Missione del blog

Il Biri, il socio più anziano titolare della celebre Agenzia (*), ha l'abitudine, da anni, di annotare i suoi pensieri, le sue osservazioni e gli avvenimenti che gli accadono (anche i meno memorabili) in un taccuino che non mostra a nessuno e del quale è gelosissimo.
Ora, avuto il permesso di visionarlo, l'ho trovato per certi versi interessante (come tutto quello che concerne il Biri) e gli ho chiesto perché non lo pubblicasse in un blog. Impresa disperata: il Biri non sa usare nemmeno il telecomando del televisore, figuriamoci il computer! Impietosito ho deciso di aiutarlo e pertanto ecco qui il blog con le pagine del taccuino del Biri che potrete leggere e commentare ricordando sempre che il sottoscritto non si prende alcuna responsabilità del contenuto essendo il suo contributo solamente quello di una collaborazione tecnica e poco più.


Per saperne di più, leggere il post dal titolo: Ouverture.
R.M.

(*) L'Agenzia di Ascolto e Collaborazione Morale della quale parlerò appronditamente in un prossimo futuro su queste pagine.

Roberto Mulinacci

La bufala della Majella

domenica 26 febbraio 2012

Questo che state per leggere è un vero e proprio scoop giornalistico. A rischio di grane giudiziarie e mettendo a repentaglio la mia personale incolumità, sono riuscito a rintracciare e ad intervistare colui che più di ogni altro può dire la sua sui noti fatti che hanno occupato le prime pagine dei giornali. E' stato difficile ma, grazie alla mia proverbiale tenacia e ad una notevole dose di fortuna, ecco che posso presentarvi, parola per parola, l'intervista esclusiva che sono riuscito ad ottenere nientepopodimeno che dal celebre "neutrino della Majella", colui che ha fatto parlare di sé tutto il mondo, scientifico e non, per aver affermato, prima di essere scoperto e sbugiardato, di aver percorso il tragitto Gran Sasso-Ginevra in un tempo inferiore di ben 70 miliardesimi di secondo rispetto alla velocità della luce. Al di là di ogni implicazione scandalistica e della mera esposizione dei fatti, l'intervista può contribuire a rasserenare gli animi  esacerbati da quello che è stato definito un duro colpo alla comunità scientifica italiana portando alla luce certi aspetti nascosti o poco conosciuti di ciò che si cela nelle recondite profondità esistenziali degli ultimi degli ultimi, di coloro che non vengono mai presi in degna considerazione: i neutrini.


