“Preg/mo Sig. Biri
E’ un po’ di tempo che la posta mi viene recapitata saltuariamente; non più di due volte alla settimana, spesso una. In certi periodi dell’anno il ritardo è enorme; in prossimità di una festività importante, addirittura grottesco. Succede anche che le lettere mi vengano recapitate aperte o con le buste tutte stropicciate e non si contano le volte che la mia corrispondenza va a finire nelle cassette delle lettere dei vicini mentre io mi trovo tra le mani la posta di altre persone che abitano in strade lontanissime dalla mia, che portano un cognome diversissimo dal mio e che comunque mi sono completamente sconosciute. I pacchi poi, quelli non arrivano più e per averli bisogna andar di persona, con l’auto o il taxi, a prelevarli dal deposito più vicino che comunque dista diversi chilometri e non è raggiunto dai mezzi pubblici.
Le chiedo: secondo Lei si tratta di un disservizio o è un comportamento che le Poste Italiane adottano consapevolmente, chissà, forse per modernizzarsi? E nel caso ci fossero invece delle responsabilità queste a chi competono? E, in sostanza: come posso fare per avere la mia posta (compresi i pacchi postali) al mio recapito, in buone condizioni ed in tempi brevi, come una volta?
Grazie e saluti carissimi,
Dott. Poldo Macubi”
Caro Poldo (scusa se ti chiamo confidenzialmente così),
cosa vuoi che ti dica? Le Nuove Poste Italiane ormai funzionano così e né tu né io possiamo farci niente. Io ad esempio ho smesso di lamentarmi per i disservizi che riguardano la mia corrispondenza. Pensa che l’altro giorno, 12 Maggio 2011, ho ricevuto (per meglio dire: ho trovato nella mia cassetta delle lettere) una busta spedita da un noto Gestore Telefonico (sai, una di quelle Associazioni a Delinquere che affliggono l’esistenza di molti poveracci come noi). La busta era indirizzata alla Sig.ra Romualda De Carrubis, abitante in Vicolo del Fischietto a Tegolaia, Provincia di Siena ed era regolarmente priva di timbro postale (un’altra grande novità delle Poste Italiane, adottata presumibilmente per complicarci ancora di più la vita); sotto il francobollo, in blu e in stampatello, una scritta: “Urgente”. Dopo averla girata e rigirata tra le mani ho cominciato a pensare a chi potesse essere il destinatario della missiva. Romualda De Carrubis… uhm.. sembrava il nome di una persona importante, almeno a giudicare dal De; abitante a Tegolaia: o dov’è? Grazie ad una fortunata ricerca sul PC ho potuto appurare che si trattava di una frazione ad una cinquantina di chilometri dalla città in cui abito io. Forse la lettera era importante, mi sono detto. Forse Romualda (la chiamavo confidenzialmente così nei miei pensieri) la aspettava da tempo; forse non riceverla le avrebbe potuto provocare un notevole danno, che sò?, la rinuncia ad un allacciamento, o la perdita di un diritto di precedenza; o forse nella busta c’era un assegno per un rimborso, chissà? …
Sono andato all’Ufficio Postale dove ho trovato una fila di tre o quattro persone in attesa di presentarsi davanti all’addetto; “Meno male” ho detto fra di me “Poca gente: in cinque minuti ho fatto” e mi sono messo in attesa. Dopo due ore ho potuto presentarmi faccia a faccia davanti all’Impiegato Postale. Gli ho fatto vedere la lettera; gli ho detto che era stata recapitata a me ma che io, oltre ad appartenere ad un altro sesso, chiamarmi in maniera diversa, abitare in un’altra via ed in un’altra località di quella della fantomatica Romualda, ero incontrovertibilmente un’altra persona. L’Impiegato non ha voluto sentire ragioni: “Non potrà mica pretendere che ce la ripigliamo noi, vero?” (si riferiva alla busta); “Per quanto mi riguarda questa missiva può averla fabbricata lei, caro signore, dato che non c’è nessuna prova che provenga da questo Ufficio Postale. Non vede che non c’è nemmeno il timbro?” ha fatto trionfante mostrandomi la busta. Era vero: il timbro non c’era, come avevo avuto modo di verificare in altre occasioni. “Perché, il timbro adesso ce lo mettete?” ho chiesto, sardonico. “Neanche per idea, caro signore” ha ribattuto l’impiegato, e dopo un: “Le sarebbe piaciuto, eh?” ed è passato a servire il prossimo cliente che voleva comprare una scatola di pennarelli.
