Missione del blog

Il Biri, il socio più anziano titolare della celebre Agenzia (*), ha l'abitudine, da anni, di annotare i suoi pensieri, le sue osservazioni e gli avvenimenti che gli accadono (anche i meno memorabili) in un taccuino che non mostra a nessuno e del quale è gelosissimo.
Ora, avuto il permesso di visionarlo, l'ho trovato per certi versi interessante (come tutto quello che concerne il Biri) e gli ho chiesto perché non lo pubblicasse in un blog. Impresa disperata: il Biri non sa usare nemmeno il telecomando del televisore, figuriamoci il computer! Impietosito ho deciso di aiutarlo e pertanto ecco qui il blog con le pagine del taccuino del Biri che potrete leggere e commentare ricordando sempre che il sottoscritto non si prende alcuna responsabilità del contenuto essendo il suo contributo solamente quello di una collaborazione tecnica e poco più.


Per saperne di più, leggere il post dal titolo: Ouverture.
R.M.

(*) L'Agenzia di Ascolto e Collaborazione Morale della quale parlerò appronditamente in un prossimo futuro su queste pagine.

Roberto Mulinacci

La scienza da Cesira

martedì 27 settembre 2011


"Insomma" disse il Biri quando, pressoché finita la cena, ci si apprestava a riempire l'ultimo spazio lasciato nello stomaco con i soliti cantuccini al vinsanto "Insomma pensatela come volete ma questa scoperta della velocità del neutrino, se non è la solita boiata, pare che sia roba da cambiare il mondo: che dico il mondo? L'Universo, la Storia, il Futuro, la Vita stessa". Silenzio. Gli amici che con lui dividevano la tavola dell'Osteria "da Cesira e Zaraballe" sembravano tutti intenti a inzuppare nel vinsanto più cantuccini che potevano e alle sue parole (per la verità abbastanza criptiche) nessuno, lì per lì, dette seguito.
Ma, essendo il Biri un tipo difficile da smontare, ciò non bastò a spostare la conversazione su un argomento diverso, più solido e verificabile, del tipo se erano più sode le pocce della figliola più giovane della Cesira o quelle della nuova spazzina (pardon: operatrice ecologica) che, a detta di chi pretendeva di averle testate, tendevano alla consistenza di un popone marmorizzato; pertanto, interpretando estensivamente il silenzio dei compagni di bisboccia come un invito a spiegarsi meglio, il nostro proseguì:
"Come si sa niente può superare la velocità della luce, una velocità quasi inimmaginabile, una velocità fantastica che permetterebbe di andare da Milano a New York in qualche centesimo di secondo, una velocità sulla quale ci si è basati addirittura per definire le distanze cosmiche fra i corpi celesti, come le galassie, le stelle e i pianeti che si misurano in giorni, mesi e anni-luce". "E allora?" chiese incautamente, tra un boccone e l'altro, Alberto del Pacciani (soprannominato "Lo stròlogo" da quando, dicendo: "Presagisco una grossa vincita", scommise 10.000 euro presi a prestito sulla vittoria del Pescara a Milano contro il Milan; risultato finale 5 a 0 per i lombardi).
"Beh, tutto falso. Contrordine ragazzi. La luce, se si mette a far gara col neutrino, arriva seconda. Battuta irrimediabilmente; distrutta; umiliata; polverizzata" rispose il Biri esagerando alquanto.
Poldo Zani ("Tanfino" per gli amici, per una ragione che non starò qui a spiegare), ingoiò alla svelta il decimo cantuccino onde liberare la mano destra che poi agitò due o tre volte davanti al proprio mento tenendo le cinque dita riunite a pizzicotto come a dire, fissando il Biri: "E a noi?....".
"Amici, ma non capite?" fece allora il Biri dando inizio alla sua perorazione "Se la luce non è la cosa più veloce che esiste, allora tutte le leggi fisiche, astronomiche e galattiche vanno a rotoli. Niente è più vero: la teoria del big bang, l'espansione dell'Universo, la distanza delle stelle, la legge di casualità e nemmeno il fatto che oggi sia oggi e non ieri, o domani. Il mondo che ci siamo costruito, ci crolla addosso; il futuro può essere già passato e il presente non esiste: vi rendete conto? Eppure ci dicono che sia proprio così. Hanno fatto la prova. Hanno spedito un neutrino dal Gran Sasso a Ginevra e lì è arrivato ben 60 nanosecondi prima di quanto ci avrebbe messo la luce! Ma ci pensate? E' una rivoluzione! Il mondo accademico e scientifico è in sobbuglio e la Hack ha già affermato che il vecchio Alberto (Einstein, n.d.e.) non era altro che un millantatore megalomane un pò toccato. Il nostro mondo è andato in pezzi da un momento all'altro. E senza preavviso. Se penso che ora dovranno ricalcolare le distanze di tutte le stelle, l'età dell'universo e la dimensione dell'infinito mi sento mancare" chiuse il Biri melodrammaticamente prima di chetarsi e vedere l'effetto che le sue parole avevano avuto sulla compagnia.
Tanfino riempì un gotto di vinsanto e glielo passò.
"Ma... come hanno fatto a misurare la velocità di codesto come-si-chiama? E come hanno fatto a dargli il via?  E, sono proprio sicuri che è arrivato primo? Chi c'era a controllare all'arrivo? Hanno fatto il fotofinish?" Povero Tanfino, pensò il Biri senza degnarsi di rispondergli, è brutta essere ignoranti. Poi però, dopo il terzo vinsanto, ripensò alle domande dell'amico. Gli altri lo videro scuotere la testa e sorridere tra sé e sé, come gli passasse per la testa una cosa buffa, o ridicola. Pensava il Biri. Pensava. ("Siamo sicuri che hanno misurato bene? Siamo sicuri che hanno fatto le cose come si deve?"). Pensava a tutti quei fisici nel Gran Sasso che, curvi sui loro monitor, dopo aver esaminato innumerevoli diagrammi, girato fior di manopole e confrontato migliaia di grafici, si erano riuniti per decidere se annunciare o no la Grande Scoperta. "Ma il mondo, sarà preparato a questa notizia? Non si potrebbe generare il panico nelle borse finanziarie, e proprio in un momento come questo?" dicevano, preoccupati i più pavidi; "Ma cosa dite?" rispondevano i più battaglieri "Sappiate colleghi che le scoperte della scienza devono sempre essere divulgate. Sempre. Succeda quel che succeda!", e fremevano per comunicare la storica notizia alla stampa. 
Il Biri scosse la testa come per allontanare quei pensieri e si guardò intorno. Ora, nella saletta dell'Osteria dove Cesira aveva allestito il tavolo per la piccola congrega di amici, si stava proprio d'incanto. La cena era stata ottima e abbondante e nessuno aveva più voglia di parlare, desideroso solo di gustarsi in tutta tranquillità quei momenti indicibili in cui ci si sente in pace col mondo, con gli altri e con noi stessi.
Sollecitata dall'ostessa, la figliola di Cesira venne a portare in tavola un'altra bottiglia di vinsanto, accolte da caldi e incondizionati apprezzamenti (lei e la bottiglia).
Il Biri, fino ad allora perso nei suoi pensieri, tornò velocemente alla realtà. Prese la bottiglia, versò il vinsanto agli amici, poi ne riempì il suo bicchiere fino all'orlo e fece cenno agli altri per richiedere attenzione. Si alzò, tese davanti a sé la mano con il bicchiere e lanciò il brindisi: "Al grande, vecchio Alberto!".
Senza far domande su chi fosse costui, tutti bevvero, e del neutrino, per quella sera, non si parlò più.

