Missione del blog

Il Biri, il socio più anziano titolare della celebre Agenzia (*), ha l'abitudine, da anni, di annotare i suoi pensieri, le sue osservazioni e gli avvenimenti che gli accadono (anche i meno memorabili) in un taccuino che non mostra a nessuno e del quale è gelosissimo.
Ora, avuto il permesso di visionarlo, l'ho trovato per certi versi interessante (come tutto quello che concerne il Biri) e gli ho chiesto perché non lo pubblicasse in un blog. Impresa disperata: il Biri non sa usare nemmeno il telecomando del televisore, figuriamoci il computer! Impietosito ho deciso di aiutarlo e pertanto ecco qui il blog con le pagine del taccuino del Biri che potrete leggere e commentare ricordando sempre che il sottoscritto non si prende alcuna responsabilità del contenuto essendo il suo contributo solamente quello di una collaborazione tecnica e poco più.


Per saperne di più, leggere il post dal titolo: Ouverture.
R.M.

(*) L'Agenzia di Ascolto e Collaborazione Morale della quale parlerò appronditamente in un prossimo futuro su queste pagine.

Roberto Mulinacci

Il regalo di Babbo Natale

giovedì 23 dicembre 2010

Babbo Natale quest'anno non ha potuto far a meno di risentire (persino lui!) della crisi globale che martorizza mezzo mondo e, a malincuore, ha dovuto fare economia anche nei regali che ogni anno destina a grandi e piccini.
Ecco la lista dei doni che ha riservato ad alcune personalità politiche italiane:

A GIANFRANCO FINI: Una confezione gigante (di quelle che si trovano anche da LINDL) di fondo tinta per rifarsi la faccia (faccia che, dopo la batosta del 14 u.s. gli sta velocemente scomparendo);
Alla moglie di BOCCHINO: Un tom-tom ultimo modello per ritrovare il marito scomparso dalla circolazione e persino dai talk show di Santoro dopo la figuraccia rimediata sempre in quel fatidico giorno;
Alle Signore FINOCCHIARO, BINDI e FACCIO un carnet completo di 40 (Quaranta) buoni ognuno dei quali dà diritto ad un trattamento completo di restyling, piling e maquillage ecologico presso l'Istituto Estetico della Quarta Età (inclusa maschera di fango biologico CACCAMUKKA ad effetto riassodante);
A DI PIETRO: Un vocabolario italiano-cafone e cafone-italiano per permettergli di potersi esprimere in modo almeno parzialmente comprensibile dagli altri;
A BERSANI: Una confezione della "Tombola solitaria". 
Nota del Redattore: Trattasi di una tombola in cui partecipa al gioco un solo giocatore. Il gioco termina quando questi, estraendo ad uno ad uno i numeri della tombola riesce a completare una delle cartelle che ha in dotazione (tutte). A quel punto, dopo aver urlato: "Tombola!", può accennare i primi passi di una danza gitana e gridare "Ho vinto!" senza che nessuno lo possa smentire. La "Tombola solitaria" è stata richiesta a Babbo Natale (tramite letterina inviata in Lapponia) anche da Franceschini, Rutelli, Fassino e la signora Finocchiaro, tutti rinomati per le sonore, incessanti trombature raccattate in ogni competizione in cui si sono presentati specie se opposti al Tiranno d'Arcore.
Buon Natale anche a loro.

IL RIBALTAZZO alias IL POKER (ovvero: se 'un sai giocà, lascia perde...)