Biri: 
"Iniziamo l'intervista. Allora, signor.... mi scusi, quale è il suo nome?"
Neutrino:
"La mia denominazione ufficiale è AQSYX/234001/QUIK006, ma se preferisce, durante questa intervista può chiamarmi semplicemente Pippo"
B:
"Bene signor Pippo. Tutti i giornali hanno parlato di quella che è stata definita "la bufala della Majella". Può dirci come è stato possibile che alcuni tra i fisici più accreditati siano caduti in quella che, alla resa dei conti, e per sua stessa ammissione, si è rivelata una colossale panzana? Non avevano misurato accuratamente la sua velocità?"
N:
"Vede, il problema è proprio la velocità. Quella della luce, voglio dire. Dannatamente difficile da misurare, mi creda. Ed è proprio da questa difficoltà che mi è nata l'idea della corsa Gran Sasso-Ginevra."
B:
"Mi scusi, Pippo. Può essere più preciso?"
N:
"Quando ho saputo che ero stato scelto come quello che avrebbe effettuato l'esperimento della corsa fino a Ginevra ho pensato che se potevo mettermi d'accordo con uno dei miei fratelli che abita in Svizzera, la cosa poteva riuscire. Sa, signor Biri, come avviene l'esperimento? Gli scienziati italiani e quelli svizzeri, ognuno davanti ai propri strumenti, si mettono d'accordo telefonicamente. Ad un certo punto, quando tutto è pronto, ecco che quello svizzero inizia il conto alla rovescia. Parte da 10 e decresce di una unità fino a che giunge a 1. Dopodiché urla al microfono: "Ora!" e dal Gran Sasso danno il via al neutrino scelto per la bisogna. Quando questo arriva a Ginevra si stoppa il cronometro e si guarda quanto ci ha messo. La luce ci aveva messo un milionesimo di secondo, più spiccioli. Io, (insomma quello che potevo sembrare io) assai meno. Infatti arrivai a Ginevra addirittura prima che mi dessero il via."
B:
"Scusi, Pippo, non ho capito bene. Vuol dire che lei arrivò a Ginevra, partendo dal Gran Sasso, prima che fosse data la partenza? Insomma, che tagliò il traguardo prima di partire?"
N:
"Proprio così. Arrivai a Ginevra che dovevo ancora partire dal Gran Sasso."
B:
"E' incredibile. Non ci si crederebbe. E come è stato possibile?"
N:
"Come sarebbe stato possibile, vuol dire. Eh già, perché in effetti io non sono mai andato a Ginevra. Ma, se ci fossi andato e ci fossi arrivato ad una velocità maggiore di quella della luce, sarebbe successo proprio così. Sarei arrivato prima di partire. La velocità della luce è la velocità massima, la velocità delle onde elettromagnetiche, la velocità dell'espansione dell'Universo, la velocità del tempo stesso. Viaggiare più veloci della luce vuol dire arrivare prima di partire. Ma, ovviamente, io non feci così. A dirgliela tutta, caro Biri, noi neutrini siamo lenti. Lentissimi. Siamo deboli, senza consistenza e a corto di autostima. Insomma non ci reggiamo bene nemmeno in piedi. Io poi sono particolarmente lento, più di un bràdipo ubriaco. E poi, e me ne vergogno, sono anche un pò pigro. Andare a Ginevra? A piedi? Correndo? Ma, dico, siamo matti?"
B:
"La prego, signor Pippo, non divaghi. Mi racconti per filo e per segno come sono andati i fatti."
P:
"E' semplice. Del resto lei stesso l'aveva scoperto, anzi, se non erro, aveva raccontato la storia della sostituzione di persona... pardon: di neutrino, proprio sul suo blog. Ebbene, le cose andarono proprio così. Al momento del fatidico "Via!" io mi nascosi più presto che potevo mentre, nello stesso momento (anzi, un pò prima) mio fratello AQSYX/234001/QUIK005, detto Fritz, che abita in Svizzera, si palesò improvvisamente nel laboratorio degli scienziati che partecipavano all'esperimento dicendo: "Cucù! Eccomi, arrivo fresco fresco dal Gran Sasso!" Grande sorpresa, applausi, champagne a fiumi! La scoperta del millennio! Il vanto della fisica italiana!"
