Missione del blog

Il Biri, il socio più anziano titolare della celebre Agenzia (*), ha l'abitudine, da anni, di annotare i suoi pensieri, le sue osservazioni e gli avvenimenti che gli accadono (anche i meno memorabili) in un taccuino che non mostra a nessuno e del quale è gelosissimo.
Ora, avuto il permesso di visionarlo, l'ho trovato per certi versi interessante (come tutto quello che concerne il Biri) e gli ho chiesto perché non lo pubblicasse in un blog. Impresa disperata: il Biri non sa usare nemmeno il telecomando del televisore, figuriamoci il computer! Impietosito ho deciso di aiutarlo e pertanto ecco qui il blog con le pagine del taccuino del Biri che potrete leggere e commentare ricordando sempre che il sottoscritto non si prende alcuna responsabilità del contenuto essendo il suo contributo solamente quello di una collaborazione tecnica e poco più.


Per saperne di più, leggere il post dal titolo: Ouverture.
R.M.

(*) L'Agenzia di Ascolto e Collaborazione Morale della quale parlerò appronditamente in un prossimo futuro su queste pagine.

Roberto Mulinacci

LEVIATHAN

sabato 28 gennaio 2012

Il grande (a mio avviso) filosofo inglese Thomas Hobbes (1688-1779) nella sua opera più famosa: Il Leviatano, ipotizza che gli uomini, condannati a voler prevalere gli uni sugli altri ("homo homini lupus") onde evitare la loro estinzione cruenta si accordano per delegare ad un terzo (il Leviatano, appunto) gran parte dei loro diritti naturali affinché li eserciti per loro conto essendo essi, a causa della loro continua competizione, praticamente paralizzati e impossibilitati ad esercitarli. Ogni uomo è pertanto costretto a spogliarsi della possibilità di esercitare il diritto, di giudicare, di punire e di imporre la propria volontà sugli altri (cose che creerebbero inevitabilmente tensioni e reazioni impossibili a dirimersi individualmente) e le cede al Leviatano che quindi, forte del diritto che deriva da questo consenso, può far valere su ognuno, imparzialmente, la sua volontà.
Si tratta indubbiamente di una teoria filosofica come molte altre ma essa è oggi indubbiamente attuale.
Una specie di Leviatano (lo Stato) lo abbiamo sempre avuto ma sempre abbiamo cercato di controllare i poteri che gli abbiamo conferito con il cosidetto consenso popolare; periodicamente i cittadini (i sudditi del Leviatano) si recano alle urne dove pensano di esercitare il diritto primario di scegliere coloro che reputano più capaci (sulla base di certi requisiti quali l'appartenenza ad una ideologia apprezzata e condivisa, meriti personali, adesione a certi programmi, ecc.) scegliendo alcuni piuttosto che altri in una lista precompilata (da altri) o più drasticamente delegando alle coalizioni di partiti la responsabilità di scegliere gli uomini di loro fiducia.
Negli ultimi anni questa consuetudine (l'elezione dei controllori dello Stato tramite votazioni) che viene chiamata "democratica", ha però mostrato dei limiti, delle carenze strutturali che ne hanno drammaticamente ridotto l'efficacia.
E' accaduto infatti che nessuno che di coloro che andavano al potere aveva poi effettivamente la possibilità reale di incidere sullo status quo, frenato, ricattato e sviato da mille vincoli quali l'adesione alla sua vera o presunta ideologia, l'"obbligo" (tra virgolette) di non fare niente che potesse danneggiare i poteri che avevano supportato la sua candidatura, e la necessità di non scontentare la propria base elettorale, pena il suo allontanamento a breve termine (alle successive elezioni) dalle leve del comando.
In queste condizioni nessuno ha potuto permettersi di porre rimedio a certe storture o ingiustizie anche evidentissime; nessuno ha potuto veramente riformare la società civile che pensava di averlo delegato, eleggendolo, proprio ad effettuare certi cambiamenti. Chi mai (intendo non solo uomo, ma forza politica o schieramento di coalizione) avrebbe potuto in queste condizioni modificare le pensioni, o aumentare spasmodicamente la pressione fiscale, o incidere sui diritti di alcune corporazioni, o definire ex-novo il diritto di sciopero o le regole che determinano i rapporti di lavoro?
