Missione del blog

Il Biri, il socio più anziano titolare della celebre Agenzia (*), ha l'abitudine, da anni, di annotare i suoi pensieri, le sue osservazioni e gli avvenimenti che gli accadono (anche i meno memorabili) in un taccuino che non mostra a nessuno e del quale è gelosissimo.
Ora, avuto il permesso di visionarlo, l'ho trovato per certi versi interessante (come tutto quello che concerne il Biri) e gli ho chiesto perché non lo pubblicasse in un blog. Impresa disperata: il Biri non sa usare nemmeno il telecomando del televisore, figuriamoci il computer! Impietosito ho deciso di aiutarlo e pertanto ecco qui il blog con le pagine del taccuino del Biri che potrete leggere e commentare ricordando sempre che il sottoscritto non si prende alcuna responsabilità del contenuto essendo il suo contributo solamente quello di una collaborazione tecnica e poco più.


Per saperne di più, leggere il post dal titolo: Ouverture.
R.M.

(*) L'Agenzia di Ascolto e Collaborazione Morale della quale parlerò appronditamente in un prossimo futuro su queste pagine.

Roberto Mulinacci

"L'onore e il rispetto" - Tonio e la Tripolina

venerdì 21 settembre 2012

Dopo il grande successo del precedente post dedicato a L'onore e il rispetto" (la pulp-fiction di Canale 5 che vanta un pubblico di telespettatori sempre crescente) voglio adesso dedicarmi ai suoi due personaggi principali, quelli che da soli, "muovono" la sceneggiatura e con le loro azioni permettono alla storia di progredire. 
Senza quindi por tempo in mezzo e senza soffermarmi in noiose digressioni su "quello che è successo" nelle puntate precedenti (chi le ha viste lo sa già, chi non le ha viste non leggerà, presumibilmente, nemmeno questo post e chi sarà invogliato a vedere solo quelle che andranno in onda da ora in poi potrà fare benissimo a meno di un riassunto) esaminerò da vicino il carattere e la psicologia dei protagonisti indiscussi della fiction: Tripolina e Tonio.

"Tripolina"

Giuliana De Sio interpreta la stagionata, ma sempre appetibile puttana, conosciuta da tutti, in paese e nei dintorni, come "la Tripolina" (da notare, in proposito, la  banalità del soprannome: in ogni bordello o lupanare della prima metà del secolo scorso c'era sempre una prostituta dai capelli mori, normalmente quella meno restìa a praticare certi servizi di bassa manovalanza, chiamata con questo simpatico diminutivo). 
Nonostante la non più verde età Tripolina esercita ancora e, sembra, con profitto ed entusiasmo; il suo primo e privilegiato cliente è nientepopodimenoché il Padrino "in person", quello che comanda a bacchetta la gang di mafiosi che aspirerebbe a divenire dominante nel territorio: egli protegge Tripolina fin da quando (si indovina) essa era ancora una giovinetta, e lei  lo ricambia, volenterosamente, somministrandogli appena può (lui) qualcuna di quelle pratiche nelle quali è maestra indiscussa e conclamata. Nonostante la sua professione e benché si dimostri una donna timida e riservata, la Tripolina ha una innata vocazione familiare; di più: la famiglia è la sua stessa ragione di vita. Ma un giorno la vita di Tripolina cambia drammaticamente; alla sua unica figlia (una giovinetta, ignara dell'antichissimo mestiere in cui eccelle la madre, che è stata allevata fino all'età di sedici anni in un convento di suore) appena uscita dal luogo santo dov'era relegata capitano tutte insieme più disgrazie che alla celebre gatta di Masino: cinque guappetti la sequestrano, la stuprano a turno, e alla fine uno di loro la uccide. 
Tripolina non ci sta. Si accorge subito che la figlia non è morta suicida (come si vorrebbe farle credere) e indovina anche quale è stato il suo destino cinico e baro. "Basta!" (proclama in cuor suo) e decide di vendicarsi. Detto fatto. Con l'aiuto dei suoi tre figli maschi riesce a conoscere i nomi di tutti coloro che presero parte al tremendo oltraggio e decide di ucciderli tutti, uno ad uno (e per non sbagliarsi di nome e nella cronologia degli ammazzamenti scrive i nominativi dei predestinati in un libretto che legge poi a voce alta al cimitero davanti alla tomba della figlia - e da questa scena capite subito il grado di verosimiglianza dell'intera fiction -). Il primo viene prima torturato a sangue e poi decapitato con un'accetta dalla stessa Tripolina (!); il secondo viene ucciso da un figlio della buona donna (in senso ironico) in un modo talmente orribile da esser ritenuto dagli stessi autori della fiction (due; sono due i responsabili di questo guazzabuglio) assolutamente impresentabile: le modalità della sua morte avvengono fuori-scena e il suo stesso cadavere non ci viene mostrato direttamente anche se si lascia supporre che debba esser ridotto in condizioni abbastanza pietose: il genitore che corre a vederlo prima dà fuori di matto e poi si spara. Sorge in tutti una domanda: cosa diavolo successe al giovane stupratore? Quale morte gli riservò la Tripolina? Fu egli squartato? O triturato? Forse fu macinato? ridotto in poltiglia; affettato? Niente: gli autori non ce lo dicono; sta a noi, esperti estimatori di questo genere di spettacoli, farsene un'idea. 
Adesso Tripolina deve pensare a far fuori il terzo candidato all'obitorio; gli mette alle calcagna i suoi figli ma questo riesce a sfuggire alle loro ricerche... si salva quindi? chiederete. Manco per sogno: il misero fa la fine dei suoi predecessori, salvo che a farlo fuori questa volta è (colpo di scena!) Tonio il Fortebracci, l'altro protagonista della fiction!