B:
"E poi? Mi dica, Pippo; poi che successe? Chi fu a scoprire l'inganno?"
P:
"Fu tutta colpa mia e le assicuro che non potrò mai perdonarmelo. L'accordo fra me e Fritz per funzionare non poteva prescindere da una perfetta tempificazione. Era essenziale che, subito dopo la sua apparizione (a mio nome) nel laboratorio svizzero, non mi si trovasse più in quello del Gran Sasso. Ma mentre Fritz fu perfetto a comparire a Ginevra al momento convenuto, io non riuscii ad allontanarmi. Riuscii solo a nascondermi sotto uno zerbino dove, per mia sfortuna, mi trovò, a sera, la donna delle pulizie. Con la mia presenza all'interno del laboratorio, l'inganno fu svelato e, nonostante il professor Zichichi fecesse di tutto perché la notizia non trapelasse, lo scandalo fu troppo grande perché si potesse occultarlo. Il resto, signor Biri, è cosa nota. Ma finché è durato, è stato bello"
B:
"Ma mi dica, Pippo; ora che le modalità di questa truffa scientifica, nota ormai in tutto il mondo come "La bufala della Majella", sono state accertate, mi vuol dire per concludere la nostra intervista cos'è che la spinse a concepire e ad organizzare questa colossale messinscena? Ora che l'inganno è stato scoperto il prestigio della ricerca italiana è andato a farsi fottere, ma nel caso che l'esperimento fosse stato preso per buono, lei cosa ne avrebbe ricavato?"
P:
"Beh, signor Biri, per risponderle devo cercare di rappresentarle la misera situazione esistenziale di noi neutrini. Ignorati da tutti, senza un amico, senza che mai nessuno parli di noi. Guardi me, per esempio. Senza peso, senza massa, praticamente senza consistenza come sono io cosa ci sto a fare al mondo? Intorno a me trilioni di elettroni, nuclei atomici e protoni di ogni tipo sfrecciano a velocità supersonica godendosela un mondo; miliardi di neutroni (che sono dopotutto i nostri fratelli maggiori) si divertono a girare come pazzi nei tunnel del CERN sempre pronti a sbattere su qualche particella consenziente. Li sento i bòtti che fanno! Ed io fremo dentro e mi rinchiudo in me stesso. A cosa servo? mi domando continuamente. Le particelle subatomiche non degnano di un'orbita i tipi come me e, creda, non ce ne è una che si scontrerebbe con il sottoscritto. Un poco le capisco. Una entità infinitesimale come la mia, cosa mai potrebbe offrirle? Ecco come mi è nata l'idea. - Quando l'universomondo parlerà di me, le cose cambieranno! - pensai. E quale miglior occasione di guadagnarsi popolarità che essere il protagonista di un esperimento che avrebbe mandato in soffitta tutte le teorie del vecchio Albert (NdA: Einstein), che avrebbe dato prestigio al laboratorio del Gran Sasso e, di conseguenza, all'Italia intera? Già vedevo miliardi di particelle di ogni massa e valenza atomica correre per scontrarsi con me. Con me, ha capito signor Biri? Con AQSYX/234001/QUIK006, il piccolo e sottovalutato neutrino del Gran Sasso! Ah, destino infame!"
B:
"La ringrazio signor Pippo per la sua disponibilità. L'intervista è finita. Posso fare qualcosa per lei?"
N:
"Ora, signor Biri, voglio solo riposare. La prego mi lasci solo. E tanti saluti ai suoi lettori"