giovedì 16 dicembre 2010

Il gioco del poker è ormai di gran moda. E’ stata senza dubbio la grande diffusione di internet che ha contribuito al suo sdoganamento, dato che prima era considerato un gioco d’azzardo, pericoloso, rozzo e assolutamente da evitare da parte degli intellettuali, delle signore perbene e delle persone con una carica pubblica. A differenza della roulette, che in un certo periodo della nostra epoca ha avuto perlomeno dalla sua il fascino di un gioco misterioso ma a modo suo affascinante, popolato da un sottomondo fatto di avventurieri senza scrupoli, banchieri in dissesto, mantenute d’alto bordo, nobili decaduti e viveurs alla ricerca di una ricchezza improvvisa (e immeritata), il poker richiama alla mente solo squallidi retrobottega male illuminati, stretti e pieni di fumo dove intorno ad un minuscolo tavolino si radunano individui appartenenti alla fauna male assortita del sottobosco metropolitano: gangster con pupa al seguito, guappi rampanti, giocatori di professione, commercianti sull’orlo del fallimento e uomini di mezza età alla deriva che cercavano di procurarsi i soldi necessari per tirare avanti per un po’ alla meno peggio.
Il poker era vietatissimo, anche se ovviamente questo non impediva che fosse assai praticato di nascosto (in base al noto principio per il quale per favorire la diffusione di una pratica basta proibirla); la sua clandestinità ha ispirato i romanzi di generazioni di scrittori nordamericani e decine di sceneggiatori dell’epoca d’oro del thriller hollywoodiano che hanno ambientato tra i tavoli di poker innumerevoli sequenze dei loro film noir.
Poi, è arrivato internet e tutto è cambiato: il poker non solo non è più proibito ma al contrario viene continuamente promosso, reclamizzato ed esaltato in tutti i più reconditi siti del web. Sky l’ha promosso addirittura a “sport” (De Coubertin si rivolterà nella tomba) e programma nei suoi canali sportivi le più interessanti partite (perché ovviamente c’è qualcuno al quale interessano) di “Texas Hold’em” (un tipo di poker importato direttamente dagli States.
Le regoli del poker sono assai semplici, almeno quelle basilari. Si tratta di un gioco individuale (ognuno gioca per sé stesso) basato sulla fortuna e sulla faccia tosta (alcuni direbbero, con un fondamento di ragione, sulla psicologia). E’ un gioco di soldi; in due parole: vince chi ha le carte migliori o chi riesce a far credere di averle. Tutto qui.
“Beh” ha pensato Fini (e qui entro in tema) “tutto qui? E’ il gioco che fa per me”.
E ha cominciato a raccontare a destra e a manca di essere in grado di avere la maggioranza necessaria per mandare a casa il Cav. Ha fatto e rifatto i conti, ha sommato e risommato tutti i voti dei suoi seguaci con quelli del partito di Casini, di Bersani, di Diliberto, di Grillo (anche lui ha un partito) e di tutti quelli che professavano una certa antipatia verso il governo del Berlusca e ha concluso dicendo alla stampa, alla TV, in tutte le innumerevoli dirette che l’Annunziata, Fazio, Floris e Santoro, eccitatissimi gli ammannivano: “Il Cav se ne deve andare o lo manderemo via noi. Non ha i numeri per governare perché noi (intendeva: io e i miei nuovi amici) abbiamo la maggioranza del Parlamento”.
Si è rivolto anche direttamente al suo acerrimo nemico: “Ah Berlù, vattene. Risparmiati una brutta figura. Vai via senza aspettare il voto di sfiducia che fai meglio. Ci guadagni di reputazione” e Bocchino rideva, Santoro ridacchiava, Fazio sorrideva, Bersani (impippandosene di doversi alleare con gli ex-fascisti) sghignazzava, pregustando l’immancabile vittoria.
Il problema è che il Berlusca, sarà quel che sarà, ma a poker sa giocare meglio di ogni altro, Fini incluso. E invece di passare è andato a vedere (chi conosce il gioco del poker sa cosa voglio dire, chi non lo conosce se lo faccia spiegare). Ed è bastata questa semplice mossa per mandare all’aria tutto il gioco dei finiani e di consequenza degli antiberlusconiani. Come è stato possibile ? si dirà qualcuno; e anche: quale è stato l’errore di Fini?
Beh, sapete com’è. Il nostro amico non brilla per intelligenza. Va bene bluffare, ma se rilanci senza carte in mano, senza un tris, o almeno una doppia coppia o perlomeno una coppia non puoi far conto che l’altro non venga a vedere cos’hai. E tu non hai niente: non solo non hai una doppia coppia, non solo non hai una misera coppia, ma, benedett’uomo, non hai nemmeno le carte!
E così l’abbiamo visto, col muso lungo, triste e scornacchiato, scampanellare mestamente dall’alto del suo scranno annunciando che la mozione contro il Cav, quella mozione che aveva fatto sua, che aveva caldeggiato, poi minacciato, poi sponsorizzato fino alla nausea, era stata bocciata. Il Ribaltone gli si era sgonfiato tra le dita, non solo non era andato in porto, non era nemmeno mai nato dimostrandosi alla resa dei conti più che un Ribaltone, un ribalticchio, anzi: una ribaltazzo.
La vedo triste per l’immobiliarista di Montecarlo. Da domani aspettiamocelo, finché continuerà ad annoiarci dalla poltrona più alta della Camera (quella che gli ha regalato il Berlusca), ancora più triste, più iroso, più puntiglioso, più antipatico di come è sempre stato (ed è difficile). Non so come si comporterà da ora in avanti, so solo che la prima cosa che farà sarà comprarsi un libro che spieghi bene le regole del gioco del poker. Non sono sicuro che le capirà...

