"Siamo pronti: i magistrati di Milano hanno rotto gli indugi" aveva detto, fregandosi le mani, la Boccassini: "non resta che consegnare nelle mani del Presidente del Consiglio questo mandato di comparizione, e l'avremo fatta finita per sempre con l'Usurpatore" aveva proseguito Ilda (detta "la Rossa") mandando in visibilio torme di girotondini, ecologisti fotovoltaici, intellettuali di sinistra e Fini.
Così, si erano appostati davanti alla villa del Cav in fiduciosa attesa. C'erano proprio tutti: Ilda, che avrebbe avuto l'onore di consegnare il mandato al Cav spedendolo così al gabbio, una decina di Carabinieri agli ordini di un giovane Capitano, forze dell'ordine in assetto antisommossa e tutta la solita folla di antagonisti, anarco-inserrezionalisti, precari paleolitici, clandestini democratici, disoccupati organizzati, No-TAV, NO-Dal Molin, pensionati ciggiellini e tutta la dirigenza partidemocratica (comprensiva di alleati, simpatizzanti e Fini) al gran completo. Non appena il Cavaliere Nero fosse uscito dal cancello, sia pure per un attimo, ecco che un capitano dei Carabinieri lo avrebbe avvicinato consegnandogli il mandato; da quel momento il Cav avrebbe dovuto seguirlo con le buone o con le cattive in Tribunale da dove (Ilda la Rossa lo aveva garantito personalmente ai dirigenti piddiini), non sarebbe più uscito.
Però anche oggi le ore passavano e del Presidente nessuna traccia.
Un giornalista de "La Repubblica" notoriamente il giornale più informato sulle abitudini del Presidente del Consiglio non aveva dubbi: "C'è, c'è" assicurava, forte delle soffiate sugli spostamenti del Premier che la Procura, come sempre, gli trasmetteva in anteprima; ma tra gli altri cominciava a farsi strada lo scoramento.
"In casa è in casa" aveva assicurato Vendola che aveva avuta la preziosa notizia dal cuoco filippino di Arcore, di cui era diventato amico dopo averlo conosciuto per caso andando a fare la spesa all'Esselunga.
"Vai, vai. Fai con comodo" fece Bersani "che tanto quando torni il tuo padrone non lo ritrovi di certo" e fece un sorrisino per fare il simpatico ma lungi dal riuscirci (Bersani simpatico è una contraddizione in termini, diceva sempre D'Alema) fece innervosire la Bindi che lo zittò con un perentorio: "Ma stà un pò zitto te, muso vieto!".
Passarono altre ore. Alla fine D'Alema, convinse la Bindi a cercar di far uscire fuori il Cavaliere con l'inganno.
Ecco il piano dalemiano. Il capitano dei carabinieri avrebbe suonato alla porta e, non appena il Cav avesse chiesto "Chi è?", la Bindi, imitando la voce di una celebre peripatetica romagnola ben nota al Premier, avrebbe risposto "Mo sciòn ben io, tesoro, sciòn la tua Tamara".
A questo punto il Cavaliere avrebbe aperto la porta senza sospettare di niente (secondo D'Alema) e, oplà!, si sarebbe trovato di fronte il capitano dei Carabinieri che gli avrebbe consegnato il foglio col mandato di comparizione. Preso, accompagnato, impacchettato, condannato, imprigionato. Fine del Cavaliere Nero. Fine dell'incubo piddiellino. Fine di tutto. Ora tocca a noi, compagni: si ricomincia! I piddiini non stavano nella pelle.
Eccoci dunque. La Bindi suona alla porta: driiiin!. Silenzio. La Bindi risuona: drrriiiiin!!. Non succede niente.
La Bindi, subodorando un inganno comincia a chiamare a voce altissima: "Tesoooro!! Silviuccio!! Sono la tua Tamaraaa!! Apri che ti porto in Paradisoooo!"; poi, lasciando perdere la parlata bolognese: "Ma insomma apri, sì o no?".
Attimi di suspense. Niente si muove. Poi, la Camussa, sente un rumore: "Eccolo, eccolo. Ora apre" fa, tutta eccitata. La porta si schiude lentamente. Un uomo si avanza sulla soglia. E' di statura medio-bassa, indossa un doppio petto blu. Pare infastidito.
