioè di destra o di sinistra. Non si votano le ideologie, ma gli uomini" e con questa frase ad effetto ho rilanciato la palla nella sua metà campo.
Dario era rimasto spiazzato, si vedeva lontano un miglio, tuttavia replicò come c'era da aspettarsi:
"Ma ti sarai guardato in giro... ti sarai fatto un'idea..."
Il tamarindo era finito, il bar era accogliente e calduccio e comunque c'era ancora un sacco di tempo prima che fosse ora di pranzo; la conversazione (praticamente il mio solito monologo) poteva iniziare. 
"Vedi Dario" partii lento "Vedi Dario, tu mi consideri a torto o a ragione, un cinico, un disfattista, un tipo disimpegnato insomma. Beh, hai torto a pensare che sia così. Torto marcio. In verità sono molto attento a tutti gli aspetti del mondo che mi circonda e la cosa che più mi interessa, non lo crederai, è proprio la politica, quella di casa nostra. So che probabilmente ci saranno le elezioni a breve termine e sto cercando di orientarmi, di guardarmi intorno per decidere al meglio. Ebbene, non lo crederai ma ancora non ho trovato un partito o un uomo politico al quale dare il mio voto.." vidi un sorrisino sulle labbra di Dario: lo spensi subito: "..e non perché non ce ne siano di partiti e di uomini degni di fiducia ma perché ce ne sono troppi". Rimase di stucco; quando dopo qualche secondo si accinse a replicare lo precedetti:
"Pensiamo ad esempio al PD. In quel grande Partito di persone valide ce ne sono a bizzeffe, e tutte preparate a puntino per fare il Primo Ministro. Chi sarebbe il più indicato a fare il premier? Vediamo un pò, mi sono detto. Prendiamo Bersani. Chi può mettere in dubbio la sua onestà adamantina, la sua grande umanità, il suo costante interessamento alla causa dei lavoratori alla quale (causa) dedica ogni minuto della sua giornata lavorativa? E si può tacere la sua capacità dialettica, il grande seguito che ha in ogni strato della popolazione, la sua abilità nell'interloquire con qualunque interlocutore (mi scuso per queste tre ultime parole oggettivamente cacofoniche), la sua grande esperienza di finanza internazionale e la sua perfetta conoscenza delle lingue e delle culture europee, provvido viatico ad eventuali escursioni in altri Paesi? Ergo Bersani va benissimo; approvato; votabile.
E Renzi? No, scusate, dico: e Renzi? Un giovane romantico e battagliero, amatissimo dai giovani di ogni estrazione sociale che ha conquistato con la sua spontaneità e la freschezza dei suoi giovani anni; un uomo che, passo dopo passo, si è avvicinato al top del Partito facendosi largo con la sua vitalità, la sua ansia di rinnovamento, le sue idee rivoluzionarie.. Renzi è a posto; approvato; il mio voto è cosa fatta.
Ventola poi non si discute. Un ragazzo del Sud che è giunto alla ribalta europea della politica grazie  al suo coraggio, alle sue idee lungimiranti, alla sua correttezza e all'integrità della propria vita che fa da specchio ideale al suo programma sociale. Ventola, un nome, una garanzia; sai che ti dico? mi ci vedrei benissimo rappresentato da lui in questa nostra Italia: per me è OK.
Del centrodestra si può dire altrettanto. Uomini e donne validissime caratterizzano la dirigenza di quel Partito. Dopo  i successi di Berlusconi (che potrebbe ricandidarsi; avrebbe la mia approvazione) ecco che qui troviamo Alfano. Il giovane delfino ha le idee assai chiare e sa esporle molto bene ai milioni di seguaci che lo seguono e lo apprezzano per il suo decisionismo e la sua specchiata onestà; potrebbe fare il premier? Ovvio che sì; per me, approvato. Dice: potrebbe venir fuori il nome di Maroni. Maroni? E chi meglio di lui, dico. Sa come parlare alla gente ed è un vulcano di iniziative brillanti e popolari... anche Maroni è a posto. Sì; sì anche a lui. Poi ci sarebbe la Santanché e la Meloni; dunque...."
Dario ha approfittato di un attimo in cui riprendevo fiato per interrompermi:
"Ma insomma Biri a chi lo dai il tuo voto? Parli, parli ma ora vieni al dunque.." la voce di Dario era stranamente alterata.
"Dario mio, non hai capito che non posso votare un solo nome, a qualsiasi Partito appartenga? Sono tutti bravissimi, onestissimi, preparatissimi e assolutamente incorruttibili, disprezzano il denaro e gli onori, disdegnano la moda vana di cercar di apparire in TV a tutti i costi. Li stimo tutti; li amo tutti; come votarne uno solo? Come penalizzare tutti gli altri?". Mi tacqui; Dario taceva. Dopo un minuto di stallo pensieroso ruppi il silenzio:
"Dario, tu ti preoccupavi per una mia possibile astensione, io ti rispondo con l'annuncio della mia an-astensione: un Partito solo è troppo poco, un candidato solo è troppo poco; pertanto ho deciso: il giorno delle elezioni li voterò tutti. Sei contento?".
Era giunta (finalmente) l'ora di pranzo, così, in silenzio, ci siamo avviati verso le rispettive case.

Tripolineide

giovedì 4 ottobre 2012

Alla fine quella che è stata definita di volta in volta come: la Madre di tutte le telebojate; la fiction più "gore" che sia mai apparsa sui teleschermi italiani; quella che ha contribuito a creare un nuovo genere dell'intrattenimento televisivo (lo Splattrasher, acronimo formato da Splatter + Trash); insomma, alla fine "L'onore e il rispetto" è giunto, faticosamente però, alla sua (temporanea) conclusione.
C'è da dire che l'ha fatto col botto. Nell'ultima puntata era impossibile trovare una logica negli efferati ammazzamenti, negli insensati accoppiamenti o fra gli scambi di battute degli stravolti protagonisti che esulassero dalla più fantasmagorica demenzialità; sopraffatti dai bagni di sangue e dalle smorfie dei poveri interpreti (i quali si sono trovati costretti da una sceneggiatura infame e dall'incongruenza narrativa a prodursi nelle più orrende facciacce e nei più istrionici atteggiamenti che, spero ardentemente, mai più avranno occasione di ripetere nella loro futura carriera), i telespettatori più caparbi dopo solo una quindicina di minuti, incapaci di seguire il passo dell'insulsa vicenda, abdicata ogni velleità critica, si sono lasciati docilmente trasportare dall'infernale sarabanda granguignolesca che andava in onda e, persi in una specie di catatonica fissità e indifferenti ormai all'universomondo, hanno atteso pazientemente la fine del sovrabbondante macello solo per la curiosità infantile di voler vedere come sarebbe andata a finire l'atroce mattanza che si svolgeva sotto ai loro occhi.
Qualcosa di inaudito poi, a onor del vero, c'è in questa fiction. E' infatti l'unico sceneggiato televisivo (ma anche nei film veri ci sono pochi riscontri...) in cui, al termine delle puntate, ogni personaggio sopravvissuto (pochi, pochissimi) si ritrova più cattivo, più maledetto e più incarognito di quanto non fosse al principio. Qui scordatevi le morali, le redenzioni, i pentimenti e quisquilie del genere; ognuno si impegna ad ammazzare quelli che gli si trovano più a tiro, siano pure essi amici, parenti stretti o genitori. Chi non lo fa, alla fine si suicida, e comunque tutte queste carneficine avvengono senza la presenza o l'interessamento delle cosidette "forze dell'ordine" (basti pensare al proposito che solo uno fra le decine di mafiosi che popolano lo strambo mondo rappresentato in questa fiction, alla fine, finisce in carcere, il cretino). E c'è un'altra particolarità in "L'Onore e il Rispetto": è una delle pochissime fiction in cui, alla fine, non viene dissipato alcun nodo narrativo; insomma, al termine dell'ultima puntata, siamo nelle stesse condizioni in cui eravamo quando tutto cominciò, tutti gli accadimenti sono avvenuti per così dire, gratis, e la situazione è più confusa e intricata di quanto fosse all'inizio. Un bel risultato per chi ha scritto il soggetto della bojatissima, non c'è che dire...
Di scene memorabili (se così vogliamo definirle...) ce ne sono, a dire il vero, a fiumi, a valanghe, ma qui mi preme ricordarne tre in particolare.
Già all'inizio la Tripolina (ignara di dover crepare - come gli altri del resto - di lì a qualche minuto) si esibiva in atteggiamenti da Gran Stronza umiliando ai limiti dell'inverosimile la donna e i figli del vecchio Padrino, fino ad ieri suo unico protettore (oltre che privilegiato cliente delle sue arti zoccolesche) ma caduto poi dalle sue grazie una volta che ella scoprì le sue malefatte. Tripolina si vuol vendicare sull'uomo e sulla sua famiglia; si stabilisce nella sua casa e pretende che i suoi figli e la sua donna (che prima l'angariava) le facciano da servi. Prima costringe la donna a portarle dentro casa le pesantissime valige, poi le annuncia che da ora in avanti dovrà fare le veci di domestica e cuoca a tutto servizio e per cominciare le ordina di preparare, a lei e ad un suo figlio stronzo, un pranzo luculliano per la cena.
La donna abbozza e del resto che potrebbe mai fare?: la Tripolina gira per casa con un pistolone a tamburo in bella vista nella tasca della vestaglia manco fosse la Barbara Stanwyck di "Quaranta pistole" e non perde occasione per offenderla ("Puttana" la chiama!) ed umiliarla davanti ai figli e allo stesso Padrino, quest'ultimo ormai ridotto ad un rottame d'uomo che si trascina per casa, incapace di ogni reazione e indifferente alle offese più sanguinose come nemmeno Berlusconi dopo l'avvento di Monti.
La sera poi, ecco a tavola Tripolina e figlio, serviti dalla donna e dal figlio di lei. Quando questi stappa una bottiglia di vino, l'altro gli ordina di versarglielo nel bicchiere: "E se sa di tappo t'ammazzo!" (sic!) gli dice mostrandogli la pistola (tutti hanno una pistola, in questa fiction). Poi, la donna è chiamata a portare in tavola la zuppiera colma di prelibata pastasciutta alla pommarola (ai lettori: non sono io a inventarmi queste str...zate: è proprio la fiction che è così!) ma (ohi, ohi) inciampa e fa cadere a terra tutto il fumante primopiatto mediterraneo.. Dovreste vedere la Tripolina! Tira fuori la pistola, e, puntandola alla tempia della donna vuole assolutamente che questa si inginocchi e mangi le  tagliatelle atterrate senza aiutarsi con le mani o con le posate: "Come una cagna!" le ordina.
Un'altra scena che, spero ardentemente, non passerà inosservata ai cultori del pulp in salsa sìcula, è quella in cui il vecchio padrino, stufo ormai di vedersi comandato e ridotto a zimbello da colei che una volta era la sua puttana personale, decide di farla finita e dà fuori da matto.
Dopo essere riuscito a disarmare la Tripolina (benedetta donna, un pò di accortezza! Sempre in giro con quel pistolone in bella vista e facile da perdere...) dà inizio alla mattanza cominciando dai suoi familiari (sic!). Ammazza la sua donna (pistolettata in pieno petto), poi il figlio (due colpi nello stomaco) e quindi la figlia che gli si era rifugiata fra le braccia, terrorizzata. Lentamente gira per le stanze facendo secchi tutti quelli che gli si parano davanti. La Tripolina si accorge di quello che sta accadendo; corre a prendere la pistola, ma non la trova: maledizione! pensa la disgraziata... Poi, si odono dei colpi: la porta viene aperta a pistolettate ed ecco che entra il Padrino, con la pistola in pugno. La Tripolina non ha scampo; un colpo e viene colpita alla spalla destra. Cade a terra sanguinante, non può difendersi.. il Padrino, ritto davanti a lei la prende ancora di mira: "Pam!" altro colpo, altra spalla. La Tripolina è in un lago di sangue ma ancora lucida; lo guarda dritto negli occhi e gli dice (testuale): "Padrino, ora ti riconosco. Sparami ancora, ti prego. Noi sappiamo solo sparare". Ovviamente quello non se lo fa dire due volte: "Pam! Pam!" e addio Tripolina. 
Altra scena imperdibile (che avviene dopo una mezz'oretta, quando tra agguati, tradimenti e scontri a fuoco se ne sono già andati al Creatore qualche decina di mafiosi legati al clan del Padrino, quattro o cinque affiliati ad una cosca rivale, dieci o dodici giunti apposta dall'America per farsi ammazzare oltre a parenti e amici di questo o di quello che sarebbe troppo difficoltoso nominare) è quella dell'uccisione della moglie del Fortebracci ad opera di quest'ultimo.
La donna (che infoiata come una capra in primavera ha voluto sposare il Fortebracci nonostante questi la disprezzi) è venuta a sapere con l'aiuto di una intercettazione telefonica (che originalità!) che il marito tiene una figlia nascosta da qualche parte. Subito lo affronta e, a muso duro gli ordina: "Devi subito farmi fare un figlio, così ti legherò a me!". Fortebracci sogghigna (Diavolo d'un uomo; cosa mai avrà in mente?), poi, inaspettatamente: "Va bene. Hai vinto tu. Ma lo faremo nell'acqua, perché così è più bello" le replica cominciando a togliersi i pantaloni...
L'amplesso, fortunatamente per noi e su richiesta (credo) dello stesso Garko, avviene rigorosamente off-screen (dopotutto siamo in fascia protetta); nella scena che segue infatti vediamo i due in bagno dove (si immagina) debbono aver copulato alla grande dato che lei, ancora nella vasca, cinguetta: "Mai avrei creduto di poter provare un piacere così immenso...". Lui, intanto, atteggiato il viso alla sua seconda espressione (quella di profilo), si pettina davanti allo specchio mostrando a lei e alle telespettatrici più arrapate tutti il repertorio dei suoi celebrati pettorali. Poi improvvisamente, impugnato il phon e accesolo, si rivolge alla donna che ancora nuda vagheggia i bei ricordi di non più di cinque minuti prima e: "Maledetta! Volevi legarmi a te! Ma io ti detesto! Non sai quanto ti odio! Muori maledetta puttana!" le urla gettandole il phon acceso nella vasca. Grande fiammata, fumo infernale, la vasca ribolle, la musica impazza, la donna arrostisce, Fortebracci trionfa.

