Aritònfa! Per l'ennesima volta, proprio quando ormai sembrava fatta, quando ormai pareva che al Cav non restasse che filarsela in tutta furia lasciando le leve del comando alla pattuglia sparsa degli oppositori... tràkkete! Ci risiamo; ancora fiducia al Cavaliere Nero, ancora la conta dei voti dei deputati che lo premia (e in TV! e in diretta!), ancora il ghigno satanico del Satiro d'Arcore a sbeffeggiare il Partito degli Onesti, dei Diversi, di Quelli-che-Hanno-una-Storia-alle-Spalle.
La moltitudine iperdemocratica e solidale ("milioni-e-milioni.." come dice il TG3), l'eterogenea folla amante del Progresso (ovviamente nel rispetto dell'Ambiente, delle Culture Alternative e della Biodiversità) composta da rifondatori comunisti, teo-dem, girotondini, popolo viola, anarco-insurrezionalisti, indignati antifinanziari, vegetariani rivoluzionari, clandestini extraeuropei, disoccupati organizzati, ospiti dei centri sociali, No-TAV, No-DalMolin, dissidenti storici, gay rivoluzionari, femministe clitorgasmiche, animatrici del "Se-non-ora-quando", studenti veterofuoricorsisti, black-bloc, portatori di calzini turchese e Amici di Franceschini, ci sono rimasti parecchio, ma parecchio male.
Prima hanno cercato di minimizzare la sconfitta ("Hanno vinto, sì, ma di poco..." o anche "Hanno vinto, però meno di quanto speravano...) ma si sono resi subito conto che persino il nòcciolo più duro di quello che restava del proprio elettorato questa non l'avrebbe bevuta.
Allora hanno cercato di trovare un capro espiatorio da incolpare per l'inaspettata, dolorosissima, debacle.
"E' tutta colpa di Pannella!" ha bofonnchiato la Maria Rosaria da Sinalunga aggiungendo poi "Quello str...zo!" che, in bocca ad una signorina dabbene come lei, ha fatto scuotere la testa in segno di biasimo, anche ad un uomo aduso al linguaggio da béttola come Di Pietro.
Poi, a mente fredda, si sono ritrovati tutti intorno ad un tavolo per cercar di realizzare chi potesse essere il vero colpevole della sconfitta. Sono passati alcuni minuti di silenzio; Maria Rosaria Bindi, D'Alema, Vendola, Franceschini e Fassino, ognuno con lo sguardo abbassato in cerca di una motivazione, ragionavano intensamente alla ricerca di chi fra loro poteva aver contribuito a tenere in sella ancora chissà per quanto tempo l'odiatissimo Cavaliere.
Ma chi? Chi poteva esser stato colui ("quello str..zo" secondo la definizione di Maria Rosaria) che poteva aver propiziato con il suo comportamento la disfatta della coalizione anti-premier?
Doveva trattarsi di una persona molto in vista per aver potuto influenzare così negativamente i membri del Parlamento e nello stesso tempo doveva essere un menagramo tale da riuscire a convogliare su di sé e sopra il capo dei suoi compagni di Partito le più avverse forze iettatorie e malefiche del cosmo intero.
Riflettiamo (dicevano); dunque: una persona scontrosa... costituzionalmente antipatica... un perdente nato.... uno sfigato... deve essere uno che può originare in chi lo guarda una reazione oscillante tra il rigetto silenzioso e l'istintivo impulso a reagire con il violento sarcasmo o con il passaggio alle vie di fatto; uno che può indurre chi lo veda e lo ascolti ad appoggiare persino il suo avversario, così, per spregio.
I cinque, avevano alzato gli occhi guardandosi in viso. Ognuno di loro aveva trovato in cuor suo la risposta: il colpevole delle sanguinose sconfitte del Partitone non poteva che essere lui... "Gargamella!" è il grido liberatorio che sale dal petto dei cinque Democratici. "Non può essere che lui. Ancora lui. Pierluigi! Ah, maledetto!" proruppe finalmente Maria Rosaria mostrando i pugni al cielo mentre Di Pietro, celato dietro ad una tenda, digrignando i denti, faceva il gesto come di uno che torce un panno appena lavato per strizzarlo.