Porci e mattarelli

mercoledì 21 settembre 2011


La ragazza era carina. Mi ha avvicinato; avendo alcuni volantini in mano ha cercato di farmene prendere uno, ovviamente senza riuscirci (quando mi avvicinano degli sconosciuti, fossero pure belle ragazze, la prima cosa che faccio è sprofondare le mani nelle tasche. Non si sa mai. A volte ti mettono in mano una biro e pretendono che tu firmi per questa o quella nobile causa come: la fame nel mondo, la lotta alla droga, le dimissioni di Berlusconi,  o l'apertura di un nuovo Centro Commerciale. Se chiedi delucidazioni sei spacciato: tempo 5 minuti e ti hanno già fatto tirar fuori il portafoglio; se invece rifiuti ti guardano di sbieco e si allontanano lanciandoti mentalmente gravi minacce ed irripetibili insulti).

Però mi dispiaceva tirar dritto (la tipa era proprio discreta) così ho chiesto: "Sentiamo: per cosa è questa volta?" con l'aria di uno che conosce i suoi polli. Quella ha sorriso ("ha abboccato", pensava): "Ma non vedi? (dare del "tu" pare sia d'ordinanza in questi casi) E' per cambiare la legge elettorale. O non li leggi i giornali?". e mi ha indicato un tavolo con uno seduto dietro (prendeva le firme, credo) e un manifesto che strillava: "NO al Porcellum! Vogliamo il Mattarellum! Cambia con noi questa iniqua Legge Elettorale!". Seguiva l'invito a depositare la propria firma per indire l'apposito referendum e una intraducibile tiritera (intitolata: Spiegazione) corredata da una tabellina composta da due grafici e da alcune didascalie piene zeppe di termini come "proporzionale secca"; "maggioritario per tre quarti"; "meccanismo misto"; "ripartizione corretta" che, tempo 15 secondi, mi stavano facendo venire l'orticaria. Ho capito solo che la legge che c'è, si chiama porcellum, e quella che c'era si chiamava mattarellum (e poi ti vengono a dire che si tratta di cose serie).
"Ma insomma, signorina" le ho chiesto (io dò ancora del "lei" alle sconosciute anche se giovani e belle, scusatemi), "voi che cosa volete?".
"Vogliamo tornare al mattarellum!" ha semplificato quella.
"Ma se questo mattarellum era la legge che c'era prima del porcellum, e se mattarellum e porcellum ci hanno ridotti nello stato in cui ci troviamo è da stupidi stare a perdere tempo con tutto questo latinorum, non le pare?" e come quella lì per lì non rispondeva, ho proseguito: "Capirei se chiedeste di modificare drasticamente le elezioni, tipo abolirle tout-court, o in alternativa, che sò, sostituirle con degli incarichi dati a tempo determinato e senza retribuzione alcuna a quelli che superino un esame ad hoc escludendo ovviamente tutti coloro, compresi i loro patenti e affini fino al quarto grado, che hanno già ricoperto o ricoprono cariche elettive in passato e nel presente. Oppure escogitare un tritellum dove le cariche vengono assegnate per sorteggio, o un randellum, dove viene eletto chi, tra due candidati, riesce a spaccare la testa all'altro... Come vede, alternative drastiche al sistema attuale ci sarebbero. Basterebbe studiarci un pò su ma perché scegliere tra due mali? E ancora: non è meglio forse lasciar perdere del tutto? Si elegge un dittatore, gli si danno tutti i poteri, e non ci si pensa più".
La tizia (carina, confermo) ha pensato che a quel punto strapparmi una firma per il mattarellum (o per il porcellum) era come tentare di tirar fuori un sorriso da Bersani: probabilità zero. Mentre si accingeva a passare ad un altro passante, ha fatto: "Oggi te hai voglia di scherzare....".
Le ho sorriso con complicità: "Anche lei, signorina, mi creda; anche lei".


