Missione del blog

Il Biri, il socio più anziano titolare della celebre Agenzia (*), ha l'abitudine, da anni, di annotare i suoi pensieri, le sue osservazioni e gli avvenimenti che gli accadono (anche i meno memorabili) in un taccuino che non mostra a nessuno e del quale è gelosissimo.
Ora, avuto il permesso di visionarlo, l'ho trovato per certi versi interessante (come tutto quello che concerne il Biri) e gli ho chiesto perché non lo pubblicasse in un blog. Impresa disperata: il Biri non sa usare nemmeno il telecomando del televisore, figuriamoci il computer! Impietosito ho deciso di aiutarlo e pertanto ecco qui il blog con le pagine del taccuino del Biri che potrete leggere e commentare ricordando sempre che il sottoscritto non si prende alcuna responsabilità del contenuto essendo il suo contributo solamente quello di una collaborazione tecnica e poco più.


Per saperne di più, leggere il post dal titolo: Ouverture.
R.M.

(*) L'Agenzia di Ascolto e Collaborazione Morale della quale parlerò appronditamente in un prossimo futuro su queste pagine.

Roberto Mulinacci

FAME DI CULTURA

martedì 30 novembre 2010

Non ero in vena di facezie, oggi; era un giorno grigio, faceva freddo, soffiava un vento ghiaccio e a tutto ero portato fuor che alla critica costruttiva, così quando il mio amico mi ha detto “Hai visto? Ora il Berlusca se la prende con la Cultura (ha pronunciato la magica parola con la C maiuscola). Tagli alla scuola, tagli alle Università, tagli al teatro, tagli al Cinema; vuoi sapere dove andrà a finire l’Italia nella considerazione internazionale? Dopo il Burundi!” dimostrando con questa affermazione, oltre all’esplicita critica verso l’operato del Governo, anche un immotivato disprezzo verso tutti gli intellettuali della simpatica nazione africana.
“Dario, scusami tanto” gli ho replicato a muso duro “ma con tutta la tristezza ontologica che mi ritrovo, con tutto lo spleen indotto dalla grigia giornata autunnale, quello che proprio non desidero è lasciarmi coinvolgere in un dibattito sulla cultura” (l’ho detta, la parola magica, con la minuscola) “Anzi, ti dirò: è un po’ di tempo, e cioè da quando hanno acquisito status culturale le recensioni di Repubblica, i DVD de l’Espresso, i talk show con Saviano, Santoro e Fazio ed i film di Moretti, che, quando sento parlare di cultura, ho l’impulso irrefrenabile di stendere il braccio destro davanti a me e, chiusa la mano a pugno, estenderne verso l’alto il dito medio con una forza e una virulenza che chiunque giudicherebbe insospettabile in un giovialone come me. E’ un riflesso biasimevole ma, essendo incontrollabile, non ci posso far niente.”
“Scherza, scherza” Dario ha sempre l’impressione (errata) che io scherzi, “Ma la ricerca dove la mettiamo? E i precari? E gli studenti? Non ti preoccupa la formazione culturale dei nostri giovani, della classe dirigente di domani?”. Mi provocava.
“Oh Dario, sai quanto me ne frega di quella strana entità, quel coacervo di esperienze personali, usi, costumi, studi, ispirazioni, invenzioni, rivisitazioni eccetera eccetera che, mescolati e interpretati alla luce della storia (umanistica, civile, artistica e religiosa) di un popolo si suol chiamare Cultura. Sai che ti dico? La cultura è morta, stramorta e seppellita. E senza un funerale, una lagrima o una commemorazione; defunta; sparita; kaputt.”
Definire sconcertata l’espressione di Dario è puro pleonasmo.