"Tonio"

Chi, se non Gabriel Garko, avrebbe potuto (o accettato) di interpretare Tonio Fortebracci, il protagonista conclamato de "L'onore e il rispetto"? Nessuno, spero. Il Nostro (a proposito, da notare l'assoluta inverosimiglianza del cognome di uno che dovrebbe essere l'essenza stessa della sicilianità, ma si vede che gli autori, a corto di un cognome autoctono che avrebbe potuto richiamare alla mente quello di persone pericolosamente viventi, hanno chiesto aiuto alla fantasia) è qui un mafioso che viene fatto uscire di galera dall'Ispettrice Martines (innamorata di lui) in cambio della sua disponibilità a pentirsi. La Mafia subito gli fa fuori (facendoli saltare per aria con la dinamite) moglie e figlioletto; lui risponde facendo finta di esser perito nell'attentato e spedendo la sopravvissuta figlioletta dalle suore (in questa fiction, come c'è da far uscire d scena qualcuno per un certo tempo, lo si manda dalle suore). Poi Tonio (Garko) decide di vendicarsi da solo. Prima manda in bianco per ben due volte l'infoiata Ispettrice che pensava già (dato che l'uomo è fresco vedovo) di papparselo in un boccone (e alla povera donna questo duplice rifiuto non va proprio giù; dopo aver dato per un pò in solitarie escandescenze erotiche la vediamo adesso ormai rassegnata ad una sorta di scipitissimo amor platonico.. scommettiamo che da qui alla fine la darà al primo che gliela chiede?). Strano destino invero quello di Tonio (Garko), quando si tratta di vedersela con le donne.
Tutte sono ansiose di farselo. Quando va al ricevimento che un industriale dà per il compleanno della sua esuberante figlia, non ha ancora varcato la soglia di casa che già trova la giovane festeggiata che fuma spinelli in giardino e che, solo il tempo che lui la guardi e gli dica due o tre bischerate, lo bacia (un bacino) e gli cade tra le braccia. Lui, imperturbabile, la porta dentro casa a  ballare. Qui suscita la gelosia della cugina della ragazza, più bruttina ma non per questo meno disposta a non farsi ripassare dal bel tenebroso. Le due parenti diventano rivali (lui, intanto, se ne frega di loro) e ad un certo punto non riuscendo nemmeno a dormire per l'improvviso arrapamento, se ne vanno a fare un bagno (vestite!) in piscina (sic!). E' una scena cult, nella sua inutile gratuità, una scena da far rifulgere come una gemma di nonsense nel bailamme narrativo di questo incredibile papocchio super-trash. Finalmente la ragazza più giovane, dopo aver offerto uno spinello al Fortebracci ed avendolo lui rifiutato, gli si butta letteralmente fra le braccia. "Ti scongiuro" gli dice lei guardandolo in un certo modo (Attenzione prego: trattasi di notevole bionda con tutte le sue notevoli cosine da bionda al posto giusto) "Fammi un favore, te lo chiedo umilmente. Fai l'amore con me". Indovinate cosa succede adesso? Esatto. "Sei solo una bambina" gli fa lui invece di farsela lì su due piedi "e fumare gli spinelli fa male"  prosegue, e dopo averla così schifata, se ne va, lasciandola (anche lei!) infoiata come una cagna in calore ma ineluttabilmente, tragicamente, colpevolmente in bianco che più bianco non si può.
NdA: A tale proposito viene spontaneo guardare all'atteggiamento del Garko verso le donne. In questa fiction non esiste una donna che non se lo voglia scopare e di queste non ne esiste una che non glielo dica chiaro e tondo.
Lui, inevitabilmente le porta a credere chissà quali mirabolanti avventura con tutta una serie di sguardi, ammiccamenti, sottintesi, risolini compiaciuti, giochi di parole e una varietà di allusioni che smuoverebbero la più vegliarda fra le monache di clausura.. Oltre a ciò non manca mai, il Nostro, dal togliersi la camicia mettendo in mostra la sua celebre tartaruga e tutti i pettorali, quadricipiti e dorsali (che farebbero la meraviglia al Gay Pride World Exhibition) inducendo le poverette a credere di poter toccare il cielo con tutte e due le dita e anche di più. Ma quando, alla fine, stremata, la vittima di turno preso il coraggio a due mani lo sfida direttamente su quel campo ("Ovvìa, ti ho capito. Ora smettila con tutta questa coreografia e vieni qui e dimostrami cosa sai fare.."), ecco che il Garko, indietreggia, tituba, si smarrisce, si sgonfia, si smonta e finisce sempre che se ne va con la coda tra le gambe accampando incredibili scuse pur di non far quello che situazione, occasione, natura, e orgoglio, comanderebbero.