Al bar

sabato 11 febbraio 2012

Augusto riconobbe Cesira solo dopo qualche minuto che la stava osservando. Alcuni mesi erano passati da quando si erano visti l'ultima volta: un'eternità. I due vecchi amici si abbracciarono, commossi. Augusto le offrì un caffé e lei, che normalmente, sempre indaffarata, avrebbe rifiutato anche se a malavoglia, quella volta accettò e, seduti al tavolino del bar, al riparo dagli sguardi indiscreti e dalle male lingue, inevitabilmente la conversazione si concentrò sul loro lavoro.
Bisogna dire, per chi non lo sapesse, che Augusto era da anni il maggiordomo del cavalier Silvio d'Arcore (come lui devotamente si riferiva al suo datore di lavoro), mentre Cesira, d'origini toscane ma cresciuta in Romagna, era stata assunta in qualità di cuoca presso i Bersani il cui capofamiglia era notoriamente amante della buona cucina casalinga. 
"Sono preoccupata per PierLuigi" confessò ad un certo punto la donna al suo amico. Aveva le lacrime agli occhi.
Augusto cercò di consolarla, e il comportamento dell'amica, che sembrava veramente agitata, lo spinse a cercar di saperne di più sulle cause di quella insospettata defaillance.
"Ma perché Cesira? Cosa è successo? Ti prego parla, confidati; lascia che condivida con te il tuo segreto in modo ch'io possa, se lo ritieni opportuno, consolarti e alleviare il tuo dolore" disse Augusto che, avendo letto in gioventù centinaia di romanzi di Liala (in casa sua - mamma parrucchiera, padre bidello - c'erano solo quelli), aveva da questi acquisito quel desueto modo di esprimersi.
Cesira, dopo aver tentennato un pò, asciugatisi gli occhi, si decise alfine ad aprire il suo cuore all'antico compagno di merende (da giovani infatti, i due se ne andavano spesso per osterie, a merendare).
"Devi sapere, caro Augusto, che da quando al governo ci sono tutti quei professori, quei cervelloni, come li chiama lui, in casa di PierLuigi non si fa più vita. Come era vitale, dinamico, quasi aggressivo con quella sua parlantina sciolta che lo aveva reso giustamente famoso fra i compagni di partito, ora invece è sempre zitto, scontroso, depresso. Sembra che abbia perso il gusto della vita. Non esce più con gli amici, non va nemmeno più alle riunioni del Partito - "Per quel che servono"- dice scuotendo la testa. Non guarda la TV nemmeno per vedere le partite del campionato di calcio che una volta lo appassionavano tanto.
E poi hai voglia a darti da fare per fargli tornare il buonumore! Come a pranzo: hai voglia a preparargli le cose che gli sono sempre piaciute come la minestra di fagioli con le cotiche, i gobbi rifatti col sugo di carne e le salsicce coi fagioli all'uccelletto che lo facevano impazzire! Pensa che ieri l'altro, a cena, ho voluto fargli una sorpresa per cercare di tirarlo un pò su di morale, ed invece del consommé vegetale ed il cavolfiore lesso che aveva chiesto, gli ho portato in tavola un piatto di ravioli ricotta e spinaci e una porzione di cotechino con le lenticchie che avrebbero fatto risuscitare un morto! E invece, lui, niente. Si è quasi arrabbiato: "Cèsi" mi ha fatto (mi chiama confidenzialmente così dopo tanti anni che sono al suo servizio), "Se ti dico che voglio una cosa, fammela! Almeno te, perdìo! Ma dove andiamo a finire! Ora uno non comanda più niente nemmeno a casa sua! Avevo chiesto il cavolo e te dovevi farmi il cavolo! Oh insomma!". Ci sono rimasta così male che mi veniva da piangere anche se lo sapevo perché si comportava in quel modo. Il fatto è che il signor PierLuigi è giù di nervi. Mi ha detto il figlio del giardiniere (che è infermiere diplomato) che da quando al governo ci sono i professori gli è venuta a mancare l'auto....l'auto..."
"Stima" disse Augusto. 
"Ecco, quella cosa lì" proseguì Cesira, "Pensa che ieri l'ho sorpreso mentre, pensando di essere solo, parlava, tutto infervorato, con lo specchio".
"Con lo specchio?" chiese Augusto pensando di non aver compreso bene.