“Certo che anche io vivo in questo mondo e leggo i giornali e guardo la televisione. E in TV vedo torme di giovani (appellati col titolo di “studenti” dal commentatore) che manifestano contro la “morte della cultura” (così dicono). Oggi l’onore delle cronache è toccato alla manifestazione studentesca di Roma dove un lungo corteo si è snodato per le vie cittadine diretto a Montecitorio. Mi sono soffermato a guardare il servizio per qualche minuto. Questi cortei sono sempre uguali: a favore di telecamera si avanza un grosso corteo variopinto (ma tendente al rosso). La primissima fila è composta da giovani di terzo pelo incazzatissimi acconciati secondo i canoni del celebre (ma trito) look rivoluzionario. Tutti hanno giubbotti imbottiti, sciarpetta stile al-fatah al collo, jeans sdrusciti e scarpe da ginnastica; molti indossano il casco integrale, altri hanno massicce sciarpe di lana girate e rigirate sul viso. Abbondano i piercing. Si fanno scudo con un lungo striscione bianco, dove, a caratteri cubitali rossi c’è scritto: - GLI STUDENTI ITALIANI HANNO FAME DI CULTURA -. Dietro a questa prima fila, si avanza una massa disordinata di giovani e meno giovani, maschi e femmine, molti impugnano la mitica e rivoluzionaria bomboletta spray (che non se lo scordino il loro corteo, i muri ed i monumenti cittadini), altri con il lettore mp3 all’orecchio, altri ancora con i telefonini posizionati a videoriprendere quei gloriosi momenti (pro Youtube) ma tutti scandendo in coro gli slogan lanciati dai loro leaders più battaglieri dove risuonano, ferocemente sarcastiche, le solite offese contro i potenti e gli attentatori alla loro unica ragione di vita che è quella di crescere sani, poter avere ogni settimana abbastanza soldi per la discoteca, il motorino e la ricarica della chiavetta, usufruire delle mille possibilità che la nostra odiatissima civiltà gli offre (come ad esempio, bloccare la circolazione, sfondare vetrine, danneggiare auto e poter partecipare impunemente a cortei non autorizzati come questo) ma soprattutto poter godere di quei piaceri intellettuali che solo una buona cultura potrà offrir loro.
E così, l’eccitatissimo intervistatore di RAI3 (c’è sempre qualcuno di RAI3 dove c’è casino) può chiedere, pleonasticamente: “Molti dicono che siete manovrati da qualcuno.. voi cosa gli rispondete?” per sentirsi ribattere, a muso duro, da un barbutissimo pluriennale fuori ruolo: “Che se lo vadano a ripiglias… in der c… Vojamo la cultura noi! Senza la cultura nun se po’ vive!”. Interviene una ragazza (un piercing alla narice sinistra, un altro sopra il sopracciglio, rossetto marrone e occhi nero cerchiati): “Io vojo solo de potè studià. Non ce possono impedicce de studià!”. Applausi, urla, grida: “Brava Sabrì; dijene ‘ste cose a tutti quelli che ce vojono ‘gnoranti!”.
A dire il vero, non tutti gli studenti manifestano in piazza. Quelli che non ci sono andati però le telecamere di RAI3 non li inquadrano: non fanno notizia. Loro sono rimasti in classe, a seguire le lezioni dei pochi professori che non hanno solidarizzato con i manifestanti. Cosa fanno? Ascoltano le spiegazioni, prendono appunti, si impegnano con la versione in inglese, cercano di risolvere il problema di matematica, rispondono meglio che possono ai quiz di valutazione. Si vede proprio che a questi, della cultura, non gliene frega niente. 

