Il grande (a mio avviso) filosofo inglese Thomas Hobbes (1688-1779) nella sua opera più famosa: Il Leviatano, ipotizza che gli uomini, condannati a voler prevalere gli uni sugli altri ("homo homini lupus") onde evitare la loro estinzione cruenta si accordano per delegare ad un terzo (il Leviatano, appunto) gran parte dei loro diritti naturali affinché li eserciti per loro conto essendo essi, a causa della loro continua competizione, praticamente paralizzati e impossibilitati ad esercitarli. Ogni uomo è pertanto costretto a spogliarsi della possibilità di esercitare il diritto, di giudicare, di punire e di imporre la propria volontà sugli altri (cose che creerebbero inevitabilmente tensioni e reazioni impossibili a dirimersi individualmente) e le cede al Leviatano che quindi, forte del diritto che deriva da questo consenso, può far valere su ognuno, imparzialmente, la sua volontà.
Si tratta indubbiamente di una teoria filosofica come molte altre ma essa è oggi indubbiamente attuale.
Una specie di Leviatano (lo Stato) lo abbiamo sempre avuto ma sempre abbiamo cercato di controllare i poteri che gli abbiamo conferito con il cosidetto consenso popolare; periodicamente i cittadini (i sudditi del Leviatano) si recano alle urne dove pensano di esercitare il diritto primario di scegliere coloro che reputano più capaci (sulla base di certi requisiti quali l'appartenenza ad una ideologia apprezzata e condivisa, meriti personali, adesione a certi programmi, ecc.) scegliendo alcuni piuttosto che altri in una lista precompilata (da altri) o più drasticamente delegando alle coalizioni di partiti la responsabilità di scegliere gli uomini di loro fiducia.
Negli ultimi anni questa consuetudine (l'elezione dei controllori dello Stato tramite votazioni) che viene chiamata "democratica", ha però mostrato dei limiti, delle carenze strutturali che ne hanno drammaticamente ridotto l'efficacia.
E' accaduto infatti che nessuno che di coloro che andavano al potere aveva poi effettivamente la possibilità reale di incidere sullo status quo, frenato, ricattato e sviato da mille vincoli quali l'adesione alla sua vera o presunta ideologia, l'"obbligo" (tra virgolette) di non fare niente che potesse danneggiare i poteri che avevano supportato la sua candidatura, e la necessità di non scontentare la propria base elettorale, pena il suo allontanamento a breve termine (alle successive elezioni) dalle leve del comando.
In queste condizioni nessuno ha potuto permettersi di porre rimedio a certe storture o ingiustizie anche evidentissime; nessuno ha potuto veramente riformare la società civile che pensava di averlo delegato, eleggendolo, proprio ad effettuare certi cambiamenti. Chi mai (intendo non solo uomo, ma forza politica o schieramento di coalizione) avrebbe potuto in queste condizioni modificare le pensioni, o aumentare spasmodicamente la pressione fiscale, o incidere sui diritti di alcune corporazioni, o definire ex-novo il diritto di sciopero o le regole che determinano i rapporti di lavoro?
Di fronte a questa realtà è sorta una impasse drammatica che, secondo alcuni, ci avrebbe portato velocemente ed ineluttabilmente alla rovina. Ecco dunque risorgere dalle pagine di Hobbes il nuovo Leviatano: i partiti abdicano ai loro programmi anche se universalmente conclamati, rinunciano alle loro stesse specificità, alle loro ideologie o di ciò che ne rimane sapendo bene che con una certa base da soddisfare e certi nemici da combattere non potranno mai (letteralmente "mai"!) combinare niente di importante, di incisivo, di "rivoluzionario" (in una certa accezione del termine) proprio nel momento che occorrerebbe; e conferiscono a Lui, evocato dal nulla politico ma proprio per questo "puro" e impassibile di fronte a qualsivoglia opposizione popolare, tutti quei poteri che loro, pur legittimati ad usare non hanno saputo (o meglio: potuto) usare.