(segue...)













Onore e rispetto? Ma mi faccia il piacere...

sabato 15 settembre 2012

Insomma, pensatela come volete ma a me la fiction di Canale 5 "L'onore e il rispetto" mi affascina. "Perché" chiedete? Guardatela, almeno per una puntata; guardatela e converrete con me che mai si è vista una roba come questa sui teleschermi di casa nostra. Sì è vero, il primo impatto, quello che si matura nei primi venti minuti di visione, potrebbe essere quello, comprensibilissimo, di etichettare il lavoro dei registi (due, ne hanno chiamati, non ne bastasse uno a preparar 'sto minestrone) come la solita "boiata pazzesca", ma...
Ma bisogna pur dire che c'è boiata e boiata. E "L'onore e il rispetto" è (fino ad oggi, ma non mettiamo limiti alla provvidenza fictionesca) la boiatona per autonomasia, la Madre di tute le boiate, il capolavoro boiatesco tout-court.
Ma qual'è la componente che lo rende così boiatescamente perfetto? Ecco il punto: non c'è una componente in particolare; nella fiction di Canale 5 (il martedì, ore 21 e 20) tutte le componenti presenti in una fiction che dovrebbe (e potrebbe) esser drammatica si integrano a perfezione nel produrre l'effetto finale, quello per cui, a mio avviso, "L'onore e il rispetto" merita attenzione.
Certo non dipende solo dal soggetto non proprio originalissimo (la solita Mafia, i soliti pentiti, la solita droga, le solite forze dell'ordine, la solita corruzione ecc. ecc.) né dalla scarsezza conclamata di alcuni attori (Garko fa tenerezza come alterna le due sole espressioni di cui è capace: vestito o a torso nudo) alcuni dei quali usati in ruoli insoliti (mi auguro) per loro: la De Sio in quello della puttanona "cuore di mamma"; la Martines nei panni di una frustratissima Ispettrice di Polizia alla continua -ma fino ad ora insoddisfatta- ricerca di una liberatoria trombata col Garko di cui  sopra; la Torrisi vilmente sprecata in statiche scene di erotismo da oratorio). E posso condividere le vostre critiche all'ambientazione banale e didascalica, ai personaggi ad una sola dimensione e a molto altro.... ma rimango della mia idea: "L'onore e il rispetto" è "nel suo insieme" il vero capostipite di un sottogenere pulp che comprende lui solo e che solo lui ha contribuito a creare; un genere che potrei denominare il "caponata-splatter".
Innanzitutto c'è già l'uso delle inquadrature (sempre in continuo movimento longitudinale o circolare) e del colore accesissimo (dove imperano i gialli, gli arancioni, i rossi accesi e i blu cobalto) a dare alle scene una ambigua connotazione post-gotica amplificata dall'abuso del primissimo piano e dalla pazzesca incessante colonna sonora che non la smette mai di anticipare, commentandole con effettaci "di colore", quelle che dovrebbero essere le situazioni più paurose o più cruciali della fiction, ma sopratutto la "colpa" è della sceneggiatura che sembra scritta saccheggiando a più mani le opere della letteratura e del cinema più popolare (con rimandi a: l'immancabile "Padrino", "Profondo rosso", "La muta di Portici", Lady Macbeth, "La lupa", Maria Goretti, "Pulp Fiction", "La tarantolata di Petralìa Sottana", "Justine o le disgrazie della virtù", "il Gattopardo" e le storie siciliane di Cicciu Busacca) condendole poi con le più consolidate banalità e stereotipi riguardanti i conclamati usi e costumi del popolo siciliano.
Un breve riepilogo delle prime puntate può aiutare a capire da dove proviene l'insolito fascino(?) di quest'opera così sgangheratamente estrema.