Uscito dall’Ufficio Postale ho cominciato a pensare. Cosa mi conveniva fare? Uno: distruggere la lettera. Dopotutto non era mia; potevo far finta di non averla ricevuta. Non me la sono sentita. Pensa che ti ripensa ho deciso di consultare l’elenco telefonico. Se la Romualda era nell’elenco avrei potuto avvisarla e lei, se avesse voluto, sarebbe potuta passare da me per prendere la sua busta. Nell’elenco non c’era. Ho pensato di mettere la busta in un’altra busta e di mandarla alla De Carrubis ma poi mi sono detto che c’era il fondato rischio che me la ritrovassi, come l’altra, nella mia cassetta postale: se il fottuto postino (chissà chi era: cambiavano ogni settimana!) ragionava come aveva fatto nell’occasione della busta originale la cosa era, più che probabile, certa!
Ho deciso di andare a Tegolaia. Lo so, sono fatto così io, sono “troppo” corretto, ma sarei stato male se non avessi provato in ogni modo a consegnare la missiva a Romualda. Così, l’indomani ho preso la macchina, ho fatto benzina e sono partito alla volta del ridente paesino di Tegolaia. Non ci ho messo poi tanto: in poco più di due ore, dopo essermi perso ed aver ritrovato la strada un paio di volte (o provateci voi ad andare per la prima volta a Tegolaia in meno tempo, se siete tanto bravi!) eccomi nel centro del paese (una specie di aia in mezzo a quattro case decrepite). Il paese era quasi disabitato, poverissimo; non ho visto un uomo o una donna di età adulta: solo vecchi e persone anziane.
Domandato della Signora Romualda (“Ah, la lavandaia!” hanno detto) mi hanno indicato un prato, dietro una casa malandata, dove poche donne erano occupate a stendere i panni su alcuni stenditoi. Mi sono presentato, ho spiegato a Romualda chi ero, perché ero lì e di che cosa si trattava, e le ho fatto vedere la lettera che avevo per lei. Mentre parlavo le altre donne avevano smesso di dedicarsi ai panni e si erano avvicinate e, al vedere questo assembramento (minimo, ma per un paesino come Tegolaia, mica tanto frequente!) anche alcuni vecchi sono venuti a sentire di che cosa si trattasse.
Quando ho chiesto a Romualda quanto tempo era che da lei non passava il postino, l’anziana donna ha alzato la mano sinistra sopra il capo, l’ha aperta, e, sorridendo amaramente, l’ha agitata avanti e indietro come a ricordare qualcosa dei bei tempi andati facendo, con un gran sospiro: “Ehhh! Il postino…..”. I presenti, capito ormai di cosa si trattava, hanno cominciato a rompere le righe e a tornare alle loro occupazioni (si fa per dire..) scuotendo il capo e bofonchiando qualche frase incomprensibile fra le quali però sono riuscito ad isolarne una: “Un postino… occheè“ e poi un’altra: “Io mi ricordo ancora quando la posta arrivava una volta alla settimana…”. Era un vecchio, subito rimbeccato da un altro: “Oh Giulio, ma che ti vòi ricordà te… il postino… Ma lascia perde, và..” e poi a me: “Lo scusi sa, è vecchio” e ancora, a concludere: “La posta qui non arriva. Punto e basta.” Ho immaginato tutta la contentezza di Romualda ad avere finalmente tra le mani, la sua lettera. La povera donna, confusa, non la smetteva più di ringraziarmi e dopo aver girato e rigirato la sua busta tra le dita ha preteso che l’aprissi con lei e gliela leggessi io, forse per cercare di attenuare un po’ l’emozione che l’aveva attanagliata (o forse – mi è venuto il dubbio – perché non sapeva leggere).
Era una comunicazione di uno Studio legale italo-americano che comunicava alla De Carrubis sia la morte di un certo zio Ginetto (emigrato in America sessant’anni prima e sparito nel nulla per decenni), sia il luogo e la data dell’apertura del testamento dello stesso zio (una settimana dopo) avvertendola che, in caso di una sua assenza e di un valida giustificazione al riguardo (essendo lei, Romualda, l’unica erede), l’intero patrimonio del de cuius sarebbe stato devoluto all’Associazione Nazionale per la Riabilitazione dei Cavalli da Calesse Infortunati. Romualda ha voluto che le rileggessi la data della lettera. “27 Marzo 1998” ho sillabato, senza guardarla in viso. Tredici anni prima! Come passa il tempo! Poi, per completezza di informazione, le ho comunicato, cercando di non mostrare alcuna emozione, l’importo del patrimonio di zio Ginetto: 10 milioni di dollari. Romualda è rimasta un minuto buono a capo basso, poi, con un sorrisetto nervoso, ha preso in mano il bordo del grembiule e si è asciugata una lacrimuccia che aveva cominciato a scenderle sulla guancia. Senza salutarmi si è diretta di nuovo verso il prato dove giacevano nell’erba i panni da stendere e ha mormorato: “Eh!... Queste Poste…..”. Senza dare nell’occhio sono tornato alla mia auto e me la sono svignata alla chetichella. Mi aspettavano due ore di strada infame prima di poter essere finalmente a casa.
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