A loro (i partiti autoesautorati dal potere) non resta che sperare che la crisi (che ha generato questo "mostro" giuridico e democratico) si risolva nel migliore dei modi e comunque in un tempo abbastanza breve perché i cittadini si ricordino alla fine ancora di loro; nel frattempo, voltando la faccia dall'altra parte, facendo finta di protestare (ma blandamente, senza crederci né pensare che gli altri ci credano) ma appoggiando Colui che, venuto da un altro mondo, dal mare, dal nulla, da un'isola lontana e misteriosa (nel nostro caso una Università), da un passato banalmente normale che lo rende però "inattaccabile" e indifferente ad ogni tipo di protesta, cedono mugugnando ma con sollievo quella che poteva essere (che "doveva" essere) la loro prima responsabilità e la loro unica ragione di esistere al nuovo Leviatano riducendosi, di tanto in tanto, a far balenare segni di falsa insofferenza.
Essi sanno benissimo che non sarebbero mai stati in grado di far passare una sola di quelle misure che il Leviatano propone in serie, facendosele approvare - da loro! che non riuscivano nemmeno a idearle!; a proporle!; che le avversavano! - con maggioranze bulgare, giorno dopo giorno, ora dopo ora.
Il Leviatano non deve temere di scontentare una base elettorale perché non ne ha; non può essere accusato di essere incoerente con una sua ideologia, o una sua formazione politica, o una sua storia personale perché non ne possiede alcuna. Il Leviatano, come la figura filosofica di Hobbes, è stato chiamato per "fare delle cose" che gli altri non erano in grado di fare; per questo ha ricevuto da coloro che lo hanno evocato dei poteri che eserciterà a sua discrezione non dovendo rendere conto né ai cittadini (che non lo conoscono), né agli elettori (che non lo hanno eletto), né ai partiti (ai quali è estraneo). La sua forza deriva dall'essere stato chiamato e non essersi proposto, dal non dover sottostare a nessun ricatto elettorale e dal fatto inaudito finora che, riesca o non riesca nel mandato che gli è stato affidato, nessuno gli potrà imputare niente. E' una posizione incredibilmente forte che lo mette nella posizione di "non poter" sbagliare: se fallirà potrà sempre dire di averci provato e tornare nell'ombra dalla quale è venuto ributtando la patata bollente nel campo dei partiti, se invece riuscirà......
Ecco il nòcciolo della questione: se riuscirà. Se il nuovo Leviatano, senza base elettorale se non quella prestatagli dagli impotenti partiti, senza una ideologìa che non sia la sua capacità di conoscere e di aderire a certe regole finanziarie e statistiche, senza alcuna visibilità o esposizione mediatica che non sia quella strettamente inerente ai suoi compiti riuscirà, al di là di ogni previsione, a sconfiggere la crisi e a tirar fuori il Paese dal pantano che rischiava di inghiottirlo, perché mai dovremmo poi tornare al vecchio sistema, quello dei partiti, quello cosiddetto democratico, quello, per intendersi che, oltre ad esser direttamente responsabile di quella crisi non sarebbe mai e poi mai riuscito a farcela superare?
Con quale logica, anzi, con quale diritto i partiti verrebbero a chiedere il nostro voto? E quali programmi ci proporranno sapendo (come noi sappiamo) che non sono e non saranno mai in grado di attuarne uno? E come potremmo dare la nostra fiducia a chi, non riuscendo ad esercitare il potere che gli avevamo conferito, si è ridotto ad approvare le delibere, le leggi e gli atti di chi non sottostà ad alcun controllo popolare?
Il nuovo Leviatano è una esperienza nuova di una forma molto antica di potere che poteva fare a meno del consenso e della legittimazione elettorale. Si trattava di una forma di potere che, a volte, poteva essere molto efficace ma era sempre molto, molto pericolosa. Quella la chiamavano Dittatura; questa del nuovo Leviatano se non è uguale, le assomiglia parecchio. E non mi piace.
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