SOGNO O SON DESTO? ovvero: Un incubo di Gargamella

domenica 12 dicembre 2010

Era la notte del 13 Dicembre e Bersani, sdraiato al buio nel proprio letto, non riusciva ad addormentarsi. Erano già le una passate ma strani pensieri gli si agitavano nel cervello rendendogli difficile prender sonno.
Il pover’uomo era ormai arrivato al limite della sopportazione. Ma come? Quando ormai tutto sembrava fatto, quando le cose procedevano a puntino e gli eventi auspicati si verificavano puntualmente come fossero controllati da un orologio, ecco che proprio alla vigilia della mozione di sfiducia preparata appositamente da Fini e Casini per sloggiarlo dalla carica di Premier, l’odiato B., il Dittatore che proprio lui, Bersani, aveva definito negli ultimi tre mesi in ogni dichiarazione, in ogni intervista e in ogni talk show nei quali si era presentato come: finito, esaurito, spacciato, eliminato, cacciato e, insomma, morto e sepolto, si metteva in testa di andare alla conta dei voti in Parlamento. E questo senza tenere in nessun conto quanto lui stesso, la Bindi,  Di Pietro, Fini e Casini gli consigliavano: è tutto previsto, sarai sfiduciato, caro B., fìdati; è inutile votare la sfiducia, rispàrmiati la figuraccia, dimèttiti e chi s’è visto s’è visto.
Quello invece niente: fermo, duro come un sasso: - Se non ho più la maggioranza lo voglio verificare contando i voti – si è messo a dire - non mi fido dei vostri sondaggi – come se non volessimo dimetterlo per il suo bene, pensava Bersani, per non fargli subire una umiliazione; insomma, perché ci fa un po’ pietà.
Ed ecco che accidenti a lui, pensava rigirandosi nel letto Gargamella (il nomignolo gli era stato affibbiato da quella sempliciona della Bindi), giorno dopo giorno, ora dopo ora, prima impercettibilmente, poi lentamente, ma comunque inesorabilmente, le cose sembrava si fossero messe a girare da tutt’altra parte e quello che “doveva” essere il giorno della madre di tutti i ribaltoni, il giorno della riscossa della grande coalizione (ex-fascisti, ex-comunisti, filini, valoriani, casini e chi più ne ha più ne metta, tutti uniti sotto la grande bandiera dell’antiarborismo viscerale) rischiava di divenire il giorno della più sanguinosa disfatta che i progressisti, che pur avevano promosso, sponsorizzato e esaltato quel fatidico 14 Dicembre (un piccolo D-Day di casa nostra), avessero mai subito nella loro gloriosa, se pur controversa, storia.
Certo se il 14 (rimuginava il Garga) quel diavolo d’un B. porta a casa la fiducia, nonostante il cambio di giubba di Fini e dei suoi, nonostante la chiamata a raccolta di tutti i cani sciolti della politica italiana sotto la bandiera del PD, nonostante il battage massmediatico degli anchor-men amici (Fazio, Santoro, Annunziata, Scalfari, Floris eccetera eccetera) e nonostante anni di sputtanamenti vari (veri e presunti ma comunque tutti fedelmente documentati dal giornale dei giornali: la velina scalfariana), non so più cosa fare.