E ora non resta che aspettare il seguito....

"L'onore e il rispetto" - Tonio e la Tripolina

venerdì 21 settembre 2012

Dopo il grande successo del precedente post dedicato a L'onore e il rispetto" (la pulp-fiction di Canale 5 che vanta un pubblico di telespettatori sempre crescente) voglio adesso dedicarmi ai suoi due personaggi principali, quelli che da soli, "muovono" la sceneggiatura e con le loro azioni permettono alla storia di progredire. 
Senza quindi por tempo in mezzo e senza soffermarmi in noiose digressioni su "quello che è successo" nelle puntate precedenti (chi le ha viste lo sa già, chi non le ha viste non leggerà, presumibilmente, nemmeno questo post e chi sarà invogliato a vedere solo quelle che andranno in onda da ora in poi potrà fare benissimo a meno di un riassunto) esaminerò da vicino il carattere e la psicologia dei protagonisti indiscussi della fiction: Tripolina e Tonio.

"Tripolina"

Giuliana De Sio interpreta la stagionata, ma sempre appetibile puttana, conosciuta da tutti, in paese e nei dintorni, come "la Tripolina" (da notare, in proposito, la  banalità del soprannome: in ogni bordello o lupanare della prima metà del secolo scorso c'era sempre una prostituta dai capelli mori, normalmente quella meno restìa a praticare certi servizi di bassa manovalanza, chiamata con questo simpatico diminutivo). 
Nonostante la non più verde età Tripolina esercita ancora e, sembra, con profitto ed entusiasmo; il suo primo e privilegiato cliente è nientepopodimenoché il Padrino "in person", quello che comanda a bacchetta la gang di mafiosi che aspirerebbe a divenire dominante nel territorio: egli protegge Tripolina fin da quando (si indovina) essa era ancora una giovinetta, e lei  lo ricambia, volenterosamente, somministrandogli appena può (lui) qualcuna di quelle pratiche nelle quali è maestra indiscussa e conclamata. Nonostante la sua professione e benché si dimostri una donna timida e riservata, la Tripolina ha una innata vocazione familiare; di più: la famiglia è la sua stessa ragione di vita. Ma un giorno la vita di Tripolina cambia drammaticamente; alla sua unica figlia (una giovinetta, ignara dell'antichissimo mestiere in cui eccelle la madre, che è stata allevata fino all'età di sedici anni in un convento di suore) appena uscita dal luogo santo dov'era relegata capitano tutte insieme più disgrazie che alla celebre gatta di Masino: cinque guappetti la sequestrano, la stuprano a turno, e alla fine uno di loro la uccide. 
Tripolina non ci sta. Si accorge subito che la figlia non è morta suicida (come si vorrebbe farle credere) e indovina anche quale è stato il suo destino cinico e baro. "Basta!" (proclama in cuor suo) e decide di vendicarsi. Detto fatto. Con l'aiuto dei suoi tre figli maschi riesce a conoscere i nomi di tutti coloro che presero parte al tremendo oltraggio e decide di ucciderli tutti, uno ad uno (e per non sbagliarsi di nome e nella cronologia degli ammazzamenti scrive i nominativi dei predestinati in un libretto che legge poi a voce alta al cimitero davanti alla tomba della figlia - e da questa scena capite subito il grado di verosimiglianza dell'intera fiction -). Il primo viene prima torturato a sangue e poi decapitato con un'accetta dalla stessa Tripolina (!); il secondo viene ucciso da un figlio della buona donna (in senso ironico) in un modo talmente orribile da esser ritenuto dagli stessi autori della fiction (due; sono due i responsabili di questo guazzabuglio) assolutamente impresentabile: le modalità della sua morte avvengono fuori-scena e il suo stesso cadavere non ci viene mostrato direttamente anche se si lascia supporre che debba esser ridotto in condizioni abbastanza pietose: il genitore che corre a vederlo prima dà fuori di matto e poi si spara. Sorge in tutti una domanda: cosa diavolo successe al giovane stupratore? Quale morte gli riservò la Tripolina? Fu egli squartato? O triturato? Forse fu macinato? ridotto in poltiglia; affettato? Niente: gli autori non ce lo dicono; sta a noi, esperti estimatori di questo genere di spettacoli, farsene un'idea. 
Adesso Tripolina deve pensare a far fuori il terzo candidato all'obitorio; gli mette alle calcagna i suoi figli ma questo riesce a sfuggire alle loro ricerche... si salva quindi? chiederete. Manco per sogno: il misero fa la fine dei suoi predecessori, salvo che a farlo fuori questa volta è (colpo di scena!) Tonio il Fortebracci, l'altro protagonista della fiction!