Di fronte a questa realtà è sorta una impasse drammatica che, secondo alcuni, ci avrebbe portato velocemente ed ineluttabilmente alla rovina. Ecco dunque risorgere dalle pagine di Hobbes il nuovo Leviatano: i partiti abdicano ai loro programmi anche se universalmente conclamati, rinunciano alle loro stesse specificità, alle loro ideologie o di ciò che ne rimane sapendo bene che con una certa base da soddisfare e certi nemici da combattere non potranno mai (letteralmente "mai"!) combinare niente di importante, di incisivo, di "rivoluzionario" (in una certa accezione del termine) proprio nel momento che occorrerebbe; e conferiscono a Lui, evocato dal nulla politico ma proprio per questo "puro" e impassibile di fronte a qualsivoglia opposizione popolare, tutti quei poteri che loro, pur legittimati ad usare non hanno saputo (o meglio: potuto) usare.
A loro (i partiti autoesautorati dal potere) non resta che sperare che la crisi (che ha generato questo "mostro" giuridico e democratico) si risolva nel migliore dei modi e comunque in un tempo abbastanza breve perché i cittadini si ricordino alla fine ancora di loro; nel frattempo, voltando la faccia dall'altra parte, facendo finta di protestare (ma blandamente, senza crederci né pensare che gli altri ci credano) ma appoggiando Colui che, venuto da un altro mondo, dal mare, dal nulla, da un'isola lontana e misteriosa (nel nostro caso una Università), da un passato banalmente normale che lo rende però "inattaccabile" e indifferente ad ogni tipo di protesta, cedono mugugnando ma con sollievo quella che poteva essere (che "doveva" essere) la loro prima responsabilità e la loro unica ragione di esistere al nuovo Leviatano riducendosi, di tanto in tanto, a far balenare segni di falsa insofferenza.
Essi sanno benissimo che non sarebbero mai stati in grado di far passare una sola di quelle misure che il Leviatano propone in serie, facendosele approvare - da loro! che non riuscivano nemmeno a idearle!; a proporle!; che le avversavano! - con maggioranze bulgare, giorno dopo giorno, ora dopo ora.
Il Leviatano non deve temere di scontentare una base elettorale perché non ne ha; non può essere accusato di essere incoerente con una sua ideologia, o una sua formazione politica, o una sua storia personale perché non ne possiede alcuna. Il Leviatano, come la figura filosofica di Hobbes, è stato chiamato per "fare delle cose" che gli altri non erano in grado di fare; per questo ha ricevuto da coloro che lo hanno evocato dei poteri che eserciterà a sua discrezione non dovendo rendere conto né ai cittadini (che non lo conoscono), né agli elettori (che non lo hanno eletto), né ai partiti (ai quali è estraneo). La sua forza deriva dall'essere stato chiamato e non essersi proposto, dal non dover sottostare a nessun ricatto elettorale e dal fatto inaudito finora che, riesca o non riesca nel mandato che gli è stato affidato, nessuno gli potrà imputare niente. E' una posizione incredibilmente forte che lo mette nella posizione di "non poter" sbagliare: se fallirà potrà sempre dire di averci provato e tornare nell'ombra dalla quale è venuto ributtando la patata bollente nel campo dei partiti, se invece riuscirà......
Ecco il nòcciolo della questione: se riuscirà. Se il nuovo Leviatano, senza base elettorale se non quella prestatagli dagli impotenti partiti, senza una ideologìa che non sia la sua capacità di conoscere e di aderire a certe regole finanziarie e statistiche, senza alcuna visibilità o esposizione mediatica che non sia quella strettamente inerente ai suoi compiti riuscirà, al di là di ogni previsione, a sconfiggere la crisi e a tirar fuori il Paese dal pantano che rischiava di inghiottirlo, perché mai dovremmo poi tornare al vecchio sistema, quello dei partiti, quello cosiddetto democratico, quello, per intendersi che, oltre ad esser direttamente responsabile di quella crisi non sarebbe mai e poi mai riuscito a farcela superare?