Beh, pensava, dovrò fin da ora procurarmi un buon motivo per giustificare la figuraccia. Pensò vorticosamente: motivi buoni, giustificazioni credibili non ce n’erano, almeno di prima mano.. sudava. Si agitò nervosamente nel letto mentre tutto uno scenario infernale si spiegava dinanzi agli occhi della sua immaginazione: …vedeva il Cavaliere Vittorioso… vedeva folle che inneggiavano a B. Premier a vita… vedeva Franceschini che gli toglieva il saluto, Fassino che, incrociandolo nel corridoio di Montecitorio gli si rivolgeva col gesto dell’ombrello, la Bindi, già di suo poco incline alle mezze misure, che lo spingeva via.. via dalla sua sedia.. lontano..lontano..
Poi si rasserenò; il viso gli si schiarì, il respiro divenne più regolare. Aveva forse trovato la soluzione? (penserà qualcuno): niente affatto, signori e del resto quale soluzione potrebbe mai trovare uno passato alla storia di questi ultimi decenni come il più perdente fra tutti gli uomini politici europei? (Franceschini a parte). Solo aveva improvvisamente comparato la sua situazione con quella di Fini, il Quisling de noantri.
E pensando alla situazione in cui si sarebbe trovato il Presidente della Camera all’indomani di una votazione di fiducia favorevole al Duce di Arcore, Bersani si sentì improvvisamente sereno, quasi felice.
Perché sarebbe pur potuto piovere m..rda su di lui, ma, pur incessante, puzzolente e degradante sarebbe stata acqua di colonia rispetto alla valanga himalaiana di m..rda, allo tsunami globale di m..rda, all’inondazione megagalattica di m..rda, all’eruzione interspaziale di m..rda fresca, inattaccabile ed insolubile che avrebbe travolto nelle sue schifosissime spirali il saputello fasciocomunista, il piccolo Cesare fallito, il presupponente demiurgo in doppiopetto e ditino alzato, il transfuga stolto….
“Non mi è mai stato simpatico”, pensò oscuramente Bersani.
Ebbe un tremito, un brivido, una breve sensazione di freddo e poi un raggio di luce improvvisa lo svegliò. Era l’alba! Senza accorgersene si era addormentato e quelle brutte sensazioni non erano state altro che incubi!
Bersani si sentì rinascere. Era il 14, doveva prepararsi per il grande giorno, quello che avrebbe segnato il suo trionfo e la rovina irreversibile del suo acerrimo nemico. Nient’altro che un sogno! Si avviò verso Montecitorio con la faccia di sempre, con l’andatura di sempre, con il portamento di sempre; ma un pensiero aveva cominciato a roderlo dentro e restava lì, non se ne andava.. non se ne voleva andare. E se invece… Scacciò quel pensiero inopportuno dalla mente; “Vinceremo sicuramente” si sforzò di pensare. Ma se…