Frègoli

lunedì 19 settembre 2011

La piccola folla composta di giornalisti, reporter, fotografi e semplici curiosi che da giorni si accalcava davanti ai cancelli della villa di Arcore, cominciava a dare segni di cedimento. Insomma: c'era, o non c'era?
Ormai pareva proprio giunta l'ora della resa dei conti, il giorno che tutti i progressisti più garantisti, i democratici più tolleranti, i centri più sociali, gli anarchici più insurrezionalisti, i popoli più viola e i valori più italiani, attendevano da decenni.
"Siamo pronti: i magistrati di Milano hanno rotto gli indugi" aveva detto, fregandosi le mani, la Boccassini: "non resta che consegnare nelle mani del Presidente del Consiglio questo mandato di comparizione, e l'avremo fatta finita per sempre con l'Usurpatore" aveva proseguito Ilda (detta "la Rossa") mandando in visibilio torme di girotondini, ecologisti fotovoltaici, intellettuali di sinistra e Fini.
Così, si erano appostati davanti alla villa del Cav in fiduciosa attesa. C'erano proprio tutti: Ilda, che avrebbe avuto l'onore di consegnare il mandato al Cav spedendolo così al gabbio, una decina di Carabinieri agli ordini di un giovane Capitano, forze dell'ordine in assetto antisommossa e tutta la solita folla di antagonisti, anarco-inserrezionalisti, precari paleolitici, clandestini democratici, disoccupati organizzati, No-TAV, NO-Dal Molin, pensionati ciggiellini e tutta la dirigenza partidemocratica (comprensiva di alleati, simpatizzanti e Fini) al gran completo. Non appena il Cavaliere Nero fosse uscito dal cancello, sia pure per un attimo, ecco che un capitano dei Carabinieri lo avrebbe avvicinato consegnandogli il mandato; da quel momento il Cav avrebbe dovuto seguirlo con le buone o con le cattive in Tribunale da dove (Ilda la Rossa lo aveva garantito personalmente ai dirigenti piddiini), non sarebbe più uscito.
Però anche oggi le ore passavano e del Presidente nessuna traccia.
Un giornalista de "La Repubblica" notoriamente il giornale  più informato sulle abitudini del Presidente del Consiglio non aveva dubbi: "C'è, c'è" assicurava, forte delle soffiate sugli spostamenti del Premier che la Procura, come sempre, gli trasmetteva in anteprima; ma tra gli altri cominciava a farsi strada lo scoramento.
"Non si riesce a vederlo da giorni" ripeteva in preda allo sconforto un fotografo toscano, "e l'è molto ma dimolto strano.." rifletteva come parlando tra sé e sé. Altri si lanciavano in ipotesi azzardate; "E' scappato nel Congo"; "E' col suo amico Gheddafi"; "E' a letto con l'asiatica" assicurava un reporter dell'ANSA che giurava di aver letto la notizia su Facebook, "No. Si è fatto ricoverare in una clinica in Svizzera" diceva un altro anche se l'ipotesi che più si faceva strada tra la piccola folla dei curiosi era che il Nostro, approfittando di un tunnel che si era fatto costruire segretamente sotto la villa fin dai tempi di Prodi, si fosse rifugiato in un bunker antiatomico situato proprio sotto Milano 2 e da lì seguisse in assoluta sicurezza la situazione economica mondiale, i casting delle veline e le partite del Milan, .
"Non mollate! E ricordate che da qui ha da passare!" gridava, rintuzzando ogni inizio di scoramento, la Camussa che stava di vedetta davanti al cancello principale; "Prima o poi dovrà uscire se non vuol morire di fame!" rassicurava Di Pietro anche se D'Alema, vecchio lupo navigato, metteva in guardia: "Occhio! Quello ha più vite di mille gatti! E attenti ai trucchi!".
"In casa è in casa" aveva assicurato Vendola che aveva avuta la preziosa notizia dal cuoco filippino di Arcore, di cui era diventato amico dopo averlo conosciuto per caso andando a fare la spesa all'Esselunga. 
"Occhi aperti! Controllate tutte le uscite! Non fidatevi delle apparenze! Non deve sfuggirci!" erano i consigli concitati che si levavano da alcuni dei black blok più esperti nel ramo della guerriglia urbana.
Ma era ormai la terza notte che quelli aspettavano e il Cav non compariva. Che in qualche modo fosse riuscito a fuggire?
Al mattino seguente finalmente il cancello si aprì. Il cuoco filippino in livrea rosso argentata e con due grosse borse per la spesa comparve sulla soglia e, dopo un attimo di esitazione causata dalla vista di tutta quella gente, si fece largo tra la folla. Vendola riuscì ad avvicinarglisi e a scambiare con lui alcune parole. Si vide l'uomo che ad un certo punto annuì vigorosamente con la testa, poi, proteggendosi il viso con i borsoni, impaurito dai fotografi che cominciavano a bersagliarlo con i loro flash, aumentò il passo e si allontanò velocemente in direzione del supermercato.
"Vai, vai. Fai con comodo" fece Bersani "che tanto quando torni il tuo padrone non lo ritrovi di certo" e fece un sorrisino per fare il simpatico ma lungi dal riuscirci (Bersani simpatico è una contraddizione in termini, diceva sempre D'Alema) fece innervosire la Bindi che lo zittò con un perentorio: "Ma stà un pò zitto te, muso vieto!".
Passarono altre ore. Alla fine D'Alema, convinse la Bindi a cercar di far uscire fuori il Cavaliere con l'inganno.
Ecco il piano dalemiano. Il capitano dei carabinieri avrebbe suonato alla porta e, non appena il Cav avesse chiesto "Chi è?", la Bindi, imitando la voce di una celebre peripatetica romagnola ben nota al Premier, avrebbe risposto "Mo sciòn ben io, tesoro, sciòn la tua Tamara".
A questo punto il Cavaliere avrebbe aperto la porta senza sospettare di niente (secondo D'Alema) e, oplà!, si sarebbe trovato di fronte il capitano dei Carabinieri che gli avrebbe consegnato il foglio col mandato di comparizione. Preso, accompagnato, impacchettato, condannato, imprigionato. Fine del Cavaliere Nero. Fine dell'incubo piddiellino. Fine di tutto. Ora tocca a noi, compagni: si ricomincia! I piddiini non stavano nella pelle.
Eccoci dunque. La Bindi suona alla porta: driiiin!. Silenzio. La Bindi risuona: drrriiiiin!!. Non succede niente.
La Bindi, subodorando un inganno comincia a chiamare a voce altissima: "Tesoooro!! Silviuccio!! Sono la tua Tamaraaa!! Apri che ti porto in Paradisoooo!"; poi, lasciando perdere la parlata bolognese: "Ma insomma apri, sì o no?".
Attimi di suspense. Niente si muove. Poi, la Camussa, sente un rumore: "Eccolo, eccolo. Ora apre" fa, tutta eccitata. La porta si schiude lentamente. Un uomo si avanza sulla soglia. E' di statura medio-bassa, indossa un doppio petto blu. Pare infastidito. 
"Ma si può dormire, insomma?" chiede alzando la mano, stretta a pugno davanti al mento e scuotendola in su e giù due o tre volte come a dire. "Che c...o volete?"; poi apre la mano e la muove allungando il braccio in avanti a voler significare: "Ma ve ne volete annà?".
"E' lui! E'lui!" gridano tutti; "Dagli al Berlusca!"; "In galeraaaa!" bèrciano quelli dei valori. Bersani si frega le mani, D'Alema sorride, poi guarda la Bindi che soddisfatta ammicca a Ilda la Rossa come a dire: "Ci siamo: fai quello che devi fare"; Ilda fa un cenno prestabilito e il Capitano dei carabinieri, il foglio di comparizione in mano, si avvicina all'uomo e gli fa la domanda di rito: "E' lei il signor Silvio Berlusconi nato a Milano, residente ad Arcore, attualmente Presidente del Consiglio?"; e tende il foglio. Tutti aspettano il grande momento; non si sente volare una mosca.
Ma, che succede? L'uomo scoppia a ridere; una risata lunga, gorgheggiante, esagerata che riesce a zittire tutti i presenti. Poi, riacquistata la calma, si volge al Capitano e dice: "Mi dispiace, signor Capitano, ma la persona che cercate non è qui. E comunque non sono io".
Piddiini e affini, stupefatti, si guardano l'un l'altro, muti, attoniti. Ci pensa Ilda la Rossa a prendere in mano la situazione. "Ma lei chi è?" chiede all'uomo. "Permettete che mi presenti. Il mio nome è Juan Rosario Cardoso de Barripalma y Tampiego, per servirla" risponde quello con galanteria ergendosi in tutta la sua (poca) statura; "Sono il giardiniere andaluso del Cavaliere" poi, orgogliosamente: "Ma sono più noto come imitatore, anzi, modestamente, il Re degli imitatori" e pone in mano all'Ilda un biglietto da visita e la propria Carta d'Identità. A Ilda si oscura la vista e la voce vien quasi meno mentre legge a voce alta (in modo che tutti gli altri possano sentire):