Riassunto:
-Ramo di Garko-
Garko, ex mafioso, può finalmente uscire di prigione: pagato il suo conto con la Giustizia ora vorrebbe solo poter vivere in pace con la famiglia, ma viene convinto dalla battagliera ispettrice di Polizia Alessandra Martines (perdutamente e segretamente innamorata di lui) a collaborare con l'Antimafia: solo una sua deposizione potrà smantellare la potentissima Cupola palermitana. L'ispettrice non deve faticare molto a convincerlo: Garko accetta di pentirsi senza chiederle niente in cambio (con di lei sommo disappunto, essendo la fedele Custode dell'Ordine dispostissima a donargli, per farlo accettare, il fiore, se pur appassito, della sua virtù). La Mafia, venuta a conoscenza delle sue intenzioni pentitesche cerca di farlo fuori, ma fa cilecca: la bomba che doveva far saltare in aria la famigliola accoppa la moglie e il tenero figlioletto lasciando incolume il Garko stesso e la figlia adolescente che viene subito presa in carico dalla premurosa ispettrice che la nasconde in un collegio tenuto dalle suore (sic!).
Garko decide di vendicarsi: vuole far fuori l'intera organizzazione mafiosa colpevole di così orrendo delitto e si allea col vecchio Burattinaio (un vecchio boss mafioso stile Marlon Brando-Don Vito Corleone che un giovane mafioso rampante vorrebbe defenestrare). Per conquistarne la fiducia si fa mandare a New York (rifatta in studio) dove entra nell'Organizzazione della Droga. In breve riesce a farsi credere da tutti un vero mafioso (come in effetti era), risolve un certo caso per il Burattinaio e torna subito in Sicilia da trionfatore (non prima di aver mandato in bianco una spettacolosa spogliarellista che si era denudata a bella posta per concederglisi; ma si sa, lui non si lascia attrarre da simili cose, il cretino!).
Ora può dedicarsi alla sua tremenda vendetta, e dopo averlo annunciato alla povera Martines, che lo aveva incontrato nella notte speranzosa di ben altri, e più porcaccioni, sviluppi, sparisce nella notte accelerando la sua 1100 e  lasciando la povera Ispettrice ancora una volta in bianco. In una scena madre (che mi auguro non sarà dimenticata tanto presto dalle antologie della fiction televisiva) si vede l'infoiata femmina, arrapatissima ma ancora una volta privata così brutalmente dell'oggetto del suo desiderio (avete capito...) che si contorce di brutto nel fango gridando al vento il suo amore mentre la musica di fondo raggiunge toni walchiriani e la pioggia, impassibile, le inonda il viso (davvero: vedere per credere!).
Intanto la Torrisi, sorella di uno della banda dei mafiosi rampanti, è incinta di Garko (non chiedetemi dove, come e perché successe il fattaccio) ma quando lo confessa al fratello, questi, lungi dal ringraziarla di volerlo rendere zio, cerca di farla abortire a forza. A tale scopo il farabutto la sequestra e chiama una orrenda mammana perché adempia all'infame bisogna ma la Torrisi, lo sguardo di fuoco, disposta a tutto, impugnato un coltellaccio da cucina, lo minaccia: "Vogghiu teniri o figghiu miu!" urla. Alla fine la vince lei. Viene cacciata di casa: il figlio se lo vorrà, dovrà farselo e allevarselo da sola. Ecco quindi la tapina, incinta, sola, senza marito ma stranamente allegra, che giunge nella sua vecchia casa (ohibò: aveva una casa. Vuota e perfettamente arredata). "Qui starò da sola e darò alla luce mio figlio" ci spiega opportunamente in una sorta di autoconfessione fatta davanti allo specchio di camera. Che potrà succedere adesso? Ci credereste? Arriva Garko, proprio quella sera stessa, proprio in quella stessa casa (dopotutto era anche casa sua in qualche precedente -non vista- puntata). I due, ovvio, non passan tre minuti sono già a rotolarsi nel letto intenti a fornicare castamente (siamo in prima fascia) in una scena incomprensibilmente avara di gemiti, di nudità e di tutti gli effettacci videosonori che si presume si addicano televisivamente a similari abusatissime situazioni.

-Ramo della De Sio-
Ma lasciamo per adesso Garko a concentrarsi sulla sua vendetta (e sulla Torrisi) ed occupiamoci invece della De Sio. E' costei (e ancor più lo era in passato) un celebre puttanone, famosa per aver iniziato alle prime giovanili porcherie tutti i maschi dei dintorni  (i mafiosi del posto la chiamano "la nave scuola"); ora, piuttosto stagionata ma sempre appetibile e in servizio, esercita solo di quando in quando, perlopiù a beneficio di un rispettabile Padrino che la mantiene da sempre e al quale lei deve imperitura gratitudine. La De Sio ha anche tre figli, due maschi sui vent'anni e una tenera fanciulla assai bellina che ella ha voluto preservare dalle brutture del mondo mantenendola fino all'età di anni sedici in un collegio tenuto dalle Orsoline. La dolce ragazza è ingenua e pura siccome un angelo; essa è la luce degli occhi di mamma sua: quando esce dal collegio mammà la porta a casa e subito si dà da fare per sistemarla, ma...

-Dite la verità, anche voi a questo punto, benché stremati, volete che prosegua, vero? Va bene, va bene. Continuiamo:-