Con quale logica, anzi, con quale diritto i partiti verrebbero a chiedere il nostro voto? E quali programmi ci proporranno sapendo (come noi sappiamo) che non sono e non saranno mai in grado di attuarne uno? E come potremmo dare la nostra fiducia a chi, non riuscendo ad esercitare il potere che gli avevamo conferito, si è ridotto ad approvare le delibere, le leggi e gli atti di chi non sottostà ad alcun controllo popolare?
Il nuovo Leviatano è una esperienza nuova di una forma molto antica di potere che poteva fare a meno del consenso e della legittimazione elettorale. Si trattava di una forma di potere che, a volte,  poteva essere molto efficace ma era sempre molto, molto pericolosa. Quella la chiamavano Dittatura; questa del nuovo Leviatano se non è uguale, le assomiglia parecchio. E non mi piace.

Dopopranzo

lunedì 23 gennaio 2012

Quando, passate due ore buone, mangiato il pranzo, gustato il dessert, bevuto il caffé e rifattisi la bocca col limoncello, i tre si resero conto che non c'era nient'altro di commestibile da aspettarsi, fu proprio Gargamella a rompere il silenzio che era piombato nella stanza e a lanciare la proposta a Casini e Alfano che, senza saper bene cosa stessero ad aspettare, pure pareva non avessero alcuna voglia di andarsene senza aver prima tirato fuori il rospo che, da alcune settimane, pesava sui loro stomaci come un macigno.
L'idea di quel pranzo era nata così, dopo che erano passati mesi (mesi!) senza che i tre avessero trovato niente da fare, da dire, da dichiarare, da presenziare se non altro per far vedere che erano vivi, che esistevano ancora oltre a al di là delle poche sedute in Parlamento dove erano chiamati a ratificare di mala voglia le decisioni del Governo.
Si erano trovati quindi intorno ad un tavolo, non tanto per mangiare insieme, quanto per poter scrutare, l'uno negli occhi degli altri due, se il suo stato d'animo era simile al loro, un misto di depressione, di angoscia e di paura; la muta risposta era disperatamente affermativa: sì, avevano paura; sì, erano depressi; sì, erano quasi alla disperazione.
"Se quel raccomandato del Prof riesce a portar l'Italia fuori dalla crisi...." fece Gargamella entrando a gamba tesa nell'argomento che più gli stava a cuore, e si fermò.
"A me sta bene" disse subito Casini; "L'Italia prima di tutto".
"Ma non capisci?" sbottò Alfano "Se questo, in quattro e quattr'otto, con due o tre provvedimenti risolve la situazione ci rovina. Ci rovina tutti, hai capito? Anche te, che fai finta di appoggiarlo" disse, duro, rivolto a Casini che si limitò a fare spallucce senza replicare.
"Insomma, colleghi, la situazione è chiara. Da quando Napoleò-Tano e Merkozy hanno messo il Bocconiano alla guida del Governo, quello fa e disfa in un baleno certe prerogative esistenti che sembravano tabù, e tutto senza che noi possiamo dire o fare niente. A noi è toccato approvare l'ICI sulla prima casa e a Gargam... (si corresse rapidamente), e a Bersani, la riforma selvaggia delle pensioni. Insomma, la gente che ci ha votato comincia a chiedersi che cosa ci stiamo a fare. Ora poi è venuta fuori la faccenda dei nostri emolumenti! Ragazzi, io non so voi, ma a me l'andazzo non piace. Sento odore di forconi. Come possiamo giustificare, non dico i nostri stipendi, ma la nostra stessa presenza? Ditemi voi: gli italiani si accorgerebbero di noi se non ci fossimo, salvo il fatto che si risparmierebbero un bel pò di soldi?", e scoppiò in un pianto dirotto.