"Tonio"

Chi, se non Gabriel Garko, avrebbe potuto (o accettato) di interpretare Tonio Fortebracci, il protagonista conclamato de "L'onore e il rispetto"? Nessuno, spero. Il Nostro (a proposito, da notare l'assoluta inverosimiglianza del cognome di uno che dovrebbe essere l'essenza stessa della sicilianità, ma si vede che gli autori, a corto di un cognome autoctono che avrebbe potuto richiamare alla mente quello di persone pericolosamente viventi, hanno chiesto aiuto alla fantasia) è qui un mafioso che viene fatto uscire di galera dall'Ispettrice Martines (innamorata di lui) in cambio della sua disponibilità a pentirsi. La Mafia subito gli fa fuori (facendoli saltare per aria con la dinamite) moglie e figlioletto; lui risponde facendo finta di esser perito nell'attentato e spedendo la sopravvissuta figlioletta dalle suore (in questa fiction, come c'è da far uscire d scena qualcuno per un certo tempo, lo si manda dalle suore). Poi Tonio (Garko) decide di vendicarsi da solo. Prima manda in bianco per ben due volte l'infoiata Ispettrice che pensava già (dato che l'uomo è fresco vedovo) di papparselo in un boccone (e alla povera donna questo duplice rifiuto non va proprio giù; dopo aver dato per un pò in solitarie escandescenze erotiche la vediamo adesso ormai rassegnata ad una sorta di scipitissimo amor platonico.. scommettiamo che da qui alla fine la darà al primo che gliela chiede?). Strano destino invero quello di Tonio (Garko), quando si tratta di vedersela con le donne.
Tutte sono ansiose di farselo. Quando va al ricevimento che un industriale dà per il compleanno della sua esuberante figlia, non ha ancora varcato la soglia di casa che già trova la giovane festeggiata che fuma spinelli in giardino e che, solo il tempo che lui la guardi e gli dica due o tre bischerate, lo bacia (un bacino) e gli cade tra le braccia. Lui, imperturbabile, la porta dentro casa a  ballare. Qui suscita la gelosia della cugina della ragazza, più bruttina ma non per questo meno disposta a non farsi ripassare dal bel tenebroso. Le due parenti diventano rivali (lui, intanto, se ne frega di loro) e ad un certo punto non riuscendo nemmeno a dormire per l'improvviso arrapamento, se ne vanno a fare un bagno (vestite!) in piscina (sic!). E' una scena cult, nella sua inutile gratuità, una scena da far rifulgere come una gemma di nonsense nel bailamme narrativo di questo incredibile papocchio super-trash. Finalmente la ragazza più giovane, dopo aver offerto uno spinello al Fortebracci ed avendolo lui rifiutato, gli si butta letteralmente fra le braccia. "Ti scongiuro" gli dice lei guardandolo in un certo modo (Attenzione prego: trattasi di notevole bionda con tutte le sue notevoli cosine da bionda al posto giusto) "Fammi un favore, te lo chiedo umilmente. Fai l'amore con me". Indovinate cosa succede adesso? Esatto. "Sei solo una bambina" gli fa lui invece di farsela lì su due piedi "e fumare gli spinelli fa male"  prosegue, e dopo averla così schifata, se ne va, lasciandola (anche lei!) infoiata come una cagna in calore ma ineluttabilmente, tragicamente, colpevolmente in bianco che più bianco non si può.
NdA: A tale proposito viene spontaneo guardare all'atteggiamento del Garko verso le donne. In questa fiction non esiste una donna che non se lo voglia scopare e di queste non ne esiste una che non glielo dica chiaro e tondo.
Lui, inevitabilmente le porta a credere chissà quali mirabolanti avventura con tutta una serie di sguardi, ammiccamenti, sottintesi, risolini compiaciuti, giochi di parole e una varietà di allusioni che smuoverebbero la più vegliarda fra le monache di clausura.. Oltre a ciò non manca mai, il Nostro, dal togliersi la camicia mettendo in mostra la sua celebre tartaruga e tutti i pettorali, quadricipiti e dorsali (che farebbero la meraviglia al Gay Pride World Exhibition) inducendo le poverette a credere di poter toccare il cielo con tutte e due le dita e anche di più. Ma quando, alla fine, stremata, la vittima di turno preso il coraggio a due mani lo sfida direttamente su quel campo ("Ovvìa, ti ho capito. Ora smettila con tutta questa coreografia e vieni qui e dimostrami cosa sai fare.."), ecco che il Garko, indietreggia, tituba, si smarrisce, si sgonfia, si smonta e finisce sempre che se ne va con la coda tra le gambe accampando incredibili scuse pur di non far quello che situazione, occasione, natura, e orgoglio, comanderebbero.

(segue...)













Onore e rispetto? Ma mi faccia il piacere...

sabato 15 settembre 2012

Insomma, pensatela come volete ma a me la fiction di Canale 5 "L'onore e il rispetto" mi affascina. "Perché" chiedete? Guardatela, almeno per una puntata; guardatela e converrete con me che mai si è vista una roba come questa sui teleschermi di casa nostra. Sì è vero, il primo impatto, quello che si matura nei primi venti minuti di visione, potrebbe essere quello, comprensibilissimo, di etichettare il lavoro dei registi (due, ne hanno chiamati, non ne bastasse uno a preparar 'sto minestrone) come la solita "boiata pazzesca", ma...
Ma bisogna pur dire che c'è boiata e boiata. E "L'onore e il rispetto" è (fino ad oggi, ma non mettiamo limiti alla provvidenza fictionesca) la boiatona per autonomasia, la Madre di tute le boiate, il capolavoro boiatesco tout-court.
Ma qual'è la componente che lo rende così boiatescamente perfetto? Ecco il punto: non c'è una componente in particolare; nella fiction di Canale 5 (il martedì, ore 21 e 20) tutte le componenti presenti in una fiction che dovrebbe (e potrebbe) esser drammatica si integrano a perfezione nel produrre l'effetto finale, quello per cui, a mio avviso, "L'onore e il rispetto" merita attenzione.
Certo non dipende solo dal soggetto non proprio originalissimo (la solita Mafia, i soliti pentiti, la solita droga, le solite forze dell'ordine, la solita corruzione ecc. ecc.) né dalla scarsezza conclamata di alcuni attori (Garko fa tenerezza come alterna le due sole espressioni di cui è capace: vestito o a torso nudo) alcuni dei quali usati in ruoli insoliti (mi auguro) per loro: la De Sio in quello della puttanona "cuore di mamma"; la Martines nei panni di una frustratissima Ispettrice di Polizia alla continua -ma fino ad ora insoddisfatta- ricerca di una liberatoria trombata col Garko di cui  sopra; la Torrisi vilmente sprecata in statiche scene di erotismo da oratorio). E posso condividere le vostre critiche all'ambientazione banale e didascalica, ai personaggi ad una sola dimensione e a molto altro.... ma rimango della mia idea: "L'onore e il rispetto" è "nel suo insieme" il vero capostipite di un sottogenere pulp che comprende lui solo e che solo lui ha contribuito a creare; un genere che potrei denominare il "caponata-splatter".
Innanzitutto c'è già l'uso delle inquadrature (sempre in continuo movimento longitudinale o circolare) e del colore accesissimo (dove imperano i gialli, gli arancioni, i rossi accesi e i blu cobalto) a dare alle scene una ambigua connotazione post-gotica amplificata dall'abuso del primissimo piano e dalla pazzesca incessante colonna sonora che non la smette mai di anticipare, commentandole con effettaci "di colore", quelle che dovrebbero essere le situazioni più paurose o più cruciali della fiction, ma sopratutto la "colpa" è della sceneggiatura che sembra scritta saccheggiando a più mani le opere della letteratura e del cinema più popolare (con rimandi a: l'immancabile "Padrino", "Profondo rosso", "La muta di Portici", Lady Macbeth, "La lupa", Maria Goretti, "Pulp Fiction", "La tarantolata di Petralìa Sottana", "Justine o le disgrazie della virtù", "il Gattopardo" e le storie siciliane di Cicciu Busacca) condendole poi con le più consolidate banalità e stereotipi riguardanti i conclamati usi e costumi del popolo siciliano.
Un breve riepilogo delle prime puntate può aiutare a capire da dove proviene l'insolito fascino(?) di quest'opera così sgangheratamente estrema.

Riassunto:
-Ramo di Garko-
Garko, ex mafioso, può finalmente uscire di prigione: pagato il suo conto con la Giustizia ora vorrebbe solo poter vivere in pace con la famiglia, ma viene convinto dalla battagliera ispettrice di Polizia Alessandra Martines (perdutamente e segretamente innamorata di lui) a collaborare con l'Antimafia: solo una sua deposizione potrà smantellare la potentissima Cupola palermitana. L'ispettrice non deve faticare molto a convincerlo: Garko accetta di pentirsi senza chiederle niente in cambio (con di lei sommo disappunto, essendo la fedele Custode dell'Ordine dispostissima a donargli, per farlo accettare, il fiore, se pur appassito, della sua virtù). La Mafia, venuta a conoscenza delle sue intenzioni pentitesche cerca di farlo fuori, ma fa cilecca: la bomba che doveva far saltare in aria la famigliola accoppa la moglie e il tenero figlioletto lasciando incolume il Garko stesso e la figlia adolescente che viene subito presa in carico dalla premurosa ispettrice che la nasconde in un collegio tenuto dalle suore (sic!).
Garko decide di vendicarsi: vuole far fuori l'intera organizzazione mafiosa colpevole di così orrendo delitto e si allea col vecchio Burattinaio (un vecchio boss mafioso stile Marlon Brando-Don Vito Corleone che un giovane mafioso rampante vorrebbe defenestrare). Per conquistarne la fiducia si fa mandare a New York (rifatta in studio) dove entra nell'Organizzazione della Droga. In breve riesce a farsi credere da tutti un vero mafioso (come in effetti era), risolve un certo caso per il Burattinaio e torna subito in Sicilia da trionfatore (non prima di aver mandato in bianco una spettacolosa spogliarellista che si era denudata a bella posta per concederglisi; ma si sa, lui non si lascia attrarre da simili cose, il cretino!).
Ora può dedicarsi alla sua tremenda vendetta, e dopo averlo annunciato alla povera Martines, che lo aveva incontrato nella notte speranzosa di ben altri, e più porcaccioni, sviluppi, sparisce nella notte accelerando la sua 1100 e  lasciando la povera Ispettrice ancora una volta in bianco. In una scena madre (che mi auguro non sarà dimenticata tanto presto dalle antologie della fiction televisiva) si vede l'infoiata femmina, arrapatissima ma ancora una volta privata così brutalmente dell'oggetto del suo desiderio (avete capito...) che si contorce di brutto nel fango gridando al vento il suo amore mentre la musica di fondo raggiunge toni walchiriani e la pioggia, impassibile, le inonda il viso (davvero: vedere per credere!).
Intanto la Torrisi, sorella di uno della banda dei mafiosi rampanti, è incinta di Garko (non chiedetemi dove, come e perché successe il fattaccio) ma quando lo confessa al fratello, questi, lungi dal ringraziarla di volerlo rendere zio, cerca di farla abortire a forza. A tale scopo il farabutto la sequestra e chiama una orrenda mammana perché adempia all'infame bisogna ma la Torrisi, lo sguardo di fuoco, disposta a tutto, impugnato un coltellaccio da cucina, lo minaccia: "Vogghiu teniri o figghiu miu!" urla. Alla fine la vince lei. Viene cacciata di casa: il figlio se lo vorrà, dovrà farselo e allevarselo da sola. Ecco quindi la tapina, incinta, sola, senza marito ma stranamente allegra, che giunge nella sua vecchia casa (ohibò: aveva una casa. Vuota e perfettamente arredata). "Qui starò da sola e darò alla luce mio figlio" ci spiega opportunamente in una sorta di autoconfessione fatta davanti allo specchio di camera. Che potrà succedere adesso? Ci credereste? Arriva Garko, proprio quella sera stessa, proprio in quella stessa casa (dopotutto era anche casa sua in qualche precedente -non vista- puntata). I due, ovvio, non passan tre minuti sono già a rotolarsi nel letto intenti a fornicare castamente (siamo in prima fascia) in una scena incomprensibilmente avara di gemiti, di nudità e di tutti gli effettacci videosonori che si presume si addicano televisivamente a similari abusatissime situazioni.