"Juan Rosario Cardoso de Barripalma y Tampiego
alias The Man With Thousand Faces.

Vincitore del Grand Prix come il 
Miglior Imitatore-Trasformista del Mondo.

Specialità: Imitazioni di Attori, Capi di Governo,
Presentatori, Artisti, Cantanti ecc. ecc.

Su richiesta si eseguono imitazioni su misura"


"E ora vedete un pò d'andarvene" fa poi quello. E aspetta che sgombrino.
La Boccassini tace, D'Alema, la Bindi, Bersani, la Camussa tacciono. Tacciono tutti. Nell'aria aleggia un grande interrogativo.... poi, il silenzio è rotto dalla voce di Vendola: "Il cuoco filippino!" grida con voce strozzata. "Il cuoco filippino!!" gridano tutti. "Ma quale cuoco filippino" fa Juan Rosario ecc. ecc: "Qui non abbiamo cuochi. I pasti ci arrivano direttamente dal Ritz" e, voltatosi, rientra in casa chiudendosi dietro la porta.
La Bindi afferra Vendola per il collo. "Ma tu non ti sei accorto di niente quando ci hai parlato? Cosa ti ha detto "precisamente" quando gli hai chiesto se il Berlusca era in casa?" incalza come una furia Rosa.
Vendola cerca di ricordarsi: "Mi ha detto: -Cribbio, certo che è in casa! E ora devo andare, mi consenta-"... poi realizza qualcosa e tace.
S'alza un grido da tutti i petti dei presenti, un grido dove la delusione è pari alla disperazione:
"Era lui! Il cuoco filippino era il Cavaliere Nero!". Adesso è chiaro per tutti (anche per Franceschini che fino a quel momento, in disparte, non si era reso conto del perché, del percome nè dove si trovasse). Tutti si allontanano disperdendosi come un esercito in rotta disordinata mentre la Bindi si dà un gran daffare con i giornalisti perché non parlino di quel che è successo. Mentre la Camussa insegue (per menarlo) Vendola che, appena divincolatisi dalla stretta della Bindi, si è dato a fuga disordinata, si ode distintamente la voce stentorea di Bersani che, gli occhi sbarrati, i pugni stretti agitati in alto quasi a sfidare il destino cinico e baro, superando nel timbro e nell'intensità il barrito di cento elefanti grida al cielo tempestoso: "Maledetto Cavaliere Nero! Per questa volta me l'hai fatta ma aspetta a cantar vittoria! Giuro che ti prenderò! Lo giuro."