L'ALLUVIONE

martedì 7 dicembre 2010

 Questa volta il silenzio l’ho rotto io. Dario infatti, stranamente visto che è sempre lui ad innescare la conversazione, dopo i brevi saluti iniziali se ne era rimasto zitto e camminava accanto a me tutto assorto in chissà quali pensieri, il bavero rialzato, le mani nei guanti (era un freddo boia), il cappello rincalzato nella testa e l’immancabile copia de “La Repubblica” che gli spuntava da una tasca del cappotto.
“Allora amico mio, sarai contento.” Ho esordito “A sentir Scalfari e la banda che tende al ribaltone ormai è fatta. Il 14 sfiducia sicura, netta, inappellabile; tutti giurano che c’è la maggioranza per cacciare il dittatore, rilanciare la democrazia umiliata da tanto scempio cavalleresco (nel senso che l’ha compiuto il Cavaliere)  e portare l’Italia verso quel futuro radioso che si chiama Restaurazione. Riavremo l'ICI sulla prima casa, le tasse sui BOT, il sei politico ai somari, e i ricercatori universitari a vita. Che s’era messo in testa il Berlusca; di poter governare solo perché la maggioranza degli italiani aveva votato per lui? O non le conosce le regole della democrazia? I voti valgono solo se sono voti responsabili; poiché chi vota per il Cav è evidentemente irresponsabile (oltre che ignorante, incolto, affamatore del popolo e dichiaratamente più attirato dalle veline che dai trans) è giusto che i suoi voti non possano essere considerati validi per determinare una maggioranza in Parlamento. Quindi non resta che aspettare; il 14 di Dicembre è vicino e già dal giorno dopo il despota di Arcore sarà un cavaliere disarcionato, senza più alcun potere e pronto per essere cotto a puntino da tutta una schiera di magistrati e di giornalisti d’assalto che attendono solo di vederlo legato e con la museruola per scatenarglisi contro con tutte le forze di cui dispongono i rivoluzionari postcomunisti e le loro tribune (Annozero, Ballarò, le D’Addario, Wikileaks, Raitre, Fazio, Benigni, Cornacchione, eccetera eccetera). Sarai contento” ho concluso.
Dario non rispondeva. Pareva non aver nemmeno sentito quello che avevo appena detto (e pensare che mi ci ero impegnato a fondo in quel pistolotto) e continuava a camminare accanto a me come se io non ci fossi nemmeno. Dopo un minuto, seduti davanti alle nostre fumanti tazze di tè verde, si è scongelato.
“Biri, Biri” ha fatto scuotendo il capo. E si è fermato lì. Io: come non avesse aperto bocca.
Dopo due altri minuti (e altre due sorsate di tè) evidentemente richiamato alla realtà dal fragrante aroma dell’esotica bevanda, ha manifestato il perché delle sue preoccupazioni:
“E se vince lui? Voglio dire: e se il 14 in un modo o nell’altro il Berlusca ottiene la fiducia alla Camera e al Senato?” e dopo una pausa gravida di incertezza: “Ci resterà a vita!”. Poi, silenzio. (da parte sua).
“Caro Dario, amico mio” ho detto dopo aver finito, con una lunga, piacevolissima sorsata, il mio tè: “Cosa dici mai: la fiducia al cavaliere? Il problema non si pone. Almeno me lo auguro per te e per quelli che la pensano come te, che sono tanti e degni di stima e di rispetto. Me lo auguro per Fini, per Bocchino, per Di Pietro, per Casini. Me lo straauguro per quella brava persona che è Bersani, per il brillante Fassino, per l’onesto D’Alema, per l’intelligente Bindi, per il cinefilo Veltroni. E me lo auguro per Scalfari e i redattori della Re-pubica, per il direttore di Famiglia Cristiana, per quei campioni di imparzialità che sono i santori, i saviani, i fazi, i benigni, i floris…”
Ho fatto una piccola pausa, il tempo per alzare lo sguardo e fissarlo nei suoi occhi. “Non si pone, perché se succedesse, se dopo tutti questi mesi in cui questi personaggi si sono affacciati mattino, pomeriggio e sera davanti ai nostri occhi, nei telegiornali, nei talk show, negli editoriali, nei tazebao, negli striscioni, nei resoconti riservati… e dove ci hanno detto che il Governo non c’è più, che la maggioranza non c’è più, che Berlusconi è finito, che se ne deve andare.. e dove ci hanno detto che i numeri ci sono, che li hanno contati e ricontati… e insomma dove ci hanno persino convinto (non a me, però) che, abbattuto il governo non bisogna però andare alla elezioni perché il Berlusca rivincerebbe anche quelle… ebbene, se dopo tutto questo, si arrivasse al 14 e risultasse che il Cavaliere ha ancora la fiducia… no Dario, no Dario. Non avverrà; non potrà avvenire. Ne sono sicuro.”
“Ma.. se succedesse?” ha domandato (facendo un grosso errore) Dario.
“Dario, se succedesse tutti quei personaggi sarebbero travolti dalla più grande alluvione di merda della storia. Una alluvione di una portata tale che quelle di Firenze, quella del Polesine e lo tsunami che devastò il Pacifico in confronto sarebbero pioggerelle primaverili. Se penso alla quantità a alla qualità di merda che si abbatterebbe su tutta quella gente sprofondandola nel pubblico ludibrio e in una situazione più penosa che ridicola.. se penso alla difficoltà a all’altezza dei salti mortali che, dopo la votazione, sarebbero costretti ad affrontare; se penso alla libidine esagerata del Cav e dei suoi amici… no Dario. Non me lo auguro. Un po’ di carità cristiana ce l’ho anche io e sotto Natale, voglio esercitarla. Spero quindi, con te, che quelli anti-Cav abbiano fatto bene i loro conti. Per il loro bene. E anche per te”.
Poi, visto che non ribatteva, gli ho sorriso: “Buon Natale, amico mio”.