-Ramo della De Sio-
Ma lasciamo per adesso Garko a concentrarsi sulla sua vendetta (e sulla Torrisi) ed occupiamoci invece della De Sio. E' costei (e ancor più lo era in passato) un celebre puttanone, famosa per aver iniziato alle prime giovanili porcherie tutti i maschi dei dintorni  (i mafiosi del posto la chiamano "la nave scuola"); ora, piuttosto stagionata ma sempre appetibile e in servizio, esercita solo di quando in quando, perlopiù a beneficio di un rispettabile Padrino che la mantiene da sempre e al quale lei deve imperitura gratitudine. La De Sio ha anche tre figli, due maschi sui vent'anni e una tenera fanciulla assai bellina che ella ha voluto preservare dalle brutture del mondo mantenendola fino all'età di anni sedici in un collegio tenuto dalle Orsoline. La dolce ragazza è ingenua e pura siccome un angelo; essa è la luce degli occhi di mamma sua: quando esce dal collegio mammà la porta a casa e subito si dà da fare per sistemarla, ma...

-Dite la verità, anche voi a questo punto, benché stremati, volete che prosegua, vero? Va bene, va bene. Continuiamo:-

ma la giovane viene adocchiata dal più strafottente della banda dei giovani mafiosi (quello che vuol defenestrare il Burattinaio) il quale riesce a convincere la tenera agnellina a seguirlo in un casolare. Era un vile tranello: qui la ragazza incontra gli altri quattro componenti della banda di delinquenti... 
Basta: il pudore e l'orrore mi impediscono di descrivere appieno il triste fato della fanciulla: basta dire che in pochissimo tempo la disgraziata si trova a passare dallo stato di ingenua verginella a quello di incolpevole plurispulzellata. Gli infoiati energumeni la lasciano solo dopo aver abusato di lei a loro piacimento e, dulcis in fundo, (si fa per dire) al mattino, viene anche strangolata dal cattivissimo mafioso stupratore non appena questi si sveglia.
La De Sio non ci sta. E quando la sua bambina viene rinvenuta impiccata non crede all'ipotesi del suicidio. Corre dal boss suo protettore ma questi per difendere il figlio (faceva parte della banda degli stupratori, il delinquente!) le dice che per lei è molto meglio se dimentica tutto e le mette in mano un bel paccone di banconote per convincerla. La De Sio capisce che qualcosa di terribile è avvenuto alla figlioletta ma lì per lì non lascia trapelare nulla, anzi, per convincere il boss della sua buona fede, gli sbottona la patta dei pantaloni e gli pratica seduta stante, benché non espressamente richiestane, uno di quei servizi per i quali, ai bei tempi, ella andava, in paese e nel contado,  giustamente famosa.
Poi, tornata a casa, arringa i suoi figli perché provvedano  immantinente a vendicare la loro povera sorella. Anche essi sono mafiosi (per chi non l'avesse ancora capito in questa memorabile fiction TUTTI gli uomini sono mafiosi) che però (l'onore è l'onore, diamine!) non possono far finta di niente: a costo di mettersi contro il boss vendicheranno l'onta che si è abbattuta sulla loro famigliola. A dire il vero uno di essi fa qualche resistenza: vorrebbe, l'ingenuo, sposarsi con una giovane puttanella (per chi non l'avesse ancora capito in questa mitica fiction TUTTE le donne ancora in vita sono puttane) della quale si è innamorato e ritirarsi a godere dei piaceri della vita familiare, ma mamma sua lo mette in riga: "A sposarrìa solu doppu aviri ancisu u fetusi 'cchì desonorarunu a sòreta!" (In questa fiction la De Sio parla così: è anche per questo che "L'onore e il rispetto" è memorabile). I due giovani si armano fino ai denti e, con uno stratagemma riescono a catturare uno dei mafiosi che fecero sì vile oltraggio alla tenera consanguinea. Il misero viene massacrato a sangue e torturato dai due e dalla De Sio nei panni di una Dea Kalì sanguinaria. Alla fine il disgraziato "fa i nomi" dei suoi complici. Questo non lo salverà da una fine orribile: Giulianona, armata di una pesante mannaia, quale novella Giuditta, lo decapita con un colpo solo. Il giorno dopo la testa sanguinante della vittima viene ritrovata in mezzo alla piazza del paese... 
Fine della Puntata. (ma continua...)

La Solitudine del Numero Primo

martedì 4 settembre 2012

La solitudine è una brutta cosa. E se è vero (come è vero) che è brutta per tutti, figuriamoci quanto brutta può essere per chi assaporò un giorno i fasti della popolarità e il dolce profumo del potere ed ora si trova, mutatis mutandis, nella situazione di non avere più alcuna autorità, nessuna influenza sulla pubblica opinione e dovere restar solo come un cane, senza uno straccio di amico.
Del resto, ad esser sinceri, un grande compagnone F******, non lo era mai stato. Era schivo, silenzioso, mancava di dialettica e di spirito e spesso, quando doveva presenziare a qualche festa alla quale era stato invitato, trascorreva il tempo che lo separava dall'ora in cui, finalmente, sarebbe potuto tornarsene a casa, in disparte, addossato alla parete nel lato più buio della sala, sperando in cuor suo di non esser notato da alcuno per non dover intavolare una conversazione che, da parte sua, non sarebbe stata che una sequela di poche frasi sbocconcellate e, per gli altri, incomprensibili. E nonostante che, per qualche inspiegabile miracolo, fosse arrivato a rappresentare il Partito nei più alti consessi politici fino ad esser candidato (lui! F******!) alla carica di Presidente, purtuttavia, anche allora, il suo carattere introverso lo rendeva, agli occhi di chi poteva avvicinarlo, un uomo diverso, un "dropout", un solitario.
Ora, chi si ricordava di lui? D'accordo, aveva ottenuto la carica di Sindaco ed era quindi, a tutti gli effetti, ancora un Numero Uno, ma anche se alle riunioni politiche veniva invitato come prima era evidente a tutti che le sue fortune erano svanite, che la sua ora era fuggita e che il futuro che gli si presentava davanti sarebbe stato pieno di rimpianti e di solitudine ancora più penosa.
Il suo fisico non lo aiutava a superare questa sensazione che a poco a poco si stava trasformando in un vero e proprio complesso: alto, magrissimo, macilento e con lo scarno volto emaciato a incorniciare due occhi grandi e tristi sovrastanti due spaventose occhiaie, il suo aspetto sembrava fatto apposta per allontanare da sé anche le persone più amichevoli e estroverse. Metteva un pò di disagio. Le donne, parlando tra di loro, cominciarono presto a paragonarlo ad un lombrico. Presto tutti, di nascosto da lui ma in ogni occasione, lo chiamarono: il  "verme" e, poiché stava sempre solo: il "verme solitario". 
Pensate che F****** non soffrisse di questa situazione? Il pover'uomo ne soffriva eccome! Ma non riusciva a cambiare né il proprio carattere né, di conseguenza, le cose, e questo la rattristava profondamente fino a procurargli una specie di  dolore quasi fisico. A volte, nelle ore più tarde delle lunghe notti insonni passate a ripercorrere la sua situazione, si alzava e, sceso dal lettone del quale occupava solo la minima parte, traversava la grande camera da letto e, coperto solo dalla lunga, bianca camicia da notte, scendeva nel soggiorno dove si rimirava attentamente nel grande specchio appeso alla parete. Racconta la fida governante, che assistette spesso e non vista a questi fatti, che una lacrima silenziosa scendeva allora sullo scarno volto del suo padrone. Una volta fu udito gridare. La domestica, saggiamente, in questi casi sapeva che era assai meglio non avvicinarglisi, ché il meschino, in preda ad un raptus di follia, avrebbe potuto passare dalle escandescenze ai fatti. Si limitava, la fedele governante, a sbirciare dal buco della serratura, poi, la mattina seguente, uscita a comperare il solito quartino di latte scremato (che insieme ad una prugna secca costituiva la magra colazione del Nostro), raccontava quello che aveva visto alle coetanee (occorre dire che la riservatezza era, fra tutte le sue virtù, quella che faceva difetto alla fida e anziana nutrice). 
-N.d.A.: l'anziana donna, oltre che governante e domestica, a F****** gli era anche nutrice-
"Perché, perché grande Mani (F****** era di religione manichea) non posso anche io avere amici con cui parlare, una compagnia da frequentare, ragazze... (qui esitava, timidamente).. da corteggiare, persone che mi stanno a sentire? Quale è stata la colpa che mi costringe a restare perennemente solo?" diceva egli allo specchio come se questi avesse potuto rispondergli. Poi, aprendo la grande finestra che dava sulla nera campagna e dalla quale nelle limpide notti di luna piena potevano scorgersi le lontane Alpi innevate, alzava i tristi occhi al cielo e scuotendo i pugni verso un invisibile nemico, proferiva orrende bestemmie pagane (la decenza e il timor di Dio impedivano alla pia donna di riportarle per esteso) che risuonando nel livido cielo spaventavano persino i grandi pipistrelli che, a frotte, si radunavano ogni notte presso la sua casa. 
Quando poi seppe che non solo i suoi ex amici ma perfino i compagni di partito si riferivano a lui con quel nomignolo: "verme solitario", la voglia di reagire al suo triste stato di solitudine gli venne meno. Cessò di uscire di casa; rinunciò ad ogni manifestazione di vita pubblica; nessuno lo vide più per interi mesi.