FINE DELLA ENNESIMA PUNTATA





La resa dei conti

martedì 13 settembre 2011

Grande eccitazione stamani nella Sede del Partito Democratico. Nessuno sta nella pelle, si vede dal frenetico intrecciarsi di telefonate, dai parlottii concitati nei corridoi, dai sorrisini arguti e felici che i dirigenti piddiini si scambiano l'un l'altro nel grande atrio dove confluiscono gli ingressi degli uffici. Nessuno vuol parlare apertamente ma la speranza scintilla negli occhi di tutti dove si leggono solo due cose: "Ci siamo!", "Via l'Usurpatore da Palazzo Chigi!"; se il pensiero prevalente di ogni sincero democratico potesse originare una sola parola d'ordine, una sola certezza, uno solo sarebbe il grido che, soffocato da tanto tempo, salirebbe al cielo all'unisono: "Ora tocca a noi di salvare l'Italia!!". Ma perché, quei fieri paladini della democrazia, ormai convertiti al più schietto patriottismo, si attendono notizie così esaltanti dalla giornata appena iniziata?
Beh, ripercorriamo gli eventi. Dopo le clamorose e preoccupanti notizie delle ultime settimane, riportate dalle prime pagine di tutti i giornali, il rischio di un fallimento finanziario dell'Italia è una realtà, preannunciato dall'aumento dell'inflazione, dalla stagnazione dei consumi, dal mancato sviluppo e dalla speculazione dei brokers che si stanno accanendo sui nostri titoli di Stato. Ancora un colpo ben assestato alla nostra economia, ancora un declassamento del nostro Paese e il Cavaliere Nero non avrebbe potuto far altro che  (finalmente!) lasciare il timone del Governo.
Ma, se le aspettative dei militanti democratici già scommettono sul Grande Abbandono, a quando, a quando, la Madre di tutte le Notizie? Che sia oggi il Giorno del Destino?
Nella Grande Casa del PD tutti attendono l'ora del Telegiornale e quante speranze si ripongano nell'evento è dimostrato dal megaschermo che è stato allestito in fretta e furia nell'enorme stanza adibita a buffet; tutti, dirigenti di partito, portaborse, impiegati e attivisti, vogliono assistere; il duro lavoro che resta da smaltire dovrà aspettare qualche minuto: il momento è storico e, anche se si cerca di non farsi troppe illusioni, l'attesa di una notizia che possa far ben sperare è tangibile. Fermi; silenzio! Ecco; parte il TG: "Notizie finanziarie". L'annunciatrice snocciola a raffica le nuove provenienti dai mercati finanziari...  Cosa, cosa? "Aumento della disoccupazione.....", "Borse nel panico....", "Fuga dei capitali...." Le notizie, con il loro drammatico resoconto di sventure presenti e future, con le loro fosche previsioni destinate inevitabilmente ad abbattersi sul nostro Paese, vengono accolte dapprima con malcelata indifferenza, poi con sempre crescente compiacimento, portatrici come sono della certezza di un cambio nelle leadership del Governo. "Il divario BTP BUND è salito alle stelle..." dice la TV e dal popolo democratico sale un grido: "Evvài!!" "Graaande!"; e poi: "La Cancelliera Merkel annuncia che non aiuterà più l'Italia...." prosegue il telegiornale, e nella sala s'alza un coro: "An-ge-la! An-ge-la!" e anche "Dio benedica la Germania!", fino all'apoteosi quando la speaker annuncia: "C'è il rischio fondato che l'Italia possa andare incontro al fallimento." Ora tutti sono in piedi per una irrefrenabile ma sacrosanta standing ovation. I cappelli volano in aria, le mani aperte schioccano nel "darsi il cinque"; c'è chi si lascia andare ad un accenno di "Bandiera rossa", chi intona "Guantanamera", c'è persino una impiegata che accenna una mossa di lap dance. I funzionari si abbracciano l'un l'altro; "Vittoria!" gridano tutti, "A noi!" fa, un pò sovrappensiero, un altro, subito redarguito dai colleghi; "Era ora" è la dichiarazione non scritta, ma avvertita e fatta propria da tutto il popolo democratico che sintetizza l'importanza di quella giornata campale.
Alla fine del TG tutti, lentamente, consci della solennità dell'ora e congratulandosi l'un l'altro, fanno ritorno ai rispettivi uffici. Rosa la Chianina (così, in omaggio alle sue origini popolari è affettuosamente chiamata la Bindi), Gargamella-Bersani e Capitan Findus (D'Alema, per via dello yacht) si abbracciano affettuosamente l'un l'altro. Poi, la responsabilità democratica riprende il sopravvento. Bisogna pensare al futuro.
"Organizzerò subito un Congresso Straordinario del Partito" fa la Rosy per suscitare l'applauso dei colleghi; che non sgorga, però.
C'è un momento di pausa; ci vorrebbe sì, un'idea, ma dovrebbe essere forte abbastanza per celebrare l'importante avvenimento e dare nello stesso tempo una risposta alla Crisi economica... ma quale?
Come al solito ci pensa la Camussa. Fino a quel momento schiva, quasi in disparte, ora la Rossa sente che il suo momento è arrivato. Avanza lentamente verso i tre, poi si ferma proprio in mezzo alla stanza, le gambe divaricate, i pugni sui fianchi con il grande fazzoletto rosso che svolazzando le incornicia la corta chioma bionda.
"Sciopero Generale!" urla la Camussa. "Contro la Destra, l'Inflazione, il Carovita, la Crisi Economica e per la Pace nel Mondo!! (pausa) E dopo cena... (la bocca, fino a quel momento serrata, s'apre in un sorriso).. Grande Megaconcerto Rock al Circo Massimo!!". E' l'Apoteosi! Ecco la grande idea capace di sconfiggere la Crisi! Immagina (pensano rapiti i presenti)... le Masse... le Bandiere... i Discorsi... la Diretta di Raitré.. e.. i Neri per Caso... Fabi Fibra... Laura Pausini... forse presentati da Saviano!!. Troppo, troooppo Bello!! Ancora una volta le forze della reazione no pasaràn! Tutti si abbracciano l'un l'altro, con le lagrime agli occhi, felici, estasiati. Il grande partito di Lotta e di Governo ha vinto ancora una volta.