LA IENA

domenica 5 dicembre 2010

La iena è un mammifero appartenente all’ordine degli ienidi che vive in Africa.
La iena è alta  poco meno di un metro, ha le dimensioni di un cane lupo e si caratterizza per il pelo corto e ispido e la costituzione robusta. La parte posteriore del suo dorso è visibilmente schiacciata verso il basso, quella anteriore è caratterizzata da una folta e ispida criniera, la gambe, esili ma robustissime, sono munite di forti unghie adatte a scavare il terreno. Il muso è nero, il naso perennemente umido irto di setole, la bocca larga mette in mostra una dentatura feroce con zanne smisurate che le servono per triturare le ossa; altre zanne fuoriescono dalla bocca e si ergono, ricurve, verso l’alto. Una ghiandola, posta accanto all’ano, secerne in continuazione un liquido puzzolente che la ricopre dalla testa ai piedi.
Le iene sono animali sociali; vivono infatti in piccole tribù che si muovono nella savana o ai margini della foresta, spostandosi al seguito dei grandi mammiferi. Le iene infatti sono di indole estremamente vigliacca; raramente affrontano gli altri animali in campo aperto e si accontentano di seguirne le orme accontentandosi dei loro avanzi oppure che uno di essi muoia nel qual caso non esitano a cibarsi del suo cadavere.
Benché la sua innata mancanza di coraggio la dissuada dallo sfidare gli altri predatori della foresta, pur tuttavia, in certe situazioni, la iena si avvale della tattica del branco per sfidare animali più forti, più veloci, più coraggiosi e più intelligenti di quanto essa sia; uno di questi casi si verifica quando la iena si accorge (o presume) che il suo avversario è malato, vecchio, ferito, o comunque non in grado di lottare al massimo delle sue possibilità.
Potesse avere un motto, il suo sarebbe: “snerva, innervosisci, indebolisci il tuo avversario con ogni mezzo; cerca un punto debole e insisti su quello; mordi e fuggi, attacca e nasconditi, colpiscilo a tradimento e pur senza dar mai l’impressione di essere il suo nemico, datti da fare in continuazione per indebolirlo”.
Prendiamo ad esempio il leone, il re della foresta. Esso è il più forte, il più feroce, il più imponente e il più coraggioso animale della savana; lotta a viso aperto con tutti gli altri animali, ed è in grado di sconfiggere non una, ma dieci iene. La iena però sa attendere, impassibile, senza dare nell’occhio, nell’ombra, e, venuto il momento opportuno,può colpire. Uno si può chiedere: ma perché la iena  ce l’ha così tanto con il leone da impegnare tutte le sue forze, a rischio della propria vita, per abbatterlo? Non potrebbe usare la sua malizia contro gli altri animali, magari quelli più alla sua portata? Perché il sogno della sua vita è proprio quello di distruggere il leone pur sapendo che senza di lui ci sarà meno cibo anche per tutti gli altri animali, iene comprese, che si nutrono dei resti delle sue cacciagioni? .
La risposta è semplice: la iena oltre che vigliacca è ambiziosa e ancor più che ambiziosa è invidiosa oltre ogni misura; invidiosa al punto che non gli importa se la sua invidia potrà portare danni alla comunità degli animali della savana; ciò che vuole è portare alla rovina (ma con il minimo rischio) l’animale più glorioso, più bello, più coraggioso e più leale che ci sia in giro; l’animale che, per il semplice fatto di esistere e di agire, la pone continuamente di fronte agli occhi quello che lei non sarà mai rispetto a quello che lei è: una bestia sgangherata, fatta male, puzzolente, torva, malevola, inetta, guardata con sospetto e ribrezzo da tutti gli altri esseri del creato.