Poi, dopo quasi un anno, la situazione cambiò. F****** a poco a poco era riuscito a trovare in sé le risorse per riemergere da quello stato di abulìa che rischiava di condurlo alla depressione; sforzando la propria volontà riuscì finalmente a maturare la convinzione di potercela fare. "Devo tornare in pubblico; devo mostrarmi brillante, arguto, spiritoso, sagace... il "verme solitario" di una volta sarà solo un ricordo. La gente mi rispetterà" si ripeteva allo specchio in una sorta di parossistico training autogeno. E si fregava le mani.

Venne il gran giorno.
L'occasione che avrebbe sancito il suo ritorno in politica era stata programmata con cura; non un dibattito pubblico su temi d'attualità e nemmeno una partecipazione come referente ufficiale ad una conferenza stampa dove avrebbe avuto puntati su di sé le telecamere di mezzo mondo; per la sua prima apparizione in pubblico dopo così lunga assenza era stata scelto un Evento culturale: la Settimana della Scapigliatura Milanese (nota corrente letteraria in voga all'inizio del secolo scorso). All'inaugurazione della Settimana (dove sarebbero state presenti tutte le televisioni nazionali nonché politici e giornalisti dei quotidiani più diffusi), F****** avrebbe dovuto tenere il discorso d'apertura e successivamente presenziare in prima fila alle recite dei componimenti degli Scapigliati, conferendo in tal modo a tale rassegna, una valenza politica (oltre che un valore letterario) che, oltre a favorire il Partito, lo avrebbe riportato in auge tra i suoi compagni e tra i primi nel gradimento del pubblico.
All'inizio tutto andò bene. La prolusione del Nostro sembrò incontrare il favore del pubblico al punto che, al termine del suo preciso intervento, detto per una volta con voce ferma e piglio deciso, si levò nella sala anche qualche applauso.
"Ci siamo! E' fatta!" diceva tra sé e sé F****** fregandosi le mani: "Sono di nuovo in sella. E ora nessuno parlerà più di me come del verme solitario" concludeva mentalmente, soddisfatto della sua performance.
Poi, sul palco si presentò un giovane il quale dopo aver parlato della Scapigliatura Milanese concentrò il suo intervento sul poeta Ernesto Ragazzoni, descrivendone l'indole ribelle, la produzione poetica e la sua morte prematura.
"E adesso" disse poi, "per commemorarlo degnamente permettetemi di leggervi una delle sue odi più famosa: l'Elegia del Verme Solitario". E, mentre a F****** cominciavano lentamente a ronzare gli orecchi, quello cominciò a declamare:

"Solo è Allah nel Paradiso
del profeta Macometto,
solo è il naso in mezzo al viso,
solo è il celibe nel letto,
ma nessun da Polo a Polo
come me sul globo è solo,
né mai fu, per quanto germe
ebbe lume nel lunario,
perch'io solo sono il verme,
lungo verme
cupo verme
bieco verme
cieco verme
triste verme
solitario"

"Ma... cosa.. che succede? Come è possibile?" F****** si contorceva nella poltrona in prima fila, gli occhi vitrei, i pensieri in tumulto.. "Uno scherzo? Una burla? Chi, come perché?" non poteva pensare, non poteva parlare; mentre quello sul palco continuava la declamare imperterrito, lui poteva solo aspettare che quella tempesta che gli si abbatteva addosso terminasse al più presto....
Intanto dal palco quelle strofe saltellanti continuavano impietosamente ad abbattersi su di lui che avrebbe desiderato solo di non esser lì, di essersene rimasto a casa, di scomparire....
Il giovane poeta giunse finalmente all'ultima strofa:

"Pure il giorno verrà, il giorno
che uscirò fuori a vedere
come è fatto il mondo intorno
miserere, miserere,
finirò la vita trista
nel boccal d'un farmacista
pieno d'alcool ed erme-
ticamente funerario,
perché io non son che un verme
lungo....
cupo....
cieco....
bieco....
triste verme
solitario."

L'elegia finì sotto un uragano d'applausi. Che gran poeta era Ragazzoni! E come era bravo il giovane poeta che l'aveva letta così bene! La Settimana della Scapigliatura non poteva cominciare meglio. Poi, tutti cercarono con gli sguardi F****** per vedere come aveva accolto quella performance, forse per udire da lui qualche commento.... ma...
"F******! Dov'è F******?" si udiva da ogni parte..
F****** non c'era più; la sua poltrona era vuota; forse lui era sgattaiolato via, non visto, quando era scoppiata l'ovazione.

Da quel giorno nessuno l'ha più visto.