"Con lo specchio, Augusto, con lo specchio! E non lo nasconde mica. Dice che solo così può dire ad alta voce quello che pensa di sé stesso. L'ho sentito mentre si rivolgeva alla sua immagine riflessa nello specchio. Diceva: -Mo che belìn ci stai a fare a Montecitorio, muso di ciuco! Lo sai che ora, con tutti questi professori qui non puoi dir niente, non puoi far niente e tutto quello che ti chiedono è di approvare tutte quelle vagonate di leggi e leggine che sfornano a getto continuo. E devi anche far finta che ti piacciono, quelle leggi! Muso di ciuco! Ecco quello che sei! Devi votare per il taglio delle pensioni, per l'aumento dell'età pensionabile, per i licenziamenti facili! E non puoi ribellarti! Ah, quando c'era lui l'era una bellùria!- e alzava gli occhi al cielo dando pugni per aria....io penso che si riferisse al tuo padrone" disse Cesira. Ricevuto il segno di assenso del suo interlocutore la brava donna proseguì il suo racconto:
"E così il signor PierLuigi è proprio avvilito ed è sempre di cattivo umore. Ce l'ha con tutti perché pensa che la colpa sia di tutti quelli che gli stanno intorno. L'altra volta, mentre leggeva Repubblica, tutto d'un tratto ha buttato il giornale per aria e ha sbottato "Brutta culona, la colpa è tutta tua!". Mi sono quasi spaventata; questa volgarità non è da lui".
"Beh, sai" fece Augusto "Probabilmente, anche se in modo non del tutto signorile, si riferiva alla Merkel..."
"Macché Merkel!" lo interruppe Cesira "Si riferiva ma a una certa Maria Rosaria di Sinalunga che, dice il signor Bersani, ce l'ha con lui e lo costringe a fare sempre delle figuracce. Pensa che la sera venivano i suoi amici a giocare con lui alla solita partita di scopone, ma ora, anche loro, vedendolo così avvilito, non si fanno più vedere. Guarda Augusto, ho paura per la sua salute. Mentale, voglio dire. E poi mi preoccupa il suo stile di vita. Per cercare di dimenticare il brutto momento che sta attraversando si sta buttando sull'alcol. Lui, che non aveva mai bevuto più di un bicchiere di rosso a pasto, ora si scola una bottiglia di sangiovese a cena e una di lambrusco a pranzo. A volte è così fatto che non ce la fa a tenersi in piedi nemmeno per andare a dormire e devo metterlo a letto io portandocelo con la carriola. Una faticaccia anche perché ormai ho una certa età. Ma ora parliamo di te. Come ti vanno le cose con il Cavaliere?" chiese Cesira, avida di notizie.
Augusto non si fece pregare e raccontò:
"Beh, devo dire che il cavalier Silvio è proprio un altro carattere. Lui è sempre contento come una Pasqua. Ha attraversato un momento difficile solo la settimana in cui l'hanno dimissionato ma poi, anche grazie ad un piccolo stratagemma psicologico inventato dal signor Gasparri, si è ripreso in un momento e adesso è sempre pimpante, ottimista e contento come da tempo non lo vedevo."
"Mi vorresti dire che il governo dei professori non lo ha mandato in depressione? Che non si sente una mezza... mezza..." a Cesira non veniva la parola.
"Calzetta" suggerì Augusto che, incassando il cenno d'assenso della donna, proseguì:
"Niente affatto. Vedi Cesira, il Cavaliere adesso si è convinto di comandare come e più di prima. Come ti ho detto l'idea è stata di Gasparri. Un giorno trovò il signor Silvio con una faccia da funerale; era incavolato nero con l'universomondo e stava seriamente meditando il suicidio. "Sant'Ambrogio da Arcore!" si lamentava il cavaliere, "Questi hanno rimesso l'ICI sulla prima casa! Hanno tassato anche l'aria che si respira! Vogliono mandare a casa migliaia di carcerati! Comunisti, ecco cosa sono: comunisti, arcicomunisti, comunistissimi!" e sbatteva la testa contro il muro. Beh, devo dire che il signor Gasparri fu grande. Gli dette ad intendere che le leggi che faceva il nuovo governo altre non erano che quelle che lui, il Cavaliere, aveva meditato di fare. Ergo, disse Gasparri, il vero premier era ancora lui, il signor Silvio. Il Professor Monti non era altro che l'esecutore delle manovre che lui, il Silvio, aveva studiato e mai messo in pratica per l'opposizione dei magistrati. Ovviamente si trattava di una puttan..., pardòn, una bugìa, ma incredibilmente l'escamotage funzionò e, anche grazie a massicce dosi di allucinogeni che mi ordinarono di versargli da allora e a sua insaputa nel solito whisky di fine pasto, quella pietosa menzogna, divenne verità. La sua verità"
Augusto per il momento terminò il suo racconto ma dovette subito riprenderlo poiché Cesira, curiosa come una gazza (animali curiosissimi, come è noto), lo spronò a continuare:
"E ora?".
"Ora, amica mia, è una bellezza. Il Cavaliere ogni giorno si alza, legge i giornali e poi dà udienza ad una piccola folla di postulanti (in verità un gruppo di aspiranti apprendisti attori ingaggiati dal solito Gasparri) che hanno delle lamentele da fargli e delle richieste da rivolgergli. Chi gli dice non ce la fa ad andare aventi perché il prezzo della benzina è troppo alto (e lui: "Stasera stessa dirò al mio amico Putin di abbassare il prezzo del greggio!"), chi si lamenta per la troppa neve che blocca le strade (e lui: "Telefonerò subito alla Protezione Civile affinché getti sale a palate sulle vie di comunicazione!"), chi per le troppe tasse che strozzano l sue attività (e lui: "Avvertirò immediatamente Monti perché mi ricordi di abbassare la pressione fiscale!"), chi recrimina perché il Milan ha perso il derby (e lui: "Appena possibile comprerò Messi, Ronaldo e Rooney per vincere ogni trofeo!"). Il resto della giornata lo impiega a telefonare ai grandi della Terra; la Merkel, Obama, Putin, Sarkozy... lui chiama confidenzialmente tutti e tutti, al telefono, sembrano contentissimi di sentirlo. A volte telefona anche a Gheddafi (non abbiamo avuto il coraggio di ricordargli che il suo caro amico non c'è più) ed il raìs immancabilmente gli dimostra tutta la sua ammirazione. Naturalmente a tutte le telefonate risponde Gano Millevoci, un giovane imitatore di Saronno che si guadagna il pane impersonando questi personaggi. Del resto non si fa danno a nessuno e a lui, il signor Silvio, questa piccola commedia recitata a sua insaputa, fa bene. Si sente ancora importante, pensa di essere ancora un leader e nessuno ha il coraggio di dirgli che gli hanno staccato la spina. E da un pezzo. Il sabato sera poi, a tirargli su il morale e l'autostima, c'è la gara di "taste-fesses".
Augusto si fermò, restìo a continuare.
"E di che si tratta?" chiese avida Cesira.
"Beh, niente di cui vergognarsi; una cosetta da niente inventata in Francia ed importata in Italia dal suo amico Emilio (Fede, per la cronaca). Insomma, il signor Emilio introduce in casa dieci ragazze sconosciute che, celate dietro una parete di cartongesso si denudano la parte... la parte inferiore del corpo e fanno sporgere i loro lati-B da appositi fori circolari. Il cavalier Silvio, al quale è stato detto che le ragazze sono studentesse assolutamente perbene provenienti da ogni parte del mondo, passa lungo la parete e fa scorrere la mano sul c... sulle nat... insomma sui lati-B delle ragazze. La sfida, dalla quale esce sempre gloriosamente vincitore è quella di indovinare il Paese di provenienza di ogni ragazza soltanto tastando il suo.. insomma, il suo culetto".
"E.. ci indovina?" chiese, esitante ed incredula Cesira
"Se ci indovina? E' assolutamente infallibile, incredibile, prodigioso! Lui tocca, ritocca, poi fa "Francia, sud-est, direi Provenza" e la ragazza, da dietro la parete. "Mais oui!"; poi tocca la prossima: "Cipro, zona turca!" e la ragazza tastata ed individuata annuisce, estasiata. E così per tutte le ragazze, ogni sabato, tutti i sabati, senza mai un errore! Un vero intenditore. Solo una volta ebbi paura che sbagliasse. Sai, sarebbe stato un problema per la sua autostima. Fu quando toccando le natiche della bella sconosciuta di turno al di là della parete, fu visto scuotere la testa più volte, poi titubare, tentennare. I minuti passavano, si profilava il rischio di una débacle dalle pericolose conseguenze sull'intera nazione. Silvio, esitava, pensava, ripensava, ripassava, ritastava... poi una illuminazione gli rischiarò il viso; si erse in tutta la sua altezza e, nel silenzio carico di suspense della sala si udì, sicuro e trionfante, il giudizio: "Italiana, origine siciliana, provenienza raccordo anulare presso uscita Casilina, secondo falò a destra!"; "Sì, sì!" gridò la ragazza, "Urrà!" gridarono tutti i presenti increduli di fronte a questa dimostrazione di stupefacente professionalità. Il signor Silvio, in quella occasione, fu portato addirittura in trionfo. La sua autostima salì fino al limite massimo e la serata, anche quella volta, si concluse bene".