Dopo qualche secondo di silenzio Bersani si schiarì la voce e parlò: "A noi hanno sempre detto che l'importanza di una persona, di una professione e di una categoria si vede quando questa non opera più. Questo accade quando una personalità importante e influente muore, o quando una categoria di lavoratori dichiara, e riesce ad attuare, uno sciopero ad oltranza. Avete visto quello che succede se, ad esempio, si fermano gli autotrasportatori: in meno di una settimana si blocca la nazione intera. E pensate che cosa succederebbe nel nostro Paese se si fermassero le Poste, o le Ferrovie. O se si bloccassero le Autostrade, o smettessero di lavorare tutti gli addetti alle telecomunicazioni o l'intera categoria dei medici di famiglia o tutte le forze dell'ordine o tutti i lavoratori che provvedono a raccogliere e a smaltire i rifiuti. In ogni caso, in un tempo più o meno breve, l'Italia intera andrebbe a rotoli il che dimostra come, ad esempio, le categorie dei lavoratori dei Trasporti, delle Ferrovie, delle Autostrade, delle Poste siano importanti al punto che ogni cittadino avverte come vitali la loro esistenza e la loro attività. Semplicemente non si può fare a meno di loro. D'altra parte è evidente che uno sciopero dei pensionati non produrrebbe danni avvertibili segno che l'Italia, per andare avanti e progredire potrebbe (e lo farebbe volentieri) fare a meno di loro. Ecco perché i pensionati non hanno voce in capitolo, perché prendono poco e perché, ogni tanto, qualcuno che comanda taglia loro un pezzetto di pensione. Eccoci ora al punto; guardiamoci negli occhi e riflettiamo: se noi tutti deputati, senatori, sottosegretari, portaborse, dirigenti di partito e via dicendo, se noi tutti insomma facessimo uno sciopero nazionale, globale, duro e ad oltranza; se per qualsivoglia ragione decidessimo di non.... di non... (gli era venuto in mente "lavorare", ma la parola gli parve inappropriata) di non.. occuparci del bene degli italiani e di non farci vedere più in giro, voglio dire in TV, nei talk show o nei dibattiti... allora, in questo caso estremo, come se la passerebbero gli italiani? Quanto potrebbe durare l'Italia?".
Gargamella si chetò, affranto meno dalla sua lunga sparata che da un pensiero che, mentre parlava, gli era affiorato nella mente. Guardando i suoi compagni negli occhi si accorse che anche loro avevano avuto la stessa idea.
"Amici" fece Casini con un lungo sospiro: "Diciamoci la verità: nessuno ci farebbe caso, anzi, l'Italia andrebbe avanti lo stesso e meglio di adesso. La stragrande maggioranza delle persone dopo una settimana ci avrebbe già dimenticato e persino i telegiornali televisivi, senza tutti i nostri interventi e le nostre interviste che occupano una bella fetta del loro spazio, sembrerebbero sopportabili. Insomma: se ci tolgono le nostre risse, le nostre rivalità, le accuse e contraccuse, le diffamazioni e le difese ad oltranza noi non solo non varremmo niente, ma non conteremmo niente e non potremmo nemmeno giustificare, non dico un terzo, ma nemmeno un decimo degli emolumenti che prendiamo mensilmente".
"E' quello che sta succedendo ora", fece Alfano con un lungo singhiozzo. "Se il governo può fare quello che vuole con il solo aiuto del Capo dello Stato e con l'appoggio delle piazze finanziarie e se noi non possiamo nemmeno abbozzare la più timida opposizione alle sue misure, noi moriamo, non esistiamo, non serviamo. E la gente comincerà a chiedersi per quale motivo deve continuare a mantenere profumatamente una categoria di persone (la nostra) che, semplicemente, non solo non lavora, ma letteralmente "non fa niente" al punto che se non ci fosse le cose andrebbero avanti lo stesso, più spedite e meglio."
"Vi dò una brutta notizia: la gente se lo chiede già" disse Bersani infilandosi il cappotto; "Arrivederci ragazzi" salutò uscendo dalla stanza.