Mostro cinematografico di Venezia

sabato 1 settembre 2012

Per rendersi meglio conto di come quello attuale sia solo lontanissimo parente (non riconosciuto) di quello che fu il Cinema di una volta, più che mille parole di rimpianto, di rabbia o di sconforto bastano pochi illuminantissimi dati inerenti quella che, con il nome di "Coppa Mussolini" prima e "Mostra internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia" poi, anche oggi, lungi dal dichiarare fallimento per mancanza totale di opere cinematografiche artisticamente valide, viene ostentata come ridicolo vanto da tutta quella miriade di personaggi che la utilizzano solo per alimentare il proprio narcisismo e la propria insopprimibile voglia di apparire ad ogni costo. Che del resto questi cronisti, critici, presidenti di associazioni, politicanti e Alte Personalità non perdano occasione mostrandosi, di elevare lodi sperticate e ingiustificatissime verso prodotti il cui solo merito, semmai ce ne avessero uno, è quello di aver dato lavoro per qualche mese a troupes di cinematografari altrimenti a rischio cassa-integrazione, essendo l'altro e più peculiare obiettivo (quello di essere visti e acclamati dal maggior numero di spettatori ai quali qualunque prodotto cinematografico dovrebbe essere destinato) precluso fin dalla loro gestazione, anzi, dalla loro stessa ideazione. Del resto basta considerare che oggigiorno (e particolarmente, anche se non esclusivamente, in Italia), i film vengono prodotti non da produttori indipendenti che sulle fortune o sull'insuccesso del film rischiano il proprio denaro e la propria reputazione, ma dallo Stato o da sponsor statali o governativi (quali la RAI: a proposito, la Televisione che produce il cinema è o non è roba da matti?), tutti datori di lavoro che sanno benissimo come un soggetto, per essere appetibile, necessiti di alcuni requisiti irrinunciabili: esser riconosciuto di "preminente valore artistico" (!) per usufruire dei contributi statali (in soldoni: lo paghiamo noi); esser gradito ai nostri partner internazionali (per facilitare la sua distribuzione all'estero); non mettersi di traverso alla "political correctness" che ormai imperversa su tutti i campi dove possa estrinsecarsi la creatività, diciamo così, divulgativa o artistica in senso lato.
Ricordiamo alcuni capisaldi dello specifico cinematografico:
I prodotti del Cinema (i film) vengono realizzati per essere mostrati (a pagamento) ad un pubblico, il più vasto possibile, e,
qualunque attribuzione di artisticità ad un film è "sempre" arbitraria e assai poco universalmente riconosciuta anche per la difficile determinazione (nonostante quello che ne pensasse Bazin) dell'Autore di un film. Figuriamoci l'autorevolezza del giudizio di una Commissione Governativa (ergo politica) che riconosca a priori (dato che gli elargisce i finanziamenti) l'artisticità o meno di certi film!
Il fatto è che al Cinema oggi, non ci va più nessuno. Le sale cinematografiche chiudono ovunque e, le poche volte che si riempiono, non lo fanno certo nell'occasione della presentazione delle opere "artistiche" premiate al Festival di Venezia. 
Con queste premesse e questi dati di fatto l'unico modo che potrebbe avere una Mostra d'Arte Cinematografica di onorare il Cinema sarebbe quello (e non sarebbe poco!..) di far rivivere sugli schermi del Lido, e poi nelle sale italiane, i film di una volta, quelli che piacevano, quelli che riempivano le sale, quelli che rappresentavano le emozioni, i sentimenti, quelli che oggi non si sanno (e non si possono) fare più.
Alcuni dati potranno aiutare a comprendere meglio quanto ho affermato fino ad ora cominciando dalle edizioni degli Anni Trenta:
Nel 1932 erano in concorso, tra gli altri:
"Frankenstein" di Whale, "Doctor Jekyll" di Mamoulian, "A' nous la liberté" di Clair; 
nel 1934 vinse "L'uomo di Aran" di Flaherty e Capra presentò "Accadde una notte"; 
nel 1935 erano in concorso: "Anna Karenina" con la Garbo, "Capriccio spagnolo" di Von Sternberg con la Dietrich e "Il traditore" di John Ford;
nel 1936: "E' arrivata la felicità" di Capra (un film che viene riproposto continuamente anche ai giorni nostri):
nel 1937: "Carnet di ballo" di Duvivier e "La grande illusione" di Renoir;
nel 1938: "Olympia" della Riefenstahl e "Biancaneve e i sette nani" di Walt Disney;
nel 1939 "L'angelo del male" di Renoir...e così via ngli anni successivi, tutti film (per i quali si può applicare l'attributo di "artistico") acclamati dai pubblici di tutto il mondo (nonché campioni di incassi) che sono entrati a far parte non solo della storia del cinema, ma della nostra cultura "tout court".
Per quanto riguarda il dopoguerra basta ricordare il 1946 anno in cui erano presenti alla Mostra: "Amanti perduti" di Carné, "Paisà" di Rossellini e "Enrico Quinto" di Laurence Olivier; negli anni successivi la Mostra ospitò (e a volte premiò) i migliori film del Cinema Internazionale, moltissimi dei quali sono anche oggi riconosciuti di valore assoluto...
E oggi?
Diamo una veloce occhiata ai film che hanno vinto la manifestazione negli anni Duemila (spero di riportare senza errori i nomi dei registi):
2000: Leone d'Oro a "Il cerchio", di tale Panahi, iraniano; il Premio Speciale della Giuria andò a... Buddhadeb Dasgupta per "Uttara";
2001: "Monsoon Wedding" di Nair e "Canicola" di Seidl; 
2002: "Magdalene" di Peter Mullan e "Oasis" di Lee Chang-Dong;
2003: "Il ritorno" di Zviagintsev e "Zatoichi" di Kitano;
2004: "Il segreto di Vera Drake" di Leigh e "Mare dentro" di Amenabar;
2005: "I segreti di Brokeback Mountain" di Lee e "Les amants reguliers" di Garrel;
2006: "Still Life" di Zhangke e "Cuori" di Resnais;
2007: "Lussuria" di Lee e "Redacted" di De Palma;
2008: "The Wrestler" di Aronofsky e "Bumaznyj soldat" di Aleksey german jr. (roba da chiodi!);
2009: "Lebanon" di Maoz e "Soul Kitchen" di Akin;
2010: "Somewhere" di Sofia Coppola (questo l'ho visto ed mi è parso veramente mediocre) e "Esssential Killing" di Skolimovsky;
lo scorso anno infine vinse il Leone d'Oro "Faust" di Sokurov mentre il Premio della Regià andò a "Terraferma" di Crialese.
Avete letto tutto? Avete capito quale è il problema? Quanti di voi hanno visto non dico tutti, ma almeno uno dei film qui sopra elencati? Quanti di questi film hanno la più remota possibilità non solo di poter esser rivisti negli anni che verranno, ma anche di essere semplicemente ricordati al di fuori delle semplici statistiche. La verità è che nessuno (al di fuori di chi li ha fatti e, forse, di chi li ha premiati e recensiti) li ha visti. E anche a chi li avesse voluti vedere non sarebbe stato possibile perché la stragrande maggioranza di quei film NON SONO MAI STATI PROIETTATI AL CINEMA. Una Mostra del Cinema premia dei film "artistici" che la stessa distribuzione cinematografica non reputa opportuno far vedere agli spettatori (prevedendo verosimilmente che la gente non andrebbe a vederli)! Un pittore che dipinge dei quadri prima di seppellirli nel giardino di casa! Poeti che scrivono poemi per poi stracciarli dopo averli declamati a pochi intimi! Avete capito perché il Cinema è finito e quello che va in onda ogni anno a Venezia corredato da sovraesposizione mediatica non è che un vuoto simulacro di quella che fu definita la Settima Arte?
Si tiene in vita un morto (il Cinema) per scopi triviali (guadagnarci sopra del denaro pubblico). Vergognatevi!
Beh, ora che mi sono sfogato, visto che piove, vado a rivedermi "Cantando sotto la pioggia" (di Stanley Donen, con Gene Kelly). E so che non resterò deluso.


Lucifero e Minosse

lunedì 27 agosto 2012

Lo stupidario estivo che ogni anno si accanisce con tutta la sua potenza multimediatica sulle nostre esauste autodifese neuroniche, mai come quest'anno ha dato prova così impressionante della sua forza demenziale.
Lasciamo perdere le perle scientifiche che precedettero, in tempi assai più freschi, questo torrido agosto pieno di nequizie (di quel tempo ricordiamo, en passant, il neutrino contaballe che pretendeva di essere Superman; quello che, ad osservarlo si metteva a vibrare e mutava aspetto; il bosone apparso a Higgs una notte di tarda primavera e, ieri, la proteina refrigerante che non fa percepire il caldo...) e concentriamo per qualche minuto la nostra attenzione sui grandi fatti che hanno animato le pettegole cronache della nostra, per altri versi assai poco divertente, estate.
Cominciamo dai nomi. Dopo che da un certo tempo si è diffusa l'usanza di affibbiar i nomi più improbabili, ridicoli e grotteschi a quei poveri e indifesi neonati che hanno la balzana idea di venir alla luce qui e adesso, ecco che, lungi dall'esser appagati da tale demenziale moda, gli "scienziati" hanno inaugurato quella di battezzare con nomi altisonanti gli eventi climatici, sia pure quelli di infima rilevanza meteorologica.
Ad esempio non so chi è stato il (peraltro) geniale meteocretino che per primo ha avuto l'idea di chiamare con nomi mitologici o storici, i periodi di gran caldo che mai come quest'anno hanno afflitto la nostra beneamata penisola. "Come mai a casa così tardi? Cosa ti è successo?" chiede il marito alla sposina allorché la stessa, accaldata, scomposta e tutta rossa in viso si lascia cadere affranta sulla poltrona rientrando da fuori alle due del pomeriggio.
"Caro, è colpa di Lucifero" spiega quella riprendendo a poco a poco il normale colorito, "Mentre da Scipione, Nerone e Minosse sono riuscita a difendermi, contro Lucifero non riesco più a combattere. Mi sconvolge, mi schianta, mi distrugge, annulla la mia volontà. Non so più come difendermi. Nonostante cerchi di trovare i luoghi più freschi ed ombreggiati e di andare in giro con vestiti leggerissimi non riesco a difendermi da lui. Quel calore mi toglie il respiro, mi fa sudare e dopo poco sono uno straccio. E pensa che ogni volta che esco devo fare i conti con lui. Speriamo che passi presto" e corre a farsi una doccia mentre il marito, affacciatosi alla finestra, roteando i pugni e volgendo gli occhi al cielo dove non appare una nuvola ed il sole splende impassibile cuocendo a fuoco lento chiunque osi sfidarlo, non può far altro che gridare: "Maledetto Lucifero! Così tanto, dunque, tu sconvolgi le donne! Ma verrà Paolino!" con riferimento al prossimo mutamento climatico di fine agosto già battezzato dai creativi scienziati del meteo: Paolino (poco vento e fa freschino).
Un'altra notizia da prendersi con le molle è quella secondo cui le "Pussy Riot" hanno registrato il proprio marchio. Beh, ognuno ha diritto di farsi una opinione su queste sveglie ragazzotte russe che usano dar libero corso alla loro volontà dissacratoria profanando le chiese con canzonette sconce e balletti blasfemi, ma permettetemi di dire che non pensavo sarebbero arrivate a tanto.
Io, comunque, ricordando che il nome "Pussy Riot" vuol dire né più né meno che "La Rivolta della Passera" non voglio sapere niente di questo marchio, né come è fatto né cosa rappresenta, anche se temo che il soggetto non raffiguri un uccellino che cinguetta "Guantanamera".
Poi c'è la notizia (che ricompare sui giornali ogni tanto) che negli Stati Uniti hanno inventato una macchina della verità in grado di rivelare se le risposte date dai politici alle domande che vengono loro poste dai giornalisti sono vere o false. La notizia è certamente una bufala: nessuna macchina di tal genere per quanto tecnologicamente avanzata, potrebbe essere affidabile anche perché, in tal caso, sarebbe perfettamente inutile: come tutti sanno infatti nessun politico, interrogato durante una conferenza stampa, ha mai risposto o risponderà, seppure su questioni minime o ininfluenti, e neppure per sbaglio, la verità.