L'ODIO

venerdì 19 novembre 2010

Quando si parla di sentimenti l’odio è condannato (almeno a parole) pressoché da tutti.
E’ un sentimento negativo, si dice, perché è l’opposto dell’amore; è un sentimento di ripulsa verso un uomo, una nazione, un popolo, una classe, una idea, che può diventare cieco, irresponsabile, violento, dirompente, inestinguibile. Quando una persona, o più persone, è in preda all’odio può compiere qualunque atto, qualunque nefandezza, qualunque tradimento, qualunque infamia, pur di soddisfarlo.
Così si dice. O meglio; si diceva.
Già perché da qualche anno a questa parte l’odio ha acquisito un altro tipo di status; come dire: il vecchio vituperato sentimento si è ammantato di una certa pàtina di nobiltà, e, piano piano, ma irresistibilmente, sta acquisendo diritto di cittadinanza presso gli animi più puri ed elevati della nostra gloriosa Nazione.
Tutto è cominciato quando una certa persona (un Carneade, un parvenu, un chissacchì) si è messo di traverso al sacrosanto (e pressoché già acquisito) diritto delle forze progressiste di dirigere il Paese onde portarlo diritto verso le albe radiose del Progresso, del Relativismo, della Multiculturalità Rivoluzionaria, del Sei Politico e del Ripristino dell'ICI.
Beh, quell’intrusione proditoria seguita dalla sua inaspettatissima vittoria, le forze del Bene, non l’hanno proprio mandata giù e dopo un attimo di legittimo smarrimento sono passate al contrattacco elaborando la strategia capace di annientare il parvenu regressista e ripristinare la democrazia violata secondo il sempre valido detto post-stalinista che recita: “La democrazia è l’esercizio della volontà popolare (purché questa sia simile alla nostra)”.
La strategia che ogni sincero democratico, scornato elezione dopo elezione dalle continue vittorie del Nostro, ha elaborato, accettato e praticato deriva dal semplice assunto:
“Il popolo è con noi ma vota l’Altro. Noi non possiamo fare a meno del popolo ma faremmo volentieri a meno dell’Altro. Eliminiamo l’Altro e il popolo tornerà da noi”.
Ed ecco programmata, giustificata e perseguita la più grande campagna d’Odio contro un’unica persona che sia mai stata effettuata negli ultimi secoli. Odiare quell’importuno e fargliela pagare con ogni mezzo: abbatterlo con la forza dell’Odio utilizzando tutte le sue armi: l’Offesa, la Messa in Ridicolo, la Diffamazione, la Calunnia, la Diffusione dei Peccati, il Tradimento, la Persecuzione Giudiziaria e, per ultima, la Violenza Fisica.
L’Odio verso l’importuno occupa stabilmente i pensieri di migliaia di militanti sinistrorsi, i mezzi più fantasiosi per estrinsecarlo popolano i loro sogni; allenarsi all’Odio è un training che svolgono continuamente in modo che il loro Odio si rafforzi, si cementi, trovi sempre nuove occasioni per dimostrarsi.
Per farlo poi basta scatenare tutte le armi, accantonate durante gli ultimi decenni, che ora vengono utilizzate per la Sacra Campagna contro l’Usurpatore del Volere Popolare: ecco mobilitati i giornali, i talk show televisivi, le manifestazioni di piazza, gli scioperi, le interrogazioni, le perquisizioni, i procedimenti giudiziari, le contestazioni, i centri sociali e chi più ne ha, più ne metta.
Poiché si può ragionevolmente pensare che nessun uomo possa resistere ad una campagna d’Odio come quella messa in atto finora, ecco che i coraggiosi partigiani della ortodossìa democratica potrebbero sentirsi legittimamente autorizzati a prenotare fin da ora il tavolo del banchetto che sancirà, con una di quelle unitarie cene popolari per cui la sinistra nostrana è giustamente celebrata nell’universo mondo, oltre alla fine del Dittatore (compresa la sua rovina umana, aziendale, patrimoniale e familiare), anche l’avvento al Potere della sola forza autorizzata a farlo in base al principio che “chi non è con noi è contro di noi, noi abbiamo ragione per principio, ergo chi non è con noi ha torto marcio”. Non fa una grinza.
Ma… c’è un ma. La remora deriva dal fatto che il popolo è un animale strano. Lo blandisci proteggendo le sue debolezze più estreme, lo distrai e lo fai ridere con i tuoi comici combattenti, lo accontenti facendolo sfilare dietro le bandiere spiegate della Rivoluzione, cerchi di indignarlo con le campagne che mettono in piazza i vizi privatissimi del Nemico e questo che fa? (il Popolo). Quando c’è da votare o resta a casa a guardare la partita (o il Grande Fratello), o, se proprio deve andarci (a votare), si concentra un attimino, e, dopo aver fatta mente locale a quali sarebbero le eventuali alternative, fa la croce nel quadrato sbagliato.
E’ un bel problema. E se Quello ce lo ritrovassimo di nuovo a capo ancora dopo quasi vent’anni di lotta dura e pura (dicono i democratici)?
Beh, pensano, se il problema deriva dal voto il rimedio ci sarebbe e facile da attuare: elezioni a lista unica, ovviamente la nostra. Sarebbe una soluzione democratica al cento percento, anche. E del resto chi potrebbe dire che la Repubblica Democratica di Corea non è democratica? E la Repubblica Democratica Cinese cos’è, non è democratica? Lo dice la parola stessa. E allora come potrebbe il nostro Partito Democratico non essere democratico; chè scherziamo?
B.