"Finché dura." fece Casini stringendo la mano ad Alfano; "A proposito, tu che hai occasione di sentirlo spesso: cosa ne pensa il Cavaliere di questa situazione?"
Alfano scosse la testa: "Cosa vuoi che ne pensi? Quando ho cercato di conoscere la sua opinione sulla situazione critica in cui è ridotta l'intera classe politica italiana, ieri sera, a casa sua, si è fatto una risata che l'hanno sentito dalla strada. Poi, senza rispondermi è andato in salotto a giocare a moscacieca con alcune nuove stagiste di Mediaset. Ma, pur dandosi da fare per cercar di abbrancare quelle che gli passavano a tiro, non ha mai smesso di ridere a crepapelle. Chissà che avrà voluto dire?".
Casini aveva già aperto la porta per andarsene: "E lo so io che voleva dire, e lo so io. A domani, finché dura".

La contestazione virtuale (racconto medio-lungo)

lunedì 2 gennaio 2012

Giorgino era dai tempi delle medie, e poi del Liceo, che era considerato un tipo particolare. Era secchione e a modo suo intelligente ("furbo", diceva di lui il professore di matematica) ma il suo carattere poco socievole ed il suo comportamento sempre serio così incline com'era a starsene da solo sia quando doveva studiare, sia nel tempo libero, che occupava a leggere certi ponderosi libroni di politica e di economia che avrebbero accoppato di noia non dico i suoi amici studenti ma anche la maggior parte di quei professori che avevano la ventura di essere i suoi insegnanti, lo rendevano antipatico a compagni e docenti. 
"Io non lo reggo quel ragazzo" confidava il prof di Economia Politica a quello di Storia; "L'altro giorno, dopo che gli avevo chiesto di farmi una ricerca sulla situazione economica del Meridione mi ha presentato un fascicolo di centoventotto pagine dal titolo "Anàmnesi del sottoproletariato dell'AgroPontino e sue ripercussioni sul prezzo delle cicèrchie". Quando gli ho detto che il suo elaborato era fuori tema, quello mi ha guardato con certi occhi rancorosi che mi hanno fatto rabbrividire. Ma che elemento è?
"Ah senti, non lo chiedere a me. Ieri l'ho interrogato sulla storia d'Italia e quello ha cominciato a tirar fuori una geremiade di luoghi comuni tipo "la irrinunciabile volontà unificatrice che trova ragione e fondamento nei caratteri identitari della nostra stirpe", "i destini comuni e non alienabili da istanze autoritarie o nondimeno precludenti la libera e insopprimibile autodeterminazione libertaria e.... e.... e poi se Dio vuole non me lo ricordo più. E' un demonio quel giovane! Farebbe venire le pòndole anche ai frati francescani.. farebbe andar via il latte alle mucche alpine! Però" concluse il professore con un segno di speranza, "Potrebbe essere utilizzato per contraddire i bachi ai lattanti!"
I due docenti scoppiarono in una sonora risata senza sospettare che Giorgino, di nascosto, aveva assistito alla scena.
Giorgino era un tipo strano. Alto, serioso, impeccabile e sempre dal portamento altezzosamente severo si sarebbe potuto pensare che non fosse un tipo da prendersela per così poco; ma non era così. Giorgino, benché non lo dasse a vedere e nemmeno ad intuire era un tipo estremamente permaloso e vendicativo anche se la sua nobiltà d'animo gli avrebbe comunque impedito gesti o comportamenti violenti o di pubblica ritorsione verso quelle che considerava evidenti ingiustizie. Lo prendevano per i fondelli? Bene, pensò il nostro eroe, io li ridicolizzerò senza darlo a vedere, mi farò beffe di loro senza che nessuno se ne accorga. La mia vendetta sarà conosciuta solo da me, ma non per questo sarà meno spietata! (pensava). Il suo piano, studiato nei minimi particolari e provato e riprovato, prima allo specchio, poi su persone del popolo (il postino, il fruttivendolo, il guidatore del tram ecc. ecc.) che mai si sarebbero aspettate di esser prese di mira (sia pure per prova) da quello studente così brillante negli studi, era il seguente. 