"Ma si può dormire, insomma?" chiede alzando la mano, stretta a pugno davanti al mento e scuotendola in su e giù due o tre volte come a dire. "Che c...o volete?"; poi apre la mano e la muove allungando il braccio in avanti a voler significare: "Ma ve ne volete annà?".
"E' lui! E'lui!" gridano tutti; "Dagli al Berlusca!"; "In galeraaaa!" bèrciano quelli dei valori. Bersani si frega le mani, D'Alema sorride, poi guarda la Bindi che soddisfatta ammicca a Ilda la Rossa come a dire: "Ci siamo: fai quello che devi fare"; Ilda fa un cenno prestabilito e il Capitano dei carabinieri, il foglio di comparizione in mano, si avvicina all'uomo e gli fa la domanda di rito: "E' lei il signor Silvio Berlusconi nato a Milano, residente ad Arcore, attualmente Presidente del Consiglio?"; e tende il foglio. Tutti aspettano il grande momento; non si sente volare una mosca.
Ma, che succede? L'uomo scoppia a ridere; una risata lunga, gorgheggiante, esagerata che riesce a zittire tutti i presenti. Poi, riacquistata la calma, si volge al Capitano e dice: "Mi dispiace, signor Capitano, ma la persona che cercate non è qui. E comunque non sono io".
Piddiini e affini, stupefatti, si guardano l'un l'altro, muti, attoniti. Ci pensa Ilda la Rossa a prendere in mano la situazione. "Ma lei chi è?" chiede all'uomo. "Permettete che mi presenti. Il mio nome è Juan Rosario Cardoso de Barripalma y Tampiego, per servirla" risponde quello con galanteria ergendosi in tutta la sua (poca) statura; "Sono il giardiniere andaluso del Cavaliere" poi, orgogliosamente: "Ma sono più noto come imitatore, anzi, modestamente, il Re degli imitatori" e pone in mano all'Ilda un biglietto da visita e la propria Carta d'Identità. A Ilda si oscura la vista e la voce vien quasi meno mentre legge a voce alta (in modo che tutti gli altri possano sentire):
"E ora vedete un pò d'andarvene" fa poi quello. E aspetta che sgombrino.
La Boccassini tace, D'Alema, la Bindi, Bersani, la Camussa tacciono. Tacciono tutti. Nell'aria aleggia un grande interrogativo.... poi, il silenzio è rotto dalla voce di Vendola: "Il cuoco filippino!" grida con voce strozzata. "Il cuoco filippino!!" gridano tutti. "Ma quale cuoco filippino" fa Juan Rosario ecc. ecc: "Qui non abbiamo cuochi. I pasti ci arrivano direttamente dal Ritz" e, voltatosi, rientra in casa chiudendosi dietro la porta.
La Bindi afferra Vendola per il collo. "Ma tu non ti sei accorto di niente quando ci hai parlato? Cosa ti ha detto "precisamente" quando gli hai chiesto se il Berlusca era in casa?" incalza come una furia Rosa.
Vendola cerca di ricordarsi: "Mi ha detto: -Cribbio, certo che è in casa! E ora devo andare, mi consenta-"... poi realizza qualcosa e tace.
S'alza un grido da tutti i petti dei presenti, un grido dove la delusione è pari alla disperazione:
"Era lui! Il cuoco filippino era il Cavaliere Nero!". Adesso è chiaro per tutti (anche per Franceschini che fino a quel momento, in disparte, non si era reso conto del perché, del percome nè dove si trovasse). Tutti si allontanano disperdendosi come un esercito in rotta disordinata mentre la Bindi si dà un gran daffare con i giornalisti perché non parlino di quel che è successo. Mentre la Camussa insegue (per menarlo) Vendola che, appena divincolatisi dalla stretta della Bindi, si è dato a fuga disordinata, si ode distintamente la voce stentorea di Bersani che, gli occhi sbarrati, i pugni stretti agitati in alto quasi a sfidare il destino cinico e baro, superando nel timbro e nell'intensità il barrito di cento elefanti grida al cielo tempestoso: "Maledetto Cavaliere Nero! Per questa volta me l'hai fatta ma aspetta a cantar vittoria! Giuro che ti prenderò! Lo giuro."
FINE DELLA ENNESIMA PUNTATA
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