BERLUSCONISMI

giovedì 4 novembre 2010

Dario era raggiante, me ne sono accorto appena l’ho visto, fermo che mi aspettava al solito posto.
“Hai visto?” ha fatto tutto allegro e con gli occhietti ammiccanti “il lupo perde il pelo ma non il vizio. Dagli e ridagli le magagne vengono al pettine. Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino” ha concluso in bellezza. Si è messo poi in attesa della mia inevitabile domanda, scontatissima del resto, ma che, per onorare il gioco delle parti, mi sono prestato a fargli:
“Scusa, non ti capisco (ho mentito); mi spieghi che cosa vuoi dire? O meglio: a chi ti riferisci?” (come se non lo sapessi!).
“Dai, Biri! Non fare finta di niente! Il “tuo” Cav è bell’e spacciato. E non è inciampato nei trabocchetti dell’opposizione, dei sindacati, della magistratura o della stampa amica della sinistra. Ha sacrificato il potere, il voto di milioni di elettori e la sua reputazione (posto che ne avesse ancora una) per la più banale delle tentazioni: la f…! (qui Dario ha pronunciato una parola bisillaba che, puritano come sono, non mi sento di trascrivere).
Restando io pervicacemente in silenzio, l’amico, per consolidare il  suo vantaggio, ha pensato bene di proseguire:
“E ora è inutile menarla con le solite giustificazioni tipo: ognuno in casa sua può fare quel che vuole o: si tratta di provocazioni mediatiche o: non è successo niente di irregolare o anche, più bella di tutte: tutte queste notizie diffamatorie, invece di indebolirlo, il Cav lo rafforzano. A questa non ci crede più nessuno. Nemmeno te.” Ha concluso guardandomi negli occhi per gustare il suo trionfo.
Ho deciso di rispondergli, non per niente, ma perché l’argomento aveva cominciato ad annoiarmi.
“Caro Dario” gli ho fatto “credi proprio che me la prenda tanto a cuore per le (dis)avventure pecorecce del (come dici tu) “mio” Cav?. Guarda che a me queste cose non fanno né caldo né freddo. E’ solo perché sono affetto anche io di quella sindrome che chiamano “berlusconite potenziale”, che il Cav un po’ lo capisco. E sai perché? Perché sono sicuro che tutti gli affetti da questa patologìa (la berlusconite, intendo) che sono tanti a anche di sinistra, sono pronti a perdonargli quasi tutto ciò che possa aver fatto (escludendo i reati, è ovvio) in nome della Narda”.
“Ma che diavolo ti inventi ora? La Narda… che diavolo è la Narda? E che significa che tu sei affetto da berlusconite potenziale?” ha chiesto Dario, che pensava di avermi messo al tappeto con un uppercut micidiale e mi ritrovava davanti a lui, in guardia e più tosto di prima.
“Dario, amico mio” ho ribattuto “ma come non sai cos’è la Narda? La Narda è quella cosa che fa muovere il mondo, che modifica la storia, che fa erigere monumenti e dichiarare guerre, che crea e distrugge carriere e fortune e con la quale, in un modo o nell’altro, a prescindere dall’uso che ne abbiamo fatto ne facciamo o ne faremo, io, tu, e tutti quanti abbiamo avuto a che fare fin dalla nascita. Tu prima l’hai chiamata in un altro modo che, devo dire la verità, mi è sembrato un po’  volgare così io ne ho usato un altro un po’ più soft anche se l’oggetto, anzi, la parte indicata, è la stessa. Quanto alla mia predisposizione a quella patologia che va sotto il nome di berlusconite (da colui che per primo l’ha presa, coltivata e implementata a livelli mai visti prima), devo dire che anche io, nel mio piccolo, l’ho presa in pieno, anzi, forse l’ho sempre avuta senza che me ne rendessi conto. Peccato che la specie di berlusconite che mi ha colpito è meno divertente di quella classica (quella del Cav per intenderci) dato che io sono stato colpito dalla forma