Giorgino aspettava che il suo interlocutore (quello che voleva mettere alla berlina, quello al quale voleva dimostrare il suo disprezzo) gli volgesse le spalle, per un qualsiasi motivo, fosse pure per un secondo. Ecco allora l'occasione che aspettava. Bastava un attimo, un tempo infinitesimale e Giorgino, zac! in un millesimo di secondo si trasformava: arricciava il naso, strabuzzava gli occhi, sollevava oscenamente il labbro superiore, tirava fuori due palmi di lingua e faceva le corna con le dita delle due mani! Tutto contemporaneamente! Nello stesso nanosecondo! A velocità supersonica! Per un attimo Giorgino si trasformava in un essere grottesco, un Gargoyle umano, una faccia che faceva ribrezzo e insieme si faceva beffe di colui che, ignaro, gli volgeva le spalle! Poi, un secondo dopo, non appena la sua "vittima" accennava a voltarsi di nuovo verso di lui, Giorgino si ricomponeva istantaneamente nell'aspetto e nell'atteggiamento in maniera così immediata che un estraneo che avesse potuto vederlo mentre il suo viso si era trasformato in quel modo così esageratamente sguaiato avrebbe pensato di aver avuto una allucinazione; quanto alla vittima di quell'orgoglioso gesto rivoluzionario, mai essa si sarebbe resa conto di esser stata, sia pure per poco, messa alla berlina (solo visiva, solo virtuale, d'accordo) dal suo interlocutore.
Così Giorgino aveva trovato il modo di sentirsi superiore a quelli che lo criticavano. Era poco, ma lo soddisfaceva intimamente e tanto gli bastava per sentirsi vincitore di ogni sfida. Da quel momento i professori e tutti coloro che avevano a fare con lui dovettero, inconsapevolmente sottostare a quel rito di estrema contestazione tra il tribale e l'esoterico.
"Senta Giorgino" faceva il professore di italiano "nel suo tema ci sono un sacco di aggettivi e di proposizioni ma di contenuti non c'è nemmeno l'ombra. Cerchi di migliorare" e gli faceva cenno di sedersi. Poi si voltava per andare verso la lavagna e Giorgino, zac! Occhi, naso, labbro, bocca, lingua, corna! e si trasformava per un secondo nel ributtante vendicatore dei noiosi, in un deforme e grottesco Mostro di Bomarzo, in uno che si fa beffe delle critiche e manda a quel paese i potenti con una semplice trasformazione del proprio aspetto, come Jekyll e Mr. Hide, anzi, come Don Diego de la Vega e Zorro.
Gli anni passarono e nessun professore si accorse mai di esser stato vittima ridicola di quella non violenta disapprovazione.
Passarono gli anni.
Giorgino si laureò, poi, facendo valere la propria solida preparazione, entrò in politica e da lì saltò le tappe, percorrendo ad uno ad uno tutti i gradini istituzionali fino ad esser eletto (sorpresa delle sorprese!) nientepopodimenoché: Presidente.
Inaudito perfino a pensarsi, almeno fino a qualche anno prima, ma ora, anche se tardi, quella prestigiosa posizione era sua, sua, sua, e Giorgino era ben deciso a tenersela stretta, con tutte le sue forze, finché ce la faceva. C'è da dire che, in quella prestigiosa veste istituzionale, tutte quelle lungaggini dialettiche, quelle circonvoluzioni pleonastiche, quel suo parlare fatto di luoghi comuni e verità scontate, quel dire a Caio perché Tizio intenda, quel suo alludere senza aver l'aria di essersi indirizzato a qualcuno in particolare... ebbene quelli che i suoi professori consideravano difetti, nella sua nuova posizione, potevano passare per qualità. Lui ne era sicuro. "Ero nato per fare il Presidente" diceva in privato ai pochi amici che lo stimavano per ciò che veramente era (e non per quello che rappresentava).