Parte lesa

giovedì 8 settembre 2011


Il grande palazzo vibrava di sdegno: la notizia, pubblicata da tutti i quotidiani nazionali in prima pagina e con grande evidenza, era un affronto per tutti, difficile da mandar giù. Era stato l'ortolano, di ritorno dal mercato ortofrutticolo dove ogni giorno si recava di buon'ora a scegliere le uova di giornata e le primizie di stagione, a svegliare l'aiuto cuoco, ancora intontito per il sonno troppo breve (c'era stato, come al solito, un pò di movimento nella casa, la sera precedente), e a sbattergli sotto il naso il titolone del prestigioso giornale facendolo sobbalzare. Lì per lì questi aveva dovuto stropicciarsi gli occhi: la notizia era al limite dell'incredibile. Avevano poi svegliato il cuoco (anche lui dormiva) e lo avevano aggiornato delle novità, poi avevano informato anche il giardiniere, il maggiordomo personale, il segretario particolare e quindi, via via, tutti gli altri: i camerieri, le cameriere, gli sguatteri, gli stallieri, gli chauffeurs, i musicisti dell'orchestrina e le ragazze povere e sfortunate che da mesi, a decine, trovavano accogliente e disinteressato rifugio in quell'oasi di pace. Erano appena le otto e l'antica dimora, che prima silenziosa e quieta era come un inno alla pace agreste, risuonava ora di grida, di sussurri, di improperi e persino (mi si scusi) di bestemmie soffocate, provenienti dalla dependance riservata agli ospiti. Erano appena le otto del mattino e tutti, all'infuori di LUI, erano già stati messi al corrente della cattiva notizia.
Solo la cuoca aveva recuperato subito il suo sangue freddo e con la praticità tipica dei contadini di una volta, fattasi consegnare le uova (di giornata), senza proferir parola ma di gran lena, aveva cominciato a preparare un corroborante zabaglione. "Ha funzionato tante volte" pensava tra sé e sé la buona vecchia "Perché non dovrebbe funzionare ora?" e giù a sbattere.
Dopo dieci minuti bisognò pensare al da farsi. "E ora, chi glielo dice?"; Capezzone, il giornale aperto sulla pagina incriminata, era ancora sconvolto; non se la sentiva di dover esser proprio lui a svegliare il Capo con quella drammatica notizia. "Con tutto quello che gli sta capitando addosso in questi giorni!" spiegò "Proprio questa ci mancava! Ma l'avete visto come è nero?".
Eppure dirglielo, bisognava dirglielo. Riguardò la pagina incriminata, ne rilesse il titolo ancora una volta, a voce alta adesso, quasi a voler esorcizzare la gravità della cosa:
“STUPRO NELLA VILLA?”
"Due ragazze indagate per violenza carnale ai danni del Presidente del Consiglio. Il turpe delitto si sarebbe consumato nella villa di proprietà dello stesso Presidente. Il Premier sarà interrogato al più presto dai giudici come parte lesa"
e sotto, nell'occhiello: "I magistrati non escludono che le due possano esser state aiutate da altre complici.".
"Aspetterò che si svegli da sé" pensò Capezzone, ma subito scartò l'idea: "Con tutto il movimento che c'è stato ieri sera, è manna se s'alza prima di mezzogiorno" pensò. Si guardò intorno: l'avevano lasciato solo. Scosse ancora più volte la testa, alzò gli occhi al cielo, poi, muovendo la bocca senza emettere suono ma come a proferir qualche tremendo scongiuro, il giornale nella mano destra, la tazza con lo zabaglione nella sinistra, s' avviò, come andasse al patibolo, su per l'ampia scalinata di marmo che portava alla camera del Presidente.

Ughino e la scienziata

domenica 4 settembre 2011


Nel paesino di Ganci di Sopra, quella sera di Settembre, alitava un’aria strana, esaltante: l’aria delle grandi occasioni.
Tutto era cominciato da quando, un anno prima, il Presidente della locale Casa del Popolo, aveva proposto ai Soci di cambiarne la denominazione in: “Casa Culturale”.
Dopotutto molti comuni l’avevano già fatto, aveva spiegato il Presidente, aggiungendo che il vecchio nome “Casa del Popolo” non era più in sintonia con il nuovo corso del Partito che voleva puntare più direttamente sul termine “Cultura”, la vera grande specificità e fiore all’occhiello della Sinistra.
E, poiché qualcuno s’era preoccupato (“Ma che c… c’entra ‘sta cultura? Io vengo qui per passare due ore con gli amici mica a prepararmi per gli esami..”), s’era affrettato a specificare che: “Tranquilli amici (il termine “compagni” era ormai stato, dopo alcune forti resistenze, abbandonato), cambierà solo il nome. Nient’altro, ve lo prometto.” E per i primi mesi in effetti le serate nella nuova Casa Culturale, erano proseguita alla solita maniera, come nulla fosse cambiato: le solite partite a tressette, il solito ballo liscio il sabato sera, qualche tombola e, in alcune (sempre più rare) occasioni, il dibattito politico con l’onorevole di turno; dibattito al quale, dopo che la maggior parte dei presenti (pensionati, cassintegrati, extracomunitari e i soliti giovani nullafacenti alla ricerca di qualche occasione per far tardi la notte) si era defilata alla chetichella, restavano a presenziare soltanto, oltre all’oratore, quelli con qualche incarico nella Casa e i due di turno al bancone del bar che, intristiti, disoccupati e annoiati, se ne restavano in piedi per tutto il dibattito con le braccia conserte e in preda ai più cupi pensieri.
Poi, secondo alcuni anche a seguito di qualche intervento dall’alto, ecco che il Presidente, convocati tutti i soci dell’ex-Casa del Popolo, tirò fuori la proposta. In fin dei conti (diceva), era pur sempre una Casa Culturale e, almeno saltuariamente, qualche tipo di attività inerente alla Cultura bisognava pur organizzarlo. Nel silenzio preoccupato dei presenti (“Cultura? Ohi ohi, sta a vedé che mi salta la partita a tressette…”) aveva poi lanciato l’idea; si trattava nientemeno che organizzare un avvenimento scientifico in grado di superare i confini del paese, di essere seguito addirittura da tutta la Cultura del circondario.
Si sarebbe parlato dell’Evento, diceva il Presidente, nel mass media provinciali; ne avrebbe accennato la televisione: vi immaginate il nome di Ganci di Sopra sulle pagine culturali dei giornali più importanti compreso quello, del Partito. Che grande occasione per far vedere a tutti che anche a Ganci di Sopra si sapeva fare cultura!
Ecco in cosa sarebbe consistito l’Evento: la grande scienziata Cesira Gargano-Grok, famosa astrofisica di livello mondiale, di passaggio da quelle parti e contattata in proposito, aveva accettato di partecipare ad una intervista-dibattito che si sarebbe tenuta proprio nella Sala delle Riunioni della Casa Culturale di Ganci di Sopra sul tema, nientepopodimenoché, delle Origini dell’Universo! (“scusate se è poco, eh! Casomai gli s’è dato di scartino!” facevano tra sé e sé il Presidente della Casa Culturale e il Sindaco di Ganci di Sopra, fregandosi le mani).
La popolazione di Ganci di Sopra non stava più nella pelle. Fin dalla prima mattina i muri del paese erano tappezzati da manifesti che strillavano:

Grande Evento Culturale!
Ganciani!
(Il paese di Ganci di Sopra si riteneva l’unico legittimo depositario della denominazione “Ganci”. A questo proposito erano stati frequenti i motivi di attrito, le controversie e perfino tafferugli verso i residenti di Ganci di Sotto colpevoli, quest’ultimi, di esser riusciti a far inserire la denominazione “di Sopra” dietro il solo e unico “Ganci”. Facendosi forti di certe ricerche storiche del parroco locale però, i “soprani” –come li chiamavano sprezzantemente quelli di Ganci di Sotto- ostentavano in ogni occasione, illegittimamente forse, ma spavaldamente, il diritto di chiamarsi semplicemente “ganciani”.)

Questa sera, nella sala delle riunioni della Casa Culturale (ex-Casa del Popolo) la
Dott.sa Cesira Gargano-Grok
celebre scienziata di fama internazionale, parteciperà ad un pubblico dibattito sul tema: “La Scienza e le Origini dell’Universo”.
Introdurrà e intervisterà l’illustre ospite il concittadino  Geom. Alfonso Ughetti (Ughino).
La cittadinanza tutta è invitata. Ingresso libero.
Funzionerà il servizio di buffet.

Il Geometra Marcovaldo Ughetti (per tutti, Ughino), era uno dei pochi soci e frequentatori della Casa Culturale di Ganci di Sopra che, in quanto diplomato (laureati a Ganci, nisba), era stato perentoriamente (e controvoglia) arruolato per la cruciale incombenza di intervistare l’Ospite. Ughino non aveva potuto rifiutare e del resto, aveva pensato che un’occasione di tal fatta avrebbe potuto aprirgli qualche opportunità sia occupazionale che sentimentale. Eh sì, perché il Geometra Ughetti, oltre che cronicamente disoccupato era anche in crisi affettiva, e questo da quando la signorina Fumicella Elvira, sua fidanzata storica da ben 6 anni, lo aveva mollato improvvisamente per trasferirsi nel capoluogo al seguito di tale Goran Bojacic, muratore precario, il quale, rimasto senza lavoro, si diceva la costringesse a far marchette insieme alla sorella (la sua, di Goran), in attesa del promesso, e sempre rimandato, matrimonio. Da quando l’aveva saputo Ughino passava le sue serate fino a tarda notte alla Casa del Popolo (ora Casa Culturale), dove, senza profferir parola, guardava gli altri giocare a tressette.