più penosa (nelle manifestazioni e nel decorso), quella che va sotto la denominazione di “berlusconite ideologica o potenziale”. Per spiegarti di che se tratta ti dirò che i sintomi sono gli stessi della berlusconite classica cavalleresca: adoro essere circondato da giovanissime ragazze poco vestite che fanno a gara per coccolarmi, mi piace che ognuna di esse faccia la carina con me e come si ingegni in ogni modo affinchè possa essere lei quella prescelta, quella che dividerà il letto con me, almeno per una notte. Questi sono i sintomi della berlusconite e io, come vedi, ce li ho tutti. Purtroppo per me, la mia è la forma degenerata, o platonica (da qui l’aggettivo “ideologica” o “potenziale”) che consiste in questo: i sintomi ci sono tutti salvo il fatto che mancano drammaticamente i soldi, le ville e le piscine e, in quanto alle ragazze, non ho mai visto da vicino né una velina, né una escort e nemmeno un’hostess di terza mano. Ovvio che, con questi presupposti resto un berlusconistao solo ideale, o potenziale se preferisci. Ma se avessi tutto quello che mi manca, sono sicuro, potrei fare come e meglio del Cav.”
“Così tu lo scusi? Lo giustifichi?” ha ribattuto Dario facendo finta (si vedeva lontano un miglio) di scandalizzarsi “Fai pure ma lo sai che ti dico? IL Cav questa volta ha toppato: gli italiani non gliela lasceranno passar liscia. Aspetta solo qualche giorno: te lo ritroverai in galera accusato di pedofilia o forse in clinica a disintossicarsi di… come hai detto? Di Narda.”
“Dario Dario, cosa vuoi che ti dica. Forse che sì, forse che no. Stai attento che il Cav ha sette vite. Può darsi che alla maggioranza degli italiani, nonostante i presunti scoop pecorecci della velina rossa (sì, hai capito bene: il foglio scalfariano che ormai tutti chiamano la Re-pubica) il Cav vada ancora bene come premier, sia che guardino a come si è comportato al governo, sia se realizzano bene chi andrebbe al suo posto. Fai pensare: Veltroni? Bersani? Forse Franceschini? No, lui no. Ah, ecco: Vendola. Pensi a Fini? Può darsi. O Di Pietro, tanto per parlare di un moderato? Che fai: taci? Lo immaginavo: sarebbe dura da mandar giù doversi risorbire le trimurti alla Prodi, Visco e TPS di non lontana memoria. E te la immagini la cronaca italiana senza il Berlusca? Nessuno si interesserebbe più alla politica, dai retta a me. Al governo solo vecchi coi musi lunghi, giovani presupponenti e femmine racchione; quanto alle cose che rendono divertente la politica (che non è cosa da prendere sul serio, su questo sarai d’accordo con me) mai una battuta, mai niente da ridire, satira azzerata, articoli e commenti appiattiti disperatamente sulle banalità tipo Prima Repubblica. E pensa ai sindacati che non potendo più indire non dico uno sciopero generale, ma nemmeno una agitazioncina studentesca, in breve tempo si troverebbero a contare meno di quanto conta oggi la CGIL alla FIAT; pensa alle miriadi di comici, vignettisti, imitatori e tutti quelli che hanno costruito la loro effimera popolarità in chiave anti-Cav che si troverebbero disoccupati dall’oggi al domani. Quanto alle relazioni internazionali sarebbe una catastrofe. Ti immagini Sarkozy, la Merkel, Putin e quel simpaticone di Obama, tutta gente brillante, colta, piena di savoir faire e savoir vivre, persone che apprezzano oltre alle belle donne, le battute di spirito, i doppi sensi e le barzellette anche se all’occorrenza sono in grado benissimo di fare una conferenza stampa in inglese e sanno di economia politica e di rapporti internazionali; te li immagini, dicevo, alle prese con quel bietolone di Bersani, o con il ragazzaccio Franceschini