Ovviamente la iena non vuole correre rischi; sa che affrontare il leone allo scoperto, in pieno giorno e da sola significherebbe inevitabilmente la sua fine..  Ma la iena ha dalla sua un innato senso dell’inganno e del tradimento. Quando pensa che sia arrivato il momento di sfidare il leone, chiama a raccolta tutto il branco e passa all’azione. Innanzitutto occorre stancarlo. Le iene, ogni notte, disposte in circolo a debita distanza dal leone cominciano a ululare, a turno. Il loro verso è simile ad una oscena risata e tende a far sì che il leone non possa prendere riposo e si debiliti. Nei giorni successivi, gruppi di iene, simulano attacchi al leone. Gli si presentano davanti in dieci, quindici, aggressive, feroci e quando quello parte all’attacco, subito tutte si disperdono per la savana, chi a destra chi a sinistra. Il leone, dopo una rincorsa infruttuosa, torna sui suoi passi e subito un altro gruppo di iene gli si para davanti. Nuova rincorsa, nuovo nulla di fatto.. la stanchezza del re della foresta aumenta. Dopo un mese, due mesi di questo trattamento, una iena (il capo del branco), pensa sia giunto il momento tanto atteso. Una notte, fingendo di esser malata, con gli occhi chini, l’andatura traballante, le orecchie abbassate e la coda tra le gambe, si avvicina timidamente al leone chiedendogli tacitamente di potersi cibare dei suoi avanzi. Il leone, che oltre a tutte le sue qualità ha anche quella (pericolosissima) di essere generoso, si volge dall’altra parte; è il suo modo per dire alla iena che gli concede il permesso di avvicinarsi pure a ciò che è avanzato del suo pranzo. E’ un attimo: non appena quello, fiducioso, volta la testa, la iena, veloce come il lampo, lo addenta profondamente nella schiena provocandogli una dolorosa ferita. Poi fugge. Il leone, stupito, addolorato per l’inganno subìto più che per il forte dolore che avverte, cerca di raggiungerla ma ecco che da ogni parte, decine di iene si precipitano su di lui.. Chi lo distrae, chi lo intralcia, chi corre da una parte, chi dall’altra, alcune lo feriscono, altre cercano di morderlo, molte gli si slanciano addosso, poi si ritirano, poi tornano all’attacco. Alla fine, quando il povero leone è ormai stanchissimo, tutte le iene, anche quelle che da mesi seguivano timidamente le sue cacce e si cibavano dei suoi rimasugli di cibo (quelli che lui, generosamente, credendole amiche, gli concedeva), ora gli si avventano contro. Alcune finiscono sbranate dagli artigli del grosso felino, altre fuggono, codardamente, ma molte, rese audaci dalla consapevolezza che l’altro è ormai in palese difficoltà, lo assalgono. Mentre quattro o cinque iene, le più giovani, gli si parano decisamente davanti, le altre lo attaccano da dietro, da lato, da ogni dove. Ognuna lascia la sua ferita, il suo morso, il suo segno, la sua unghiata: il sangue del leone sgorga da tutte le parti. Alla fine, il glorioso animale soccombe; non è più che una sagoma informe sanguinante sotto un nugolo di trionfanti iene che, l’orrendo muso grondante di sangue, levano al cielo il loro latrato vittorioso che rintrona, sinistro, per tutta la savana.
Alcuni studiosi riferiscono che alcuni comportamenti degli animali selvaggi ed in particolare quelli delle iene, si possono rinvenire, a ben guardare, anche nella moderna società umana. Specialmente in quella italiana dicono; e aggiungono: particolarmente nella vita politica.. Ma io non ci credo: gli uomini sono diversi dalle bestie.
O no?