Eccoci finalmente, alla serata del Grande Evento.
Alle 21 la grande sala della Casa Culturale era piena come un uovo. Oltre alle solite personalità di Ganci di Sopra (Sindaco, giunta comunale al completo, il farmacista, il barbiere e il direttore della banda), oltre a tutta la cittadinanza, c'erano anche molti giunti da fuori per l’occasione. Per la necessaria copertura mediatica si potevano riconoscere, tra gli altri, due giornalisti, un fotografo e un tizio mai visto che però, munito di cinepresa istallata su un treppiede, catturava gli sguardi di tutti i presenti che facevano di tutto per riuscire a entrare nell'inquadratura
Si spengono le luci. Il brusìo si scioglie in un silenzio d’attesa. Si accende un riflettore, tipo occhio di bue, che inquadra la pedana messa su in fretta e furia per l’occasione. Sulla pedana, due sedie; una accanto all’altra un po’ di sbieco (scenografia spartana ma, si sa, la Cultura rifugge dallo spettacolo).
Il riflettore si sposta a destra; un’ombra sale veloce sulla pedana, entra nel raggio di luce: è il Geometra Ughetti. “U-ghi-no! U-ghi-no!” grida scandendo la sala; “Forza Marcovaldo!” incita qualcuno.
Ughino ha in una mano un taccuino, nell’altra un microfono acceso. Si schiarisce la gola, controlla il microfono, poi, rivolto alla sala: “Amici! Cittadini di Ganci! E’ con grandissimo piacere che ho l’onore di presentarvi la scienziata che l’Europa intera ci invidia, la personalità culturale più in vista nel campo dei misteri del cosmo. Amici, ecco a voi la dottoressa… Cesiraaa.. Garganoooo.. Gròk!”.
Applausi da spellarsi le mani, ululati, fischi (all’americana), molti battono i piedi per terra, si odono urla: “Viva la Gròk!”; “Gròkke, sei tutti noi!” tre o quattro giovani intonano (sull’aria di “Marina”) “Cesira Cesira Cesira, ti voglio al più presto sposà!”, un gruppo venuto da fuori cerca di lanciare la Ola: la Casa Culturale è una bolgia.
Entra Cesira. E’ alta, abbastanza grossa, di un’età indefinibile che potrebbe oscillare tra i settanta e i novant’anni. Indossa un camicione color cammello che le copre il corpo dal collo alle caviglie lasciando intravedere due ragguardevoli piedi dentro un paio di sandali marroni. Non ha un monile, un gioiello: semplice al limite dell’asceta, sale sulla pedana una figura spartana, contorta, un viso pieno di rughe circondato da una arruffatissima capigliatura di color grigio topo che non ha visto pettine o parrucchiere da decenni, due occhietti furbi che girano qua e là come a voler raccapezzarsi dove si trova; ricorda una di quelle disgraziate, folli forse, ma innocue, che si incontravano a volte nei corridoi delle cliniche psichiatriche, o anche una delle "sante di Dio", quelle santone mezze streghe, mezze sibille che, nel Medioevo, in tempo di peste, vagavano per le campagne, predicendo la fine del mondo: eccola qua, la Grok.
Ughino la invita a sedere, si siede accanto a lei, attende con pazienza che si faccia silenzio in sala.
Ora può iniziare l’intervista.
Dottoressa Grok..” comincia Ughino, ma subito la Grok lo interrompe: “Icché dottoressa, dottoressa… Io sò solo Cesira; mi pòi chiamà Cesira. E basta.” Il pubblico applaude per tanta manifestazione di modestia. L’intervista può riprendere.
Signora.. Cesira” fa Ughino “Il pubblico vorrebbe sapere una cosa da lei. Come è nato l’Universo?” Giù. Borda. E poi si dice che uno la prende larga.
La Grok ride: “O bella. Come l’è nato, come l’è nato. O un si sa tutti che l’Universo si spande? E dò si spande? Si spande nello spazio. Si spande ogni giorno di più” e per dare un’idea di come si espande l’Universo, la Grok unisce le dita delle due mani davanti a sé e poi, a scatti, le allontana l’una dall’altra, proprio a dare l’idea visiva di questa espansione. Tutti in sala guardano e tacciono, impressionati.
Ora” prosegue la Grok “Se l’Universo si spande, la vol dire che cent’anni fa l’era molto meno grande di ora, e mille anni fa l’era ancora più piccolo, e diecimila anni fa l’era piccolissimo fino ad un certo momento che l’era piccino come un pisello, un baìno, un atomo.” Silenzio. Pubblico impressionato. Tutti pensano “Ragazzi, la Cultura è Cultura”.
La Grog non si ferma più: “E c’è stato un momento che addirittura l’Universo non c’era. Prima di essere piccino come un pisello, l’un c’era propio. Un c’era e basta. E poi a un certo momento l’ha cominciato a spandersi e eccoci qua”. Applausi convinti. E’ tutto chiaro, ora. Ma Ughino vuol far fare bella figura alla sua ospite (anche lui la vuol fare).
Ma se prima non c’era nulla, e dopo c’era qualcosa, ci sarà stato qualcuno che ha dato inizio all’espansione, che ha fatto partire le cose?
Cesira ora sbuffa. Ma questo grullo qui chi ce l’ha mandato? Si rivolge alla sala, gli occhi bene fissi sulla platea, le palme delle mani aperte tese davanti a sé a dimostrare l’ovvietà della risposta:
Se qualcosa la un c’era, la un c’era nemmeno qualcuno! Se la un c’era niente e nessuno, cosa mi domanda come è cominciato? Ma l’è facile no? L’è cominciato tutto per caso!”. O cucca, Ughino. O cuccate tutti, ganciani di sopra e di sotto. Applausi, ovazione.
Ughino sorride a denti stretti ma qualcosa ancora non gli torna. Non vuol fare la figura del petulante o, peggio, dell’ignorante, ma permettetegli di dubitare.
Scusi signora Cesira (la Grok lo guarda male; ma non glielo ha detto lei di chiamarla così?) ma è difficile da comprendere….” la Grok lo interrompe prima che riesca ad andare avanti:
Benedetto lei! Ma se l’ho detto che è stato il caso, è stato il caso, no? Senta un po’: uno l’è povero, poverissimo, la un cià una lira. Vorrebbe ammazzassi. Va alla stazione per buttassi sotto a un treno quando per terra vede qualcosa. Icché l’è? L’è un borsello. Lo raccatta, l’apre, lo sfoglia. Ci trova dentro 100 fogli da 500 euro! O allora, come la mette lei? Prima quell’omo l’era povero, ora l’è ricco? Perché? Chi è stato?” Nel silenzio fremente della Sala delle Riunioni, la Grok alza il viso sul pubblico. Una pausa (carica di suspense); poi prorompe: “L’è stato il caso!!”.
Non fanno a tempo a scattare gli applausi che Ughino, incredibilmente, a suo rischio e pericolo, tenta di arginare il trionfo che si sta delineando per la scienziata:
Però” insiste “molti dicono che l’Universo l’ha creato Dio…”.
Silenzio in sala. La Grok non cerca nemmeno di incontrare lo sguardo di quello screanzato..
Dio, Dio. Ma lei, l’ha mai visto questo Dio? No, ehh? E allora se nessuno l’ha visto, e nessuno l’ha sentito e non si sa dove dovrebbe trovarsi e l’è uno che non c’è. O mi sbaglio? Se uno non si trova in nessun posto allora la un c’è. E uno che un c’è, come fa a esserci? Me lo sa dire lei?
Ughino tace. Pensa: ma chi me l’ha fatto fare?La Grok è un fiume in piena:
E sa allora che gli dico? Dio l’hanno inventato i preti pe prevarià il popolo! Dio un è scientifico e chi è contro la scienza è contro il popolo!!
Basta, la Grok non può proseguire. Tutti si alzano in piedi fra applausi scroscianti; è una vera standing ovation, cappelli lanciati in aria, seggiole sbattute, cori antifascisti… Cesira Gargano Grok viene issata in trionfo e portata fuori, all’aperto, seguita dalle personalità, dai giornalisti e dalla telecamera.. è un’apoteosi, un trionfo che a Ganci di Sopra non si era mai visto; “E’ la vittoria della cultura” dichiara il Sindaco davanti alla telecamera; e prosegue: “E’ la vittoria di Ganci”.
Tutti escono; chiude anche il buffet. Nella sala della Casa Culturale, Ughino, seduto sul bordo della pedana, resta solo. Scuote la testa. “Ma chi me l'ha fatto fare" pensa; e anche: "Non mi hanno neanche notato”. I rumori si allontanano, festosi. A Ughino verrebbe voglia di piangere, poi, chissà perché, gli viene in mente Elvira Fumicella. "A quest'ora chissà dove sarà", pensa tristemente; "chissà cosa farà" (ma forse se lo immagina).