Ma anche in quella veste così importante, Giorgino non abbandonò il suo vecchio modo, segreto a tutti, di farsi beffe di chi disprezzava o di chi, in qualche modo, lo contrastava.
Veniva a trovarlo il sultano di Brunei che gli annunciava che il suo governo aveva deciso di sospendere le esportazioni di petrolio? Giorgino protestava formalmente, sempre con grande classe e distinzione come suo sòlito, ma non appena quello lo salutava e si girava per andarsene ecco la vendetta! Non si era allontanato di tre passi che già il Presidente dietro di lui gli faceva le corna e le linguacce pronto a ricomporsi e a riacquistare il severo atteggiamento istituzionale non appena quello avesse dato cenno di volersi voltare. C'era un incontro di lavoro al Palazzo delle Nazioni Unite con altri Potenti della Terra per parlare di disarmo nucleare? Quando toccava a Giorgino di prendere la parola, c'era sempre qualcuno nella sala (insomma: quasi tutti) che cominciava a dar segni di sconforto nel doversi sorbire uno di quegli insopportabili logorrroici sermoni nulladicenti per cui il nostro eroe era tristemente famoso nei salotti diplomatici di mezzo mondo. Prima che Giorgino avesse finito la sua perorazione c'erano sempre (oltre a coloro che venivano repentinamente colpiti da una speciale sindrome catalettica che li costringeva a terrificanti quanto inutili sforzi per non crollare repentinamente addormentati sugli scranni dell'ONU)  tre o quattro tra emiri e sultani (poco assuefatti questi ultimi alla dialettica giorginesca) che davano segni di svenimento parossistico che li riduceva in stato pre-agonico, mentre altri diplomatici del Medio Oriente, precipitatisi fuori dalla sala annunciando di doversi recare senza alcun indugio alla toilette, si lanciavano, nei corridoi della celebre Istituzione, in vorticose danze dervisce di espiazione. La maggior parte degli altri delegati che per qualche ignota ragione decidevano di restare ai loro posti, più discretamente commutavano su OFF il pulsante della traduzione automatica e così, dipintisi un sorriso beota sul viso, cercavano di dar intendere all'oratore che lo stavano ascoltando mentre invece si attardavano a pensare, beati, al ricco buffet con ballo a seguire che li avrebbe attesi di lì a poco nel foyer dell'albergo dove erano alloggiati e questa volta senza nessuno che gli rompesse i cabbasisi con discorsesse incomprensibili ed inconcludenti. 
E Giorgino? Niente; continuava imperterrito la sua relazione dando l'aria di non avvedersi di queste manovre fino al termine della lettura delle sue terribili quattordici pagine di perorazione quando, salutando finalmente l'uditorio (che, come risanato da una miracolosa benedizione, tornava velocemente alla realtà) si avviava verso l'uscita dalla sala salutato dagli applausi registrati che, come da prassi, salutano in cotal modo gli oratori del prestigioso consesso.
Ma, poco prima di uscire dalla porta che introduce alla Sala dei Congressi, certo che nessuno ormai lo guardasse, si volgeva di scatto, realizzava in un lampo che tutti erano ormai in altre faccende affaccendati e oplà! si esibiva nella sua terribile performance: labbro in alto, occhi sbarrati, bocca spalancata, lingua in fuori e corna, corna e linguacce per tutti! Non lo avrebbero mai saputo ma Giorgino li disprezzava! E questo gli dava un senso di onnipotenza mentre, velocissimamente ricompostosi, tornava, a passo lento e grave verso la sua auto blu che lo aspettava.
Quando venne il giorno di fare il famoso discorso ufficiale alla nazione, fu deciso che il Presidente, questa volta, avrebbe parlato direttamente ai romani (e per estensione a tutti gli italiani) lasciando perdere le formali apparizioni in TV o i soliti messaggi registrati.