Badmington e taekwondo

domenica 12 agosto 2012

Sky gli aveva dedicato addirittura dodici canali, poi c'era RAI2, RAISport, Eurosport e tutte le edizioni dei vari telegiornali che ne avevano fatto l'argomento principale.. insomma, solo limitandosi alla televisione, le Olimpiadi erano state di gran lunga l'argomento sportivo più seguito dai mass media nostrani. Che fare? Eravamo tornati da poco dalle nostre solite vacanze in montagna e la città, inondata dal caldo, era pressoché deserta (escludendo le migliaia di turisti che la percorrevano in su e giù, sempre sulla stessa strada, a tutte le ore del giorno e non considerando la folla di badanti polacche, giardinieri filippini, muratori rumeni, ambulanti senegalesi e studentesse americane che, alle prime ore serali, si impadroniva delle piazze, delle strade e dei vicoli da dove se ne sarebbe andata solo alle prime ore dell'alba). Così a uscire non ci si pensava nemmeno; si accendeva il condizionatore e si restava in casa. E quando siamo a casa, e non siamo più adolescenti, e non è più il caso di uscire all'avventura, e l'ADSL non c'è, e i cinema sono chiusi, che si fa per cercare di non morir di noia? Si guarda la TV, porco boia; che altro puoi fare?
Così, si può dire per caso, o per necessità, o per ineluttabilità, eccomi divenuto il massimo esperto stanziale di Olimpiadi di tutta Italia. Uno potrebbe dire, ammiccando: "Dì la verità Biri, non hai fatto nessun sacrificio; a te le Olimpiadi piacciono un mondo e non aspettavi altro. Altrimenti avresti guardato altri canali, avresti seguito altri programmi".
"Amico mio" gli risponderei in tal caso "forse non sei al corrente di come si può definire l'intera l'offerta televisiva italiana durante i mesi di Luglio e Agosto ma in tal caso te la sintetizzo in una parola di cinque lettere delle quali la prima è "emme" e l'ultima è "a". Hai capito di che parola si tratta?" e se vedessi una espressione scandalizzata sul suo volto lo toglierei dall'imbarazzo dicendogli: "Morta. Ecco com'è la TV d'estate in Italia: morta. Sepolta" e sono sicuro che, tirato un sospiro di sollievo, si direbbe d'accordo con me senza sapere che in effetti la parolina in questione era un'altra, proprio quella che era venuta subito in mente anche a lui. Ma, signori, guardiamoci negli occhi: chi potrebbe dargli torto?.
Partiamo dalla RAI: il primo canale (Rete Ammiraglia la chiamano, quei fessi) divide le sue ore giornaliere di programmazione tra Quark preistorici (in uno di questi si preconizzava che in un prossimo futuro le persone avrebbero comunicato fra di loro usando addirittura telefoni portatili); riproposizioni di vecchie fictions (quelle che erano state rifiutate dalla maggior parte dei suoi telespettatori, peraltro di bocca assai buona, in tempi normali); quiz demenziali condotti da presentatori di seconda fascia e rivolti a persone esibizioniste pagate per la bisogna; e varietà tristissimi, visti e rivisti, poveri e abborracciati, dove vecchi cantanti, in cambio di miseri cachet e d'una comparsata in TV (ri)cantano (male) i risaputissimi cavalli di battaglia d'antan davanti a uno scarso pubblico distratto (perché pagato poco) e stimolato con poco successo da un capo-claque RAI mentre devono (i cantanti) far fronte alle risate spropositate e agli elogi sperticati di un presentatore riesumato dal Grande Oblìo; e tutti quanti in balìa di un regista esordiente promosso per l'occasione e costretto a starsene lì a girar bottoni, allungar manopole e a far zoomate a sproposito maledicendo il turn-over delle ferie estive RAI che quest'anno l'ha costretto a menar quella boiata mentre i suoi colleghi bravi se ne stanno alle Maldive o a Ibiza in attesa di uscir sul tardi a caccia di stangone tedesche, svedesi o americane disposte all'Avventura....
Sì, è vero, c'è il telegiornale, il TG RAI, ma a parte il fatto che si occupa per la maggior parte del suo tempo di Olimpiadi (anche lui!), per il resto, se si escludono gli elogi sperticati e rispettosi al Capo del Governo, ai Membri del Governo, al Capo della Chiesa, al Capo dello Stato, ai Capi di Camera e Senato; se si tolgono le solite interviste ai Rappresentanti dei Partiti; se si prescinde dalla storica rubrichetta di colore sulla monarchia britannica e i suoi buffi rappresentanti, se si omettono i servizi sul gran caldo che fa nelle città, quelli sulle ultime ricerche delle più strampalate Università Americane (il cioccolato fa dimagrire; a bere un bicchier di rosso dopo i pasti si digerisce meglio; sudare dopo aver fatto l'amore non è indice di prossimo infarto; il 70% degli uomini preferirebbe, tra le donne giovani, una bionda e con le gambe lunghe a una mora e tarpòna; quando fa caldo è opportuno non dimenticarsi di bere tanta acqua; ecc. ecc.); quelli sugli eccezionali risultati conseguiti dagli eroici rappresentanti delle nostre Forze dell'Ordine nell'ìmpari lotta alla Camorra e la solita marchetta promozionale di Mollica sull'ultimo CD del cantante di turno.. se si toglie tutto questo cosa resta? Niente; non resta niente.
Quanto a RAI2, il canale olimpico del servizio pubblico, trasmette solo gare nelle quali gli atleti italiani, a prescindere dai risultati conseguiti, vengono raffigurati dai creativi conduttori come una specie di eroi omerici. Questi Campioni, integri nel corpo come nello spirito, la mente rivolta ad alti ideali patriottici e tesi solo a conseguire i più alti risultati per i bene e l'onore della Patria, si battono con indomito valore sia contro innumerevoli avversari cattivi e fortunati che cercano con vari inganni di negar loro la meritatissima vittoria, sia contro la Jella, specie di Dea del Male anti-italiana, sempre in agguato a tesser le sue oscure trame per cercar di negare la Palma della Vittoria ai nostri valorosissimi rappresentanti.
Ci sarebbe RAI3 ma dovermi risorbire ogni sera ore e ore di "Storia d'Italia ai tempi del Fascismo", "Cronache del Ventennio", "La Repubblica Sociale Italiana", "Miti della Resistenza in Valdossola", e interviste a generali e ex-generali, a prelati, a generali tedeschi, a ex-partigiani, a storici anglo-americani, a giornalisti, a Ferruccio Parri e a Sandro Pertini (come è ovvio, non si tratta di servizi di prima mano), e vedere e rivedere i cattivissimi tedeschi che alzano la sbarra per entrare in Polonia, e gli Stukas in picchiata, e il bambino piccolissimo a mani alzate tenuto a bada dal ferocissimo soldato germanico, e Hitler che urla, alza il mento e si torce le mani come un mentecatto, e spezzoni di "Roma città aperta" e "Una notte a Roma" e tutto l'armamentario audio-video-culturale adatto alla bisogna.. insomma, cosa dire? Meglio, molto meglio le Olimpiadi. 
E così sono diventato espertissimo, oltre che delle classiche specialità olimpiche, anche di nuove e strane discipline che, lo confesso, ho seguito quest'anno, grazie a Sky, per la prima volta. 
C'è ad esempio l'hockey su prato, dove i giocatori delle due squadre si dannano l'anima correndo a testa bassa per l'azzurrissimo campo da gioco dietro ad una pallina bianca che immagino  abbastanza pesante e dura. Nell'hockey la massima preoccupazione delle partecipanti donne sembra non tanto quella di segnare dei gol quanto quella di riuscir ad evitare certe dolorosissime legnate negli stinchi che l'avversaria diretta, dribblata in modo ritenuto per lei infamante, non esita a rifilare (facendo finta di non averlo fatto apposta) con quella mazza ricurva di legno stagionato che dovrebbe servire a giocare la palla ma che, in questo e in altri casi, può ottenere lo scopo di guadagnarsi rispetto da parte delle avversarie strafottenti. Se si considera che a questo pericolo gli uomini devono aggiungere anche la possibilità che la pallina scagliata appositamente o per sbaglio a mezza altezza e con la massima potenza, vada a colpirli nelle parti più caratterizzanti la loro virilità con effetti temporaneamente paralizzanti e nei casi peggiori invalidanti, ecco come si può capire come, a scanso di rischi, l'hockey risulti uno degli sport con più fair play delle intere Olimpiadi.
Poi c'è il badmington, quella specie di tennis che si praticava un tempo da famiglie intere nelle nostre spiagge o nelle attività motorie-digestive dei dopo-picnic. Il badmington si gioca singolarmente o in coppia usando una racchetta tipo tennis (ma più leggera) e una pallina alla quale è stata aggiunta una specie di sottanina eterea che, proprio a metà della sua corsa, la fa scendere in campo lievemente e perpendicolarmente a scorno del giocatore avversario che già si preparava a ribatterla da un'altro punto del campo. Caratteristica del badmington è l'urlo dei giocatori; sembra che non si possa giocare il badmington se non si urla a voce altissima dopo ogni colpo e dopo ogni punto segnato; vien voglia di dir loro: "Signori, un pò di contegno, diàmine! Con tutto questo chiasso non si riesce nemmeno a seguire il vostro gioco!".
E poi c'è il taekwondo. Ragazzi, il taekwondo! Due concorrenti, uno rosso e uno azzurro, si piazzano al centro di una pedana e cominciano a prendersi a calci. Le mani e le braccia non servono a niente, sono i calci dati (e quelli ricevuti) che contano. I concorrenti saltellano qua e là cercando il momento propizio e poi.. oplà!: calcione a mezza vita (1 punto) oppure una piroetta e.. ri-oplà: calcione a mezza vita con avvitamento (2 punti). I calci debbono esser portati a mezza vita ma sono validi anche quelli che colpiscono la testa dell'avversario (un pensiero in  più; non avevo ancora considerato la possibilità di esser preso a calci in testa; speriamo di non aver mai da litigare con un praticante di taekwondo).
La notizia curiosa (fino ad un certo punto) è che l'Italia ha vinto una medaglia d'oro proprio nel taekwondo. C'è da immaginarsi ora quanti praticanti, per spirito d'emulazione, si avvicineranno al nuovo sport: migliaia e migliaia di giovani e meno giovani si riverseranno nelle palestre per apprendere l'arte di tirar calci a mezza vita e, c'è da giurarci, tempo due o tre anni gli italiani saranno espertissimi nel taekwondo.
Penso che la nuova disciplina potrà anche risultare utile, specie di questi tempi, specie in Italia.. Occhio politici, governanti, sindacalisti! Fra poco tempo ci saranno milioni di persone che potrebbero non limitarsi a fischiarvi.. potrebbero volare calci e posso pensare che non sarebbero tutti indirizzati a mezza vita, ma di dietro e un poco più in basso. Dove non batte il sole!