LA SCOMPARSA DI MARIO MONICELLI (30 Novembre 2010)

giovedì 2 dicembre 2010

E così, orgogliosamente solo, ha scelto l’ora e i modi della sua morte. Si è schiantato sull’asfalto e l’ha fatta finita con la vita, quella vita che tanto gli aveva dato ma che ora lo aveva lasciato solo. Mario non ce l’ha fatta ad aspettare; si è guardato intorno, ha visto che non lo vedeva nessuno ed è volato via, giù dalla finestra, in una gelida sera di novembre.
Muore così l’ultimo della generazione dei grandi Registi italiani; molti critici, che ora lo commemorano con parole fin troppo esagerate, lo definirono, a suo tempo, “solo” un solido mestierante, come se nel richiamo al “mestiere” ci fosse qualcosa di spregiativo, o di mediocre, piuttosto che il riconoscimento più alto per uno come lui che sapeva usare le tecniche cinematografiche per quello che c’è di più solido in un film, e cioè volgendole al servizio del racconto. Il pubblico amava i suoi film (come quelli di Risi, di Blasetti, di Comencini, di Zurlini) anche se gli intellettuali in eskimo di casa nostra stravedevano per Antonioni, Bellocchio e Petri (che facevano “cinema con un messaggio”) e poco si interessavano agli altri registi considerati “meno impegnati” e ridotti a fare film meramente commerciali o (la definizione sinistrese è impagabile) “d’evasione”; come a dire film per poveri deficienti.
La gente se ne fregava e affollava all’inverosimile le sale cinematografiche dove davano “Il sorpasso”, “Poveri ma belli”, “Estate violenta”, “I soliti ignoti”, “L’armata Brancaleone”, “Tutti a casa” e tutta una serie di decine di titoli che, in quei irripetibili vent’anni, hanno dato più lustro all’Italia cinematografica che mille entusiastiche recensioni di Cinema Nuovo e Repubblica alle seghe mentali di Bellocchio e company.
Monicelli era uno di loro, uno di quei bravi “mestieranti” che, guarda caso, hanno costruito l’unico cinema nazionalpopolare del dopoguerra e l’unico genere cinematografico prettamente italiano che è tuttora studiato, esportato e copiato (prima di tutti da Hollywwod) in tutto il mondo. (Si dirà: ma il neorealismo, cos’è allora: fuffa? Affatto e molti sono i film di valore di quel genere nato dalle circostanze e dalla penuria del dopoguerra. Solo che non era cinema per il popolo. La gente non apprezzava quei film e faceva le file per i polpettoni melodrammatici di Yvonne Sanson e Amedeo Nazzari; il neorealismo, lungi dall’essere cinema popolare è stato un cinema di e per intellettuali).
E così, salvo i soliti tardivi riconoscimenti, piano piano (il tempo è galantuomo, lui) ci si sta rendendo conto che il più attendibile critico cinematografico è il pubblico. E non potrebbe essere altrimenti dato che il cinema nasce, si sviluppa e muore (proprio in questi anni) in funzione del gradimento del pubblico. Se non si rivolgesse alla gente, non ambisse ad essere visto dal maggior numero di persone e non tendesse a fare più profitti possibile, il cinema semplicemente non sarebbe mai nato.
Monicelli, come altri bravissimi direttori della sua generazione, l’aveva sempre saputo ed aveva (quasi) sempre saputo dare al suo pubblico quello che questi voleva e si aspettava da lui. I suoi innumerevoli spettatori, che da lui erano stati così magistralmente serviti, lo hanno ricambiato con il successo quando era ancora in vita, e, ora che se ne è andato, con un sincero rimpianto (che è il massimo che un artista si può ragionevolmente aspettare).