L'occasione fu quella della Festa delle Forze Armate. Su una pedana imbandierata per l'occasione e piena di ministri, deputati, senatori, e tutte le Alte Cariche dello Stato, religiose e civili, fu approntato un piccolo palco sporgente verso la strada dove il Presidente, al termine della grande sfilata, avrebbe parlato alla Nazione. Dall'altra parte del grande viale si era radunata una folla enorme composta da romani e da persone accorse da ogni parte del Paese; erano decine di migliaia gli uomini, le donne ed i bambini eccitati ed entusiasti di poter vedere e salutare la Grande Parata Militare. Sul palco, in posizione preminente in modo da poter dominare la situazione, osservato da decine di telecamere e da una piccola folla di giornalisti accorsi da ogni parte del mondo, Giorgino non cessava di salutare, alzando appena la mano destra, i reparti militari di ogni specie che gli sfilavano davanti; nel suo lungo cappotto grigio, con il suo cappello nero a larghe tese ed il viso sul quale non aleggiava nemmeno l'ombra di un sorriso, la figura del Presidente non sembrava nemmeno umana così distante da tutto quello che gli avveniva intorno; i soldati sfilavano con andatura marziale in allineamento perfetto, e quando si trovavano all'altezza del Presidente, si giravano di scatto, guardandolo fisso negli occhi in segno di saluto.
La parata fu magnifica, e quando l'ultimo reparto fu sfilato davanti al palco presidenziale, Giorgino si alzò e, ottenuto immediato silenzio con un semplice gesto della mano, cominciò a parlare.
Inutile riportare per intero (e chi ce la farebbe?) il suo discorso; un discorso lungo e contorto dove si coglievano ogni tanto frasi come; "i non esiziali ma purtuttavia non eludibili doveri di una non subìta accoglienza...."; "le provvisorie fortune non dovrebbero impedirci di distogliere il nostro sguardo dai sempre presenti collegamenti con i nostri partner...."; "è nella mai obliata determinazione a percorrere quelle strade che più opportunamente sarebbero, secondo alcuni, da riportare alla primitiva interpretazione..."; "dobbiamo non eludere ma semmai coltivare e proteggere quelle istanze che da tempo, i Padri della Patria, con lungimirante avvedutezza..." e roba del genere.
Al termine del discorso (un'ora dopo) ecco un secondo di silenzio; poi, ad un segno concordato, scoppia l'applauso della folla mentre i reparti schierati sull'attenti, al comando dei loro ufficiali con la sciabola sguainata, salutano militarmente e nell'aria risuonano le note dell'Inno Nazionale. Giorgino si gira verso la pedana per ricevere l'omaggio dei deputati, dei ministri e delle Alte Cariche dello Stato, ma... improvvisamente ha un ripensamento. "Non ho salutato la gente", pensa, e così si volta di nuovo, repentinamente, verso la folla e....e....
E vede che tutti i militari di tutti i reparti, e i loro ufficiali, e i generali, e le crocerossine, e i guidatori dei mezzi corazzati, e i marinai, e i corazzieri, e i ROS dei reparti speciali, e i finanzieri, e gli alpini sciatori e persino i loro cani San Bernardo... tutti sono con la bocca spalancata e la lingua di fuori e gli fanno le corna con le dita delle mani... E allora, come in un incubo, volge lo sguardo al di là del viale, sulla folla, e tutti, uomini, donne e bambini lo guardano con gli occhi sbarrati, la bocca spalancata, la lingua di fuori... E gli fanno le corna.
Un velo nero oscura lo sguardo di Giorgino che si sente mancare e cerca di distogliere subito gli occhi da quell'orrenda visione girandosi di nuovo verso la pedana delle Alte Cariche, come per chiedere aiuto a chi gli è stato sempre più vicino e...
e si accorge che anche loro, deputati e senatori di ogni partito, e i ministri, e i sindaci, e i prefetti, e persino i cardinali, presi alla sprovvista da quel rapido voltafaccia, hanno il labbro rialzato, gli occhi sbarrati, la bocca spalancata, la lingua di fuori.
E tutti, ma proprio tutti, gli fanno le corna.