ma la giovane viene adocchiata dal più strafottente della banda dei giovani mafiosi (quello che vuol defenestrare il Burattinaio) il quale riesce a convincere la tenera agnellina a seguirlo in un casolare. Era un vile tranello: qui la ragazza incontra gli altri quattro componenti della banda di delinquenti... 
Basta: il pudore e l'orrore mi impediscono di descrivere appieno il triste fato della fanciulla: basta dire che in pochissimo tempo la disgraziata si trova a passare dallo stato di ingenua verginella a quello di incolpevole plurispulzellata. Gli infoiati energumeni la lasciano solo dopo aver abusato di lei a loro piacimento e, dulcis in fundo, (si fa per dire) al mattino, viene anche strangolata dal cattivissimo mafioso stupratore non appena questi si sveglia.
La De Sio non ci sta. E quando la sua bambina viene rinvenuta impiccata non crede all'ipotesi del suicidio. Corre dal boss suo protettore ma questi per difendere il figlio (faceva parte della banda degli stupratori, il delinquente!) le dice che per lei è molto meglio se dimentica tutto e le mette in mano un bel paccone di banconote per convincerla. La De Sio capisce che qualcosa di terribile è avvenuto alla figlioletta ma lì per lì non lascia trapelare nulla, anzi, per convincere il boss della sua buona fede, gli sbottona la patta dei pantaloni e gli pratica seduta stante, benché non espressamente richiestane, uno di quei servizi per i quali, ai bei tempi, ella andava, in paese e nel contado,  giustamente famosa.
Poi, tornata a casa, arringa i suoi figli perché provvedano  immantinente a vendicare la loro povera sorella. Anche essi sono mafiosi (per chi non l'avesse ancora capito in questa memorabile fiction TUTTI gli uomini sono mafiosi) che però (l'onore è l'onore, diamine!) non possono far finta di niente: a costo di mettersi contro il boss vendicheranno l'onta che si è abbattuta sulla loro famigliola. A dire il vero uno di essi fa qualche resistenza: vorrebbe, l'ingenuo, sposarsi con una giovane puttanella (per chi non l'avesse ancora capito in questa mitica fiction TUTTE le donne ancora in vita sono puttane) della quale si è innamorato e ritirarsi a godere dei piaceri della vita familiare, ma mamma sua lo mette in riga: "A sposarrìa solu doppu aviri ancisu u fetusi 'cchì desonorarunu a sòreta!" (In questa fiction la De Sio parla così: è anche per questo che "L'onore e il rispetto" è memorabile). I due giovani si armano fino ai denti e, con uno stratagemma riescono a catturare uno dei mafiosi che fecero sì vile oltraggio alla tenera consanguinea. Il misero viene massacrato a sangue e torturato dai due e dalla De Sio nei panni di una Dea Kalì sanguinaria. Alla fine il disgraziato "fa i nomi" dei suoi complici. Questo non lo salverà da una fine orribile: Giulianona, armata di una pesante mannaia, quale novella Giuditta, lo decapita con un colpo solo. Il giorno dopo la testa sanguinante della vittima viene ritrovata in mezzo alla piazza del paese... 
Fine della Puntata. (ma continua...)

La Solitudine del Numero Primo

martedì 4 settembre 2012

La solitudine è una brutta cosa. E se è vero (come è vero) che è brutta per tutti, figuriamoci quanto brutta può essere per chi assaporò un giorno i fasti della popolarità e il dolce profumo del potere ed ora si trova, mutatis mutandis, nella situazione di non avere più alcuna autorità, nessuna influenza sulla pubblica opinione e dovere restar solo come un cane, senza uno straccio di amico.
Del resto, ad esser sinceri, un grande compagnone F******, non lo era mai stato. Era schivo, silenzioso, mancava di dialettica e di spirito e spesso, quando doveva presenziare a qualche festa alla quale era stato invitato, trascorreva il tempo che lo separava dall'ora in cui, finalmente, sarebbe potuto tornarsene a casa, in disparte, addossato alla parete nel lato più buio della sala, sperando in cuor suo di non esser notato da alcuno per non dover intavolare una conversazione che, da parte sua, non sarebbe stata che una sequela di poche frasi sbocconcellate e, per gli altri, incomprensibili. E nonostante che, per qualche inspiegabile miracolo, fosse arrivato a rappresentare il Partito nei più alti consessi politici fino ad esser candidato (lui! F******!) alla carica di Presidente, purtuttavia, anche allora, il suo carattere introverso lo rendeva, agli occhi di chi poteva avvicinarlo, un uomo diverso, un "dropout", un solitario.
Ora, chi si ricordava di lui? D'accordo, aveva ottenuto la carica di Sindaco ed era quindi, a tutti gli effetti, ancora un Numero Uno, ma anche se alle riunioni politiche veniva invitato come prima era evidente a tutti che le sue fortune erano svanite, che la sua ora era fuggita e che il futuro che gli si presentava davanti sarebbe stato pieno di rimpianti e di solitudine ancora più penosa.
Il suo fisico non lo aiutava a superare questa sensazione che a poco a poco si stava trasformando in un vero e proprio complesso: alto, magrissimo, macilento e con lo scarno volto emaciato a incorniciare due occhi grandi e tristi sovrastanti due spaventose occhiaie, il suo aspetto sembrava fatto apposta per allontanare da sé anche le persone più amichevoli e estroverse. Metteva un pò di disagio. Le donne, parlando tra di loro, cominciarono presto a paragonarlo ad un lombrico. Presto tutti, di nascosto da lui ma in ogni occasione, lo chiamarono: il  "verme" e, poiché stava sempre solo: il "verme solitario". 
Pensate che F****** non soffrisse di questa situazione? Il pover'uomo ne soffriva eccome! Ma non riusciva a cambiare né il proprio carattere né, di conseguenza, le cose, e questo la rattristava profondamente fino a procurargli una specie di  dolore quasi fisico. A volte, nelle ore più tarde delle lunghe notti insonni passate a ripercorrere la sua situazione, si alzava e, sceso dal lettone del quale occupava solo la minima parte, traversava la grande camera da letto e, coperto solo dalla lunga, bianca camicia da notte, scendeva nel soggiorno dove si rimirava attentamente nel grande specchio appeso alla parete. Racconta la fida governante, che assistette spesso e non vista a questi fatti, che una lacrima silenziosa scendeva allora sullo scarno volto del suo padrone. Una volta fu udito gridare. La domestica, saggiamente, in questi casi sapeva che era assai meglio non avvicinarglisi, ché il meschino, in preda ad un raptus di follia, avrebbe potuto passare dalle escandescenze ai fatti. Si limitava, la fedele governante, a sbirciare dal buco della serratura, poi, la mattina seguente, uscita a comperare il solito quartino di latte scremato (che insieme ad una prugna secca costituiva la magra colazione del Nostro), raccontava quello che aveva visto alle coetanee (occorre dire che la riservatezza era, fra tutte le sue virtù, quella che faceva difetto alla fida e anziana nutrice). 
-N.d.A.: l'anziana donna, oltre che governante e domestica, a F****** gli era anche nutrice-
"Perché, perché grande Mani (F****** era di religione manichea) non posso anche io avere amici con cui parlare, una compagnia da frequentare, ragazze... (qui esitava, timidamente).. da corteggiare, persone che mi stanno a sentire? Quale è stata la colpa che mi costringe a restare perennemente solo?" diceva egli allo specchio come se questi avesse potuto rispondergli. Poi, aprendo la grande finestra che dava sulla nera campagna e dalla quale nelle limpide notti di luna piena potevano scorgersi le lontane Alpi innevate, alzava i tristi occhi al cielo e scuotendo i pugni verso un invisibile nemico, proferiva orrende bestemmie pagane (la decenza e il timor di Dio impedivano alla pia donna di riportarle per esteso) che risuonando nel livido cielo spaventavano persino i grandi pipistrelli che, a frotte, si radunavano ogni notte presso la sua casa. 
Quando poi seppe che non solo i suoi ex amici ma perfino i compagni di partito si riferivano a lui con quel nomignolo: "verme solitario", la voglia di reagire al suo triste stato di solitudine gli venne meno. Cessò di uscire di casa; rinunciò ad ogni manifestazione di vita pubblica; nessuno lo vide più per interi mesi.