E Bersani? Dov'è Bersani? Perché il Segretario Unico, il Fustigatore dell'Immoralità, il Difensore dei Deboli, il Rifugio degli Emarginati non era intervenuto alla cruciale riunione?
Gielle (Gianluigi) dopo l'ennesimo scorno parlamentare si era velocemente eclissato; lamentando una improvvisa incontinenza urinaria era sortito dalla riunione uscendo da una porta secondaria riuscendo, col favore delle tenebre, a far perdere le proprie tracce. L'uomo era in preda ad un subbuglio interiore che gli martoriava la mente; ma com'era possibile? Ancora sconfitto dal cavaliere Nero? Ancora battuto da colui che non aveva mancato di attaccare ogni giorno, per mesi, chiedendone le doverose, sacrosante dimissioni; da quello che aveva definito essere un'Ombra che Cammina, uno finito, uno buono tutt'al più per la pensione? Bersani non si capacitava.
Ma eccolo il Segretario piddiista; seguiamolo attentamente nel suo confuso peregrinare.
Come detto, solo, strisciando lungo i muri per non farsi riconoscere, Bersani è sgattaiolato via da Montecitorio subito dopo la fine della votazione. Chi avesse incontrato lo sguardo di quell'uomo, a stento avrebbe potuto riconoscerlo ma avrebbe avvertito un brivido gelido scorrergli giù per la schiena.
La schiena curva, stretto nella sua giacchetta troppo lunga per la sua figura emaciata, i rari capelli scompigliati, lo sguardo fisso a terra e l'andatura traballante come di colui che è colpito da una calamità troppo grande e improvvisa per poterla sopportare, Gargamella (permettete anche a noi, di chiamarlo familiarmente così) più che camminare arranca come un ubriaco, diretto verso le sicure mura domestiche. Sa che per lui non c'è domani, che i suoi giorni a capo del Piddì sono ormai contati, che i suoi non gli perdoneranno la sconfitta; sa che già si prepara per lui l'epurazione, l'oblìo, l'ignominia dell'allontanamento da quel partito che è stato per lui, negli ultimi anni, casa, lavoro, rifugio.
Entra finalmente in casa, si chiude la porta dietro le spalle, si appoggia la muro. Ora può respirare anche se il suo respiro rassomiglia piuttosto al rantolo ansimante di un febbricitante. E' notte; è solo. A stento riesce a raggiungere la cucina, ad aprire la dispensa, a versarsi un bicchiere di lambrusco (il lambrusco non manca mai in casa di Bersani). Beve a larghi sorsi la rossa bevanda che gli permette, poco a poco, di riacquistare il suo naturale colore livido ed una calma apparente.
Ma poi, improvvisamente, ecco un rigurgito di ribellione in quell'uomo così provato dalle ultime vicissitudini. Apre la finestra ed incurante della pioggia che gli sferza il viso (a proposito: si è messo anche a piovere, nel frattempo) e del bagliore dei fulmini che guizzano da ogni parte, ecco che vuol lanciare ancora la sua sfida, tutto proteso verso il cielo nero, ferito ma non domato, le braccia alzate quasi ad invocare le forze più oscure dell'universo; ancora una volta la sua voce roca sfida il rombo del tuono e fa rabbrividire nelle loro tane i piccoli abitatori dei boschi; il suo grido è un'anatèma minaccioso, mortale, rabbioso: "Maledetto Berlusca! Hai vinto ancora una volta! Ma, ricorda, non finisce qui!" poi, per meglio cementare davanti alle forze del cosmo la sua determinazione, unisce a X gli indici delle sue mani e bacia il punto dove le due dita si incrociano: "Lo giuro!". E il boato del tuono che rimbomba nelle valli par suggellare il tremendo giuramento.
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