Non ditelo in giro ma per quasi due settimane ogni giorno ho comprato la Repubblica; non chiedetemi il perché (nemmeno io me lo chiedo): non lo so.
Forse per spirito di sacrificio o è stato forse per sprezzo del pericolo (o del ridicolo) o semplicemente per mettermi alla prova, fatto sta che, puntuale come il caffè del mattino, la prima cosa che ho fatto da quindici giorni appena uscito di casa è stata quella di andare dal giornalaio e, quando quello mi si rivolgeva con aria interrogativa, ordinare (a voce medio alta e guardandomi intorno, come si usa tra i republicones più scafati): “La Repubblica”!
Beh, devo dire che l’esperienza è stata notevole. Innanzitutto non è stato necessario aspettare due minuti buoni come di solito succedeva quando acquistavo il mio solito quotidiano, piccolo, off ground e colpevolmente presente nella lista nera delle pubblicazioni politically uncorrected (e il giornalaio, quando si degnava di volgersi finalmente dalla mia parte non mancava mai di richiedermene il titolo, per esser sicuro di aver capito bene); beh, niente di tutto questo. “La Repubblica!” e, oplà, un solo veloce movimento e, per un misero euro e venti, ecco un fascicolone tosto, importante, deterrente e discretamente pesante che passava nelle mie mani. Un giornale vero, insomma, influente e, dicono, prestigioso.
E che, se pur l’abito non fa il monaco, almeno il giornale fa il buon democratico, ecologico, progressista, solidale, tollerante e, soprattutto, “colto”, l’ho potuto verificare da subito, fin dalla prima mattina, quando, con il giornale “giusto” ancora fresco d’inchiostro, sono andato al bar a prendere il solito caffè, e poi dal barbiere, ed infine a passeggio per il Corso, con gli amici.
Una goduria. Tutti a lanciarmi dei sorrisini, tutti a cercarmi per far conversazione, pronti a perdonarmi anche qualche salace commento di quelli che mi contraddistinguono (dicono), tanto, la Repubblica era lì, nella mia mano, pronta a testimoniare per me che, se pur certe mie affermazioni potevano sembrare stonate o fuori luogo, la mia democraticità era fuor di discussione, la mia fede nell'imparzialità delle Procure adamantina, il mio antiberlusconismo inossidabile. Il problema era semmai dove tenerlo, quel giornale, dato che, come ogni antiimperialista sa, si parla di un fascicolone di decine e decine di pagine (e di diversi etti di peso) che non si riesce a piegare a modo per farlo entrare, come gli altri quotidiani meno progressisti ma più pratici, nella tasca della giacca. A dir la verità il primo giorno ci sono riuscito (con qualche sforzo) ad arrotolarlo e poi a ficcarlo in tasca, ma la povera giacca, che evidentemente non era stata approntata per tale prova, ha subito cominciato a pendere sulla sinistra (la parte dove, appropriatamente, c’era la tasca col giornale) facendomi sembrare uno sciancato, e la tasca si è slabbrata tanto che sono stato costretto a mentire a mia moglie (ché mai avrebbe creduto che un giornale, fosse pure la Repubblica, potesse fare tanto danno) raccontandole di averci messo incautamente un chilo di caldarroste comprate per riscaldarmi un po’ in quella fredda giornata invernale.
Dal secondo giorno mi sono attrezzato. Sono uscito con una borsa di plastica (biodegradabile, giuro!) dicendo che sarebbe potuta servire caso mai avessi trovato da fare spesa al mercato e sono andato alla solita edicola. Quando ho chiesto la Repubblica e l’ho messa nella borsa come fosse uno sfilatino o un cavolfiore, il giornalaio non mi è sembrato sorpreso.
E’ andata avanti così fino a ieri, quando, inaspettatamente, insieme al giornale scalfariano l’edicolante mi ha dato anche il Venerdì! Un supplementone grosso, grasso, a colori, pesantissimo! Ho provato a chiedere se potevo lasciarlo lì, all’edicola, ma il giornalaio, probabilmente avvezzo a tali richieste mi ha subito dissuaso dall’idea convincendomi con una certa aria minacciosa a prendere il grazioso omaggio (sì, il supplemento) e a sgombrare.
Beh, la Repubblica e il Venerdì tutti in una volta sono una dose di cultura troppo forte per le mie forze. Così dopo aver tentato invano di “dimenticare” il supplemento repubblichino al bar (e il barista mi ha sputtanato gridando a voce altissima mentre cercavo quatto quatto di svignarmela: “Signore! Ha dimenticato il suo supplemento!”), di regalarlo ad un barbone (che ha rifiutato il dono con gesti osceni ed oscure minacce) e di gettarlo nel cestino dei rifiuti (non c’entrava!) mi sono diretto alla stazione degli autobus e, con la scusa di un improvviso bisogno, sono andato velocemente e senza dare nell’occhio, in fondo al grande hangar dove parcheggiano i bus. Lì, scesa una rampa di scalini, ho aperto una porta e sono entrato nel vecchio gabinetto della stazione, ormai pochissimo usato perché sostituito da uno più moderno. Sopra la porta, sbiadita, si leggeva ancora la vecchia iscrizione: Latrina.
“Lo lascerò qui” ho detto fra me e me, contento di aver avuto quella bell’idea. “Ci lascerò anche la Repubblica” ho pensato fregandomi mentalmente le mani (sicuro che due settimane di acquisti di quel quotidiano avessero ormai rafforzato abbastanza la mia fede democratica, solidale e progressista). Beh, non ci crederete: quasi non mi è stato possibile.
Quel vecchio gabinetto, lungi dall’essere abbandonato, era strapieno di giornali; copie a non finire di Repubblica e di Venerdì che lastricavano il pavimento, riempivano ogni angolo, traboccavano dai cestini dei rifiuti e formavano pile altissime tutto intorno alla vecchia tazza del WC che sarebbe stata un’impresa anche solo espletare le necessità fisiologiche per cui, tali generi di luoghi, sono frequentati. Da una parte, nell’angolo più lontano della maleodorante stanza, abbandonati e quasi nascosti dietro la scopetta per il water, c’erano diversi DVD abbandonati. Ho provato a leggere un titolo: Benigni legge Dante, e in piccolo: Edizioni Repubblica. Come non solidarizzare con gli anonimi abbandonatori; Benigni che commenta Dante è roba da testate nel muro a ripetizione!
Ho gettato i giornali nell’angolo più lontano e, guardandomi intorno con circospezione, me ne sono tornato a casa più leggero (in tanti sensi). L’esperienza dei miei acquisti de la Repubblica è così terminata. Non è stata male; bisogna infatti sentire tutte le campane, si dice, anche quelle più bècere e incattivite: serve a farsi un’idea, a conoscere le varie opinioni. Ma a me non è servito a niente; io la Repubblica la compravo sì, ma mica la leggevo!
Biri.
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