Poi, dopo quasi un anno, la situazione cambiò. F****** a poco a poco era riuscito a trovare in sé le risorse per riemergere da quello stato di abulìa che rischiava di condurlo alla depressione; sforzando la propria volontà riuscì finalmente a maturare la convinzione di potercela fare. "Devo tornare in pubblico; devo mostrarmi brillante, arguto, spiritoso, sagace... il "verme solitario" di una volta sarà solo un ricordo. La gente mi rispetterà" si ripeteva allo specchio in una sorta di parossistico training autogeno. E si fregava le mani.

Venne il gran giorno.
L'occasione che avrebbe sancito il suo ritorno in politica era stata programmata con cura; non un dibattito pubblico su temi d'attualità e nemmeno una partecipazione come referente ufficiale ad una conferenza stampa dove avrebbe avuto puntati su di sé le telecamere di mezzo mondo; per la sua prima apparizione in pubblico dopo così lunga assenza era stata scelto un Evento culturale: la Settimana della Scapigliatura Milanese (nota corrente letteraria in voga all'inizio del secolo scorso). All'inaugurazione della Settimana (dove sarebbero state presenti tutte le televisioni nazionali nonché politici e giornalisti dei quotidiani più diffusi), F****** avrebbe dovuto tenere il discorso d'apertura e successivamente presenziare in prima fila alle recite dei componimenti degli Scapigliati, conferendo in tal modo a tale rassegna, una valenza politica (oltre che un valore letterario) che, oltre a favorire il Partito, lo avrebbe riportato in auge tra i suoi compagni e tra i primi nel gradimento del pubblico.
All'inizio tutto andò bene. La prolusione del Nostro sembrò incontrare il favore del pubblico al punto che, al termine del suo preciso intervento, detto per una volta con voce ferma e piglio deciso, si levò nella sala anche qualche applauso.
"Ci siamo! E' fatta!" diceva tra sé e sé F****** fregandosi le mani: "Sono di nuovo in sella. E ora nessuno parlerà più di me come del verme solitario" concludeva mentalmente, soddisfatto della sua performance.
Poi, sul palco si presentò un giovane il quale dopo aver parlato della Scapigliatura Milanese concentrò il suo intervento sul poeta Ernesto Ragazzoni, descrivendone l'indole ribelle, la produzione poetica e la sua morte prematura.
"E adesso" disse poi, "per commemorarlo degnamente permettetemi di leggervi una delle sue odi più famosa: l'Elegia del Verme Solitario". E, mentre a F****** cominciavano lentamente a ronzare gli orecchi, quello cominciò a declamare:

"Solo è Allah nel Paradiso
del profeta Macometto,
solo è il naso in mezzo al viso,
solo è il celibe nel letto,
ma nessun da Polo a Polo
come me sul globo è solo,
né mai fu, per quanto germe
ebbe lume nel lunario,
perch'io solo sono il verme,
lungo verme
cupo verme
bieco verme
cieco verme
triste verme
solitario"

"Ma... cosa.. che succede? Come è possibile?" F****** si contorceva nella poltrona in prima fila, gli occhi vitrei, i pensieri in tumulto.. "Uno scherzo? Una burla? Chi, come perché?" non poteva pensare, non poteva parlare; mentre quello sul palco continuava la declamare imperterrito, lui poteva solo aspettare che quella tempesta che gli si abbatteva addosso terminasse al più presto....
Intanto dal palco quelle strofe saltellanti continuavano impietosamente ad abbattersi su di lui che avrebbe desiderato solo di non esser lì, di essersene rimasto a casa, di scomparire....
Il giovane poeta giunse finalmente all'ultima strofa:

"Pure il giorno verrà, il giorno
che uscirò fuori a vedere
come è fatto il mondo intorno
miserere, miserere,
finirò la vita trista
nel boccal d'un farmacista
pieno d'alcool ed erme-
ticamente funerario,
perché io non son che un verme
lungo....
cupo....
cieco....
bieco....
triste verme
solitario."

L'elegia finì sotto un uragano d'applausi. Che gran poeta era Ragazzoni! E come era bravo il giovane poeta che l'aveva letta così bene! La Settimana della Scapigliatura non poteva cominciare meglio. Poi, tutti cercarono con gli sguardi F****** per vedere come aveva accolto quella performance, forse per udire da lui qualche commento.... ma...
"F******! Dov'è F******?" si udiva da ogni parte..
F****** non c'era più; la sua poltrona era vuota; forse lui era sgattaiolato via, non visto, quando era scoppiata l'ovazione.

Da quel giorno nessuno l'ha più visto.