Il Capitano

venerdì 3 febbraio 2012

Gli avevano assegnato il comando, gli avevano dato la loro fiducia, lo avrebbero seguito in capo al mondo. Aveva detto loro del suo progetto, del cammino che era intenzionato a percorrere per realizzare il suo ed loro sogno e loro si erano affidati interamente, ciecamente a lui, affascinati dal suo carisma, dal suo savoir faire, dai suoi atteggiamenti decisi e coraggiosi, da quel suo modo di fare così speciale, agli antipodi di quello così ingessato e curiale dei vecchi capitani, tutti, da quando lui aveva preso il timone, divenuti improvvisamente vecchi, passati, obsoleti.
Piaceva il suo parlare in prima persona: "Farò questo; farò quello; ho deciso di...." e la sua dialettica diretta e alla mano ammaliava le folle, specialmente le donne, tutte perse ai piedi di questo uomo che le corteggiava, le blandiva, le conquistava con il suo comportamento gentilmente virile da maschio di altri tempi.
Pareva che per lui nessun obiettivo fosse impossibile, sembrava che sotto la sua guida fatta di determinazione, coraggio e capacità, ogni traguardo, anche il più prestigioso sarebbe stato raggiunto, ed i suoi seguaci, coloro che lasciando perdere tutte le obiezioni si erano imbarcati con lui in questo lungo viaggio che alla fine li avrebbe portati nel porto sperato, certi delle sue capacità non comuni, gli avevano concesso tutta la loro fiducia ed erano pronti a difendere anche con le unghie il loro comandante da tutte le cattiverie e tutte le calunnie che i suoi avversari, ansiosi di subentrare al suo posto di comando, non cessavano di riversare su di lui.
Poi, improvvisamente, l'imprevisto. Un ostacolo, una distrazione, una sottovalutazione, una titubanza nell'accettare una emergenza ed ecco il materializzarsi di un pericolo.
"Niente paura. Non c'è alcun motivo di allarmarsi. Restate calmi ai vostri posti." Le direttive che si intrecciavano sembravano escludere problemi... e poi, non erano forse guidati dal comandante più capace, più fiero e più coraggioso che ci fosse? Da colui al quale avevano riposto la loro cieca fiducia proprio per l'asserita capacità di affrontare le emergenze?
Non volevano credere ai loro occhi quando lo videro fuggire tra i primi; gettarsi quasi nella prima scialuppa di salvataggio facendosi largo fra la calca, abbandonare velocemente, pavidamente la nave, la "sua" nave. 
"No. Non è lui. Non "può" essere lui" pensavano i suoi seguaci, fedeli fino all'ultimo, al di là perfino dell'evidenza. "Ora tornerà a salvarci; a salvare la  sua nave; a condurla in porto con tutti noi, nonostante tutto, in salvo." continuavano a pensare. Poi lo videro, al sicuro, sulla costa, mentre immobile osservava da lontano, senza fare un moto, senza tradire una emozione, il suo bastimento arenarsi, inclinarsi, affondare.
Dissero poi che era fuggito in albergo, piangendo nervosamente. Non sembrava essere disperato, né pentito. Solo stanco. Uno stanco capitano che solo adesso, di fronte al disastro che non aveva saputo governare, si accorgeva di essere, al di là delle intenzioni e dei proclami, solo un anziano presupponente signore; debole, timoroso e un poco vigliacco che, nel momento del bisogno, si era dimostrato inadeguato per le funzioni di comando che aveva richiesto e che gli avevano affidato.
Da allora nessuno sa dove si trovi. Ogni tanto emette un sospiro, dà qualche flebile segno di sé che la gente non nota neppure, scacciando con un gesto di insofferenza ogni ulteriore manifestazione di chi li aveva traditi in modo così plateale.
La sua nave non esiste più; pare che sarà smembrata in varie parti mentre quelli che avevano creduto in lui giurano che da ora in poi non andranno mai più per mare, chiunque possa essere il loro comandante.
Cercano di dimenticare anche il suo nome che usano, quando non possono farne a meno, storpiandolo. E per spregio lo chiamano: Berluschettino.