o anche… no, no non posso nemmeno dirlo figuriamoci immaginarlo…. va bé, lo dico: Di Pietro? Immagina la scena. All’assemblea Generale delle Nazioni Unite, dopo le relazioni sullo Stato del Mondo esposte da Obama e Putin, sale a parlare Di Pietro. Si mette gli occhiali, tira fuori di tasca gli appunti che un suo fedele gli ha preparato in “anglo-irpinate maccheronico”e comincia a leggerli. Dà un’occhiata al foglio mentre le mani cominciano a sudargli. Si raschia la gola, poi comincia a leggere pari pari quello che gli ci hanno scritto: -Gùmmòning ser. Ai em gled tu bi hìar…-  dopo qualche attimo di sorpresa e di imbarazzo, tutta l’Assemblea comincia a ululare contro l’oratore. Chi alza le mani facendo le corna, chi si accontenta di ostentare il dito medio levato, chi fa manifesti cenni di disprezzo, chi gli lancia bucce di popone introdotte di nascosto nel Palazzo di Vetro e venute utili per la bisogna… alcuni delegati delle isole della Micronesia tirano fuori la lingua e fanno il gesto di chi vorrebbe tagliargli la gola, altri, saliti sulle sedie, gli voltano le terga e si abbassano i pantaloni dimenando il deretano come dimostrazione di sovrano dissenso… il casino è generale. Quando alla fine Di Pietro viene fatto smettere le quotazioni internazionali dell’Italia sono al minimo storico. Nessun  premier ci rivolgerà mai più la parola; in breve battiamo il record di scarsa influenza internazionale scalzando dall’ultima posizione la tribù di antropofagi dei Burangha-Wara.”
Dario, aveva ascoltato tutto e se ne stava in silenzio ora, con gli occhi sgranati e la bocca semiaperta come se avessse dimenticato dove si trovasse.
“Per quanto mi riguarda” proseguì trionfante il Biri “il Cav poteva anche darsi una calmata. Ma che bisogno c’era, dico io, di spandere ai quattro venti le sue gesta erotiche, a base di fanciulle in cerca di visibilità e di anziane peripatetiche desiderose di aver qualcosa di importante da raccontare? Poi ho pensato che forse il Cav ostenta le sue imprese perché certi giornali, ormai declassati dagli antichi fasti di fari di obiettività e relegati al ruolo di fogliacci gossippari, abbiano qualcosa da scrivere. Ecco perché sotto sotto anche la Re-pubica si impegna perché il Cav resti al suo posto. E comunque in almeno una cosa, lascia che te ,lo dica, lo capisco e lo supporto in modo convinto e completo”.
“Sentiamo” sibilò Dario, esausto ma curioso.
“Dove ha affermato che, a parer suo (cito testualmente) “è preferibile guardare le belle ragazze che essere gay” il che, tradotto per il popolo minuto (che però l’ha capito al volo) significa che “T(bìp)mbà è meglio che p(bìììp)allo nel c(bìììp)”.
NOTA DELL’EDITORE Certi termini triviali usati del Biri sono stati censurati dal curatore del presente blog per non urtare la sensibilità degli animi sensibili.
“Ecco” riprese il Biri “in questa affermazione devo dire che il Cav mi trova completamente d’accordo. Posso capire che possa urtare tutti coloro, e ce ne sono tra quelli di sinistra, che avrebbero preferito una maggior par condicio (tipo: “T(bìp)mbà è uguale a p(bìp)allo nel c(bip)”) ma sono convintissimo che anche loro, al di là di certe polemiche di comodo della loro dirigenza e magari senza confessarlo per non urtare Vendola, Marrazzo e la Bindi, sono pronti a condividere questa affermazione piuttosto di quella fondamental-progressista che orgogliosamente recita: “è meglio p(bìp)allo nel c(bìp) che t(bìp)mbà”. In questo caso il Cav si sarebbe  guadagnato, sì, gli applausi della sinistra, ma si sarebbe alienato le mie simpatie. E il Cav a me e a quelli che, su certe cose, la pensano come me, ci tiene”