Mostro cinematografico di Venezia

sabato 1 settembre 2012

Per rendersi meglio conto di come quello attuale sia solo lontanissimo parente (non riconosciuto) di quello che fu il Cinema di una volta, più che mille parole di rimpianto, di rabbia o di sconforto bastano pochi illuminantissimi dati inerenti quella che, con il nome di "Coppa Mussolini" prima e "Mostra internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia" poi, anche oggi, lungi dal dichiarare fallimento per mancanza totale di opere cinematografiche artisticamente valide, viene ostentata come ridicolo vanto da tutta quella miriade di personaggi che la utilizzano solo per alimentare il proprio narcisismo e la propria insopprimibile voglia di apparire ad ogni costo. Che del resto questi cronisti, critici, presidenti di associazioni, politicanti e Alte Personalità non perdano occasione mostrandosi, di elevare lodi sperticate e ingiustificatissime verso prodotti il cui solo merito, semmai ce ne avessero uno, è quello di aver dato lavoro per qualche mese a troupes di cinematografari altrimenti a rischio cassa-integrazione, essendo l'altro e più peculiare obiettivo (quello di essere visti e acclamati dal maggior numero di spettatori ai quali qualunque prodotto cinematografico dovrebbe essere destinato) precluso fin dalla loro gestazione, anzi, dalla loro stessa ideazione. Del resto basta considerare che oggigiorno (e particolarmente, anche se non esclusivamente, in Italia), i film vengono prodotti non da produttori indipendenti che sulle fortune o sull'insuccesso del film rischiano il proprio denaro e la propria reputazione, ma dallo Stato o da sponsor statali o governativi (quali la RAI: a proposito, la Televisione che produce il cinema è o non è roba da matti?), tutti datori di lavoro che sanno benissimo come un soggetto, per essere appetibile, necessiti di alcuni requisiti irrinunciabili: esser riconosciuto di "preminente valore artistico" (!) per usufruire dei contributi statali (in soldoni: lo paghiamo noi); esser gradito ai nostri partner internazionali (per facilitare la sua distribuzione all'estero); non mettersi di traverso alla "political correctness" che ormai imperversa su tutti i campi dove possa estrinsecarsi la creatività, diciamo così, divulgativa o artistica in senso lato.
Ricordiamo alcuni capisaldi dello specifico cinematografico:
I prodotti del Cinema (i film) vengono realizzati per essere mostrati (a pagamento) ad un pubblico, il più vasto possibile, e,
qualunque attribuzione di artisticità ad un film è "sempre" arbitraria e assai poco universalmente riconosciuta anche per la difficile determinazione (nonostante quello che ne pensasse Bazin) dell'Autore di un film. Figuriamoci l'autorevolezza del giudizio di una Commissione Governativa (ergo politica) che riconosca a priori (dato che gli elargisce i finanziamenti) l'artisticità o meno di certi film!
Il fatto è che al Cinema oggi, non ci va più nessuno. Le sale cinematografiche chiudono ovunque e, le poche volte che si riempiono, non lo fanno certo nell'occasione della presentazione delle opere "artistiche" premiate al Festival di Venezia. 
Con queste premesse e questi dati di fatto l'unico modo che potrebbe avere una Mostra d'Arte Cinematografica di onorare il Cinema sarebbe quello (e non sarebbe poco!..) di far rivivere sugli schermi del Lido, e poi nelle sale italiane, i film di una volta, quelli che piacevano, quelli che riempivano le sale, quelli che rappresentavano le emozioni, i sentimenti, quelli che oggi non si sanno (e non si possono) fare più.
Alcuni dati potranno aiutare a comprendere meglio quanto ho affermato fino ad ora cominciando dalle edizioni degli Anni Trenta:
Nel 1932 erano in concorso, tra gli altri:
"Frankenstein" di Whale, "Doctor Jekyll" di Mamoulian, "A' nous la liberté" di Clair; 
nel 1934 vinse "L'uomo di Aran" di Flaherty e Capra presentò "Accadde una notte"; 
nel 1935 erano in concorso: "Anna Karenina" con la Garbo, "Capriccio spagnolo" di Von Sternberg con la Dietrich e "Il traditore" di John Ford;
nel 1936: "E' arrivata la felicità" di Capra (un film che viene riproposto continuamente anche ai giorni nostri):
nel 1937: "Carnet di ballo" di Duvivier e "La grande illusione" di Renoir;
nel 1938: "Olympia" della Riefenstahl e "Biancaneve e i sette nani" di Walt Disney;
nel 1939 "L'angelo del male" di Renoir...e così via ngli anni successivi, tutti film (per i quali si può applicare l'attributo di "artistico") acclamati dai pubblici di tutto il mondo (nonché campioni di incassi) che sono entrati a far parte non solo della storia del cinema, ma della nostra cultura "tout court".
Per quanto riguarda il dopoguerra basta ricordare il 1946 anno in cui erano presenti alla Mostra: "Amanti perduti" di Carné, "Paisà" di Rossellini e "Enrico Quinto" di Laurence Olivier; negli anni successivi la Mostra ospitò (e a volte premiò) i migliori film del Cinema Internazionale, moltissimi dei quali sono anche oggi riconosciuti di valore assoluto...
E oggi?
Diamo una veloce occhiata ai film che hanno vinto la manifestazione negli anni Duemila (spero di riportare senza errori i nomi dei registi):
2000: Leone d'Oro a "Il cerchio", di tale Panahi, iraniano; il Premio Speciale della Giuria andò a... Buddhadeb Dasgupta per "Uttara";
2001: "Monsoon Wedding" di Nair e "Canicola" di Seidl; 
2002: "Magdalene" di Peter Mullan e "Oasis" di Lee Chang-Dong;
2003: "Il ritorno" di Zviagintsev e "Zatoichi" di Kitano;
2004: "Il segreto di Vera Drake" di Leigh e "Mare dentro" di Amenabar;
2005: "I segreti di Brokeback Mountain" di Lee e "Les amants reguliers" di Garrel;
2006: "Still Life" di Zhangke e "Cuori" di Resnais;
2007: "Lussuria" di Lee e "Redacted" di De Palma;
2008: "The Wrestler" di Aronofsky e "Bumaznyj soldat" di Aleksey german jr. (roba da chiodi!);
2009: "Lebanon" di Maoz e "Soul Kitchen" di Akin;
2010: "Somewhere" di Sofia Coppola (questo l'ho visto ed mi è parso veramente mediocre) e "Esssential Killing" di Skolimovsky;
lo scorso anno infine vinse il Leone d'Oro "Faust" di Sokurov mentre il Premio della Regià andò a "Terraferma" di Crialese.
Avete letto tutto? Avete capito quale è il problema? Quanti di voi hanno visto non dico tutti, ma almeno uno dei film qui sopra elencati? Quanti di questi film hanno la più remota possibilità non solo di poter esser rivisti negli anni che verranno, ma anche di essere semplicemente ricordati al di fuori delle semplici statistiche. La verità è che nessuno (al di fuori di chi li ha fatti e, forse, di chi li ha premiati e recensiti) li ha visti. E anche a chi li avesse voluti vedere non sarebbe stato possibile perché la stragrande maggioranza di quei film NON SONO MAI STATI PROIETTATI AL CINEMA. Una Mostra del Cinema premia dei film "artistici" che la stessa distribuzione cinematografica non reputa opportuno far vedere agli spettatori (prevedendo verosimilmente che la gente non andrebbe a vederli)! Un pittore che dipinge dei quadri prima di seppellirli nel giardino di casa! Poeti che scrivono poemi per poi stracciarli dopo averli declamati a pochi intimi! Avete capito perché il Cinema è finito e quello che va in onda ogni anno a Venezia corredato da sovraesposizione mediatica non è che un vuoto simulacro di quella che fu definita la Settima Arte?
Si tiene in vita un morto (il Cinema) per scopi triviali (guadagnarci sopra del denaro pubblico). Vergognatevi!
Beh, ora che mi sono sfogato, visto che piove, vado a rivedermi "Cantando sotto la pioggia" (di Stanley Donen, con Gene Kelly). E so che non resterò deluso.