Ci siamo!

giovedì 5 luglio 2012

Dai giornali riceviamo e pubblichiamo:

Dopo anni e anni di frenetiche ricerche, dopo una caccia che ha occupato a tempo pieno le equipes di centinaia di scienziati sparsi nei laboratori di tutto il mondo, ecco la notizia che viene a sconvolgere irrimediabilmente le nostre vite: ad imperituro scorno degli scettici e dei disfattisti sempre pronti a schernire gli immani sforzi che, nel silenzio ottuso dei media, i nostri scienziati portano avanti tra mille difficoltà ed amarezze... ebbene, è sicuro: il bosone di Higgs esiste!
"E' proprio lui, ne sono sicuro" scrive il prestigioso quotidiano IlSole24 ore, e poi precisa: "Se non è lui è qualcosa che gli assomiglia in maniera stupefacente"; "Bando agli scetticismi fuori luogo" taglia corto "la Repubblica" (nelle pagine dedicate alla scienza, tra la reclame di un dopobarba e i necrologi), "il bosone di Higgs è fra di noi e niente sarà più come prima".
Ma cos'è questo bosone di Higgs? (a proposito: si raccomanda, ora e per sempre, di nominare correttamente l'oggetto in questione. Troppo spesso si sente dire, a proposito della celebre particella e del suo scopritore, "Sai, quel busone di Higgs....". Ribadiamo quindi la giusta denominazione: bosone di Higgs. E speriamo di non dover tornar più sull'argomento).
Gli scienziati, intervenuti ad una conferenza stampa per delucidare noi profani, ci hanno dato la risposta: "Il bosone, detto di Higgs dal suo ipotizzatore, è la particella che spiega perché l'Universo esiste. E' il bosone che dà consistenza alle cose. La chiamano anche "la particella di Dio" proprio per questo. Insomma se non si fosse trovato il bosone c'era da ammattire a capire come aveva fatto a nascere l'Universo".
Certo, ho pensato, la scoperta è grandiosa. Uno si guardava intorno, vedeva i monti, il mare, la luna, il sole, le stelle e si chiedeva, titubante: "Ma l'Universo come fa ad esistere se non hanno mai trovato il bosone di quel Higgs? E se non lo trovassero? (il bosone) Allora l'Universo non potrebbe esistere. E io dove sono? Sono sicuro di essere qui? Cosa ho mangiato oggi a pranzo?" e via con le pensesse, sbroccando.
"Beh, ora che è stato trovato il bosone, c'è da star tranquilli" ho pensato e per far vedere che avevo capito a fondo di cosa si trattava nonché per dare nuovo impulso all'intervista, ho domandato: "Ma come avete fatto a scovarlo?" (il bosone, ovvio). "Beh, amico mio" ha risposto con un sorriso di condiscendenza il vecchio astrofisico, "pensi solamente che ci sono voluti 40 anni di ricerche portate avanti da centinaia di scienziati e una spesa di 800 miliardi di euro (all'anima! ho pensato). Ma ne è valsa la pena. Abbiamo provocato milioni di collusioni tra particelle nei nostri laboratori e alla fine abbiamo visto il busone. Era proprio lui, quello di Higgs, quello che cercavamo da anni. E adesso il mondo sarà diverso. Per tutti." ha poi concluso tra gli applausi dei numerosissimi giornalisti presenti.
"Naturalmente.." stavamo già per uscire ma abbiamo sentito che lo scienziato aveva ancora qualcosa da dirci. Ci siamo fermati ad ascoltarlo. "Naturalmente c'è ancora molto da fare. Innanzitutto dobbiamo scoprire da dove vengono tutte quelle particelle scontrandosi con le quali si è formato il bosone di Higgs. Chi ce le ha messe? Da dove vengono? Capirete che si tratterà di una scoperta fon-da-men-ta-le. La scoperta delle scoperte". Si è asciugato la fronte. Nell'aula si era fatto un silenzio irreale. Poi, alzando fieramente il viso come a sfidare le avversità del Fato e della Natura, il vecchio scienziato ha proseguito: "Ma noi lo scopriremo! Scopriremo i segreti dell'Universo! Ci volessero altri trenta, o trecento, o tremila anni, noi lo scopriremo! Ci volessero altri mille, o duemila, o ventimila miliardi di euro, noi lo scopriremo!".
Applausi a scena aperta; lampi dei fotografi; vecchi cronisti che piangevano dall'emozione. "Beh, potrò dire che io c'ero!" ho pensato fieramente apprestandomi ad uscire dalla stanza.
Sono uscito in strada che il cuore mi batteva in gola dall'emozione. Giunto al punto dove avevo parcheggiato la macchina ho visto che qualcuno me l'aveva ammaccata. Mi sono guardato intorno: niente; nessuno aveva visto. Il faro anteriore sinistro era rotto. Mi avevano fatto anche la multa per divieto di sosta: 80 euro. Ci credereste? Non me n'è importato nulla. Sono salito in auto a cuor leggero (e con un faro in meno). "Che m'importa?" pensavo "da domani la mia vita cambierà. Ora che c'è quel tal bus... bosone di Higgs (ho fatto, riprendendomi) niente sarà più come prima". E ho ingranato la marcia. 

Tutti tipografi!

giovedì 28 giugno 2012

Sarà vecchio, sarà bollito, sarà out (almeno così lo dipingono le sinistre) ma non si può negare che quello che una volta  tutti chiamavano "il Cavaliere" (oggi ci si riferisce a lui limitandosi a dire, come ci ha insegnato Scalfari,: "Er puzzone"...) di idee ce ne ha a iosa. Alcune geniali; altre demenziali; mai banali, però. Guardate il chiasso che ha sollevato con la sua ricetta per far uscire l'Italia dalla crisi. Beh, sembrerebbe la provocazione di un buontempone, e invece, a giudicare dallo spazio e dalla considerazione con cui l'hanno trattata i quotidiani più prestigiosi, si vede che qualcuno l'ha considerata una proposta seria, degna di essere studiata  e valutata a dovere. A me, che non sono un esperto, sembra una classica "boutade" berlusconiana, ma devo ovviamente inchinarmi a coloro che si sono messi a giudicarla per quello che vale. Ricordiamo brevemente l'idea silviesca per far uscire l'Italia dalla crisi. La "consecutio logica" è la seguente:
1. L'Italia è in crisi.
2. La crisi deriva dalla mancanza di soldi (loro dicono: liquidità).
3. Senza soldi la gente non spende, non risparmia e preleva i propri risparmi dalle banche.
4. Quindi le banche vanno in crisi di liquidità e devono cercar soldi da altre parti
5. Senza soldi i consumi diminuiscono, quindi le aziende chiudono, quindi i disoccupati aumentano, quindi le entrate statali diminuiscono e quindi c'è ancora più bisogno di soldi. Allora il governo emette sempre più titoli di Stato, quindi, aumenta la spesa per interessi, che vengono pagati aumentando le tasse, quindi la gente ha ancora meno soldi, quindi le poche aziende che erano rimaste ancora sul mercato chiudono, quindi....
5. Quindi si va verso il fallimento.
Dice il Cavaliere (geniale! Indiscutibilmente geniale!):
"La crisi c'è perché la gente non ha più i soldi! Per avere più soldi basta stamparli! Si ordini alla Zecca di stampare euri a palate e in meno di un mese tutti avranno soldi da spendere, le aziende riapriranno, la disoccupazione calerà e le banche vedranno aumentare i depositi".
Ma come! E perché nessuno ci aveva pensato? (mi sono chiesto) E perché non ci ha pensato la Grecia, o la Spagna che sono nella stessa nostra crisi?
A me sembra l'idea del secolo. Tipografie al massimo e euri per tutti (scusatemi ma io uso il plurale). Tornano i soldi per andare in vacanza, per pagare le bollette, per cambiare l'auto, per pagare l'affitto, per aumentare le pensioni.... una bellezza! Fine dei mugugni, delle privazioni, delle rivendicazioni sindacali... si vuole un aumento di 1000 euro per tutti? Oplà! Rotative in funzione per qualche ora e il giorno successivo si potranno ritirare i soldi in qualche ufficio statale autorizzato alla bisogna, o alle Poste, o in Banca.
Si potrebbe addirittura perfezionare l'idea mettendo in vendita delle piccole eurostampanti per famiglia, aggeggi delle dimensioni non più grandi di quelle di un forno a microonde, che, con l'aiuto di un kit (in vendita anche quello) composto da qualche cartuccia di colore e da una risma di fogli di carta dalle dimensioni assortite (diciamo le dimensioni dei biglietti da 50, 100, 200 e 500 euro) permetterebbe a chiunque di stamparsi gli euri da sé, senza bisogno di importunare gli uffici statali, o le Poste, o le Banche. Il costo della stampante e del kit di stampa? E chi se ne frega; quanto costa, costa. Uno lo prende per un giorno in prova, ci stampa su gli euri che gli servono, e il giorno successivo va dal rivenditore e con un bel: "Funziona. Lo compro" gli rifila in mano i bigliettoni appena stampati nuovi di zecca (si fa per dire) e se ne va con l'eurostampante.


Però, stranamente, l'idea del Silvio nazionale, non ha incontrato la prevista adesione di tutti. Molti (i soliti comunisti, c'è da scommetterci) hanno addirittura detto che è una fetecchia, che nemmeno un ragazzino deficiente l'avrebbe mai pensata. Altri hanno accolto la rivoluzionaria proposta con un sorrisino sulle labbra: "Sì, sì! Una delle solite buffonate del Berlusca!". Insomma, tante sono state le critiche che Silvio ad un certo punto ha sbottato: "Ovvìa! Allora è vero che non vi garba mai niente! Io un'idea ce l'avevo avuta ma se non vi va, lo sapete che vi dico? La crisi risolvetevela da soli!" e se ne è andato, tutto impettito, a fare il Presidente di Giuria del Campionato Giovanile di Burlesque in programma quella sera.
Mah, chissà perché poi tante critiche. A me l'idea pareva buona anche se non mi arrischio a dirlo in giro. Io le critiche non le sopporto; forse anche perché le serate, se va bene, le passo davanti alla TV.