L’altra mattina, verso l’ora di pranzo, ho trovato Dario.
Era incavolato nero perché si era accorto di essere uscito di casa senza moneta spicciola e l’edicolante al quale aveva chiesto il suo immancabile quotidiano, l’onnipresente compagno delle sue pause pranzo, non aveva potuto (o voluto) spicciargli la banconota da 100 euro che lui, piuttosto temerariamente, gli aveva presentato.
- Non ti preoccupare - gli ho detto, - te lo compro io il giornale; non andrò fallito.
Si è quasi commosso. Me ne sono accorto dal sorriso che gli ha illuminato il viso e da come, tutto contento, non la finiva di ringraziarmi. Del resto dopo una consuetudine che durava da anni una pausa pranzo senza poter sfogliare l’amata “Repubblica” non rientrava nell’ordine delle cose, non era nemmeno concepibile.. sarebbe voluto dire pasto immangiabile, cattiva digestione, serata storta, giornata rovinata.
- Sai - gli ho detto per stuzzicarlo - che dopo la campagna erotica anti-Cavaliere di Repubblica tirata avanti per mesi con intercettazioni, foto e interviste in prima pagina ad escorts e press-agents (che poi vorrebbe dire prostitute e ruffiani) parecchi, quando si riferiscono a quel giornale lo chiamano la Re-pùbica?
Non era vero e non era nemmeno tanto divertente; era una cosa che mi ero inventato lì per lì, per stuzzicarlo, per invogliarlo a parlare, per voglia di polemizzare un po’ con lui e per passare il tempo, visto che era ancora presto per andare a pranzo.
-Se lo fanno, vuol dire che si tratta di persone che non capiscono niente. E sono sicuro che i giornalai, se intendono bene quello che gli chiedono, il giornale non glielo danno, almeno finché quelli non dicono il nome giusto. Non c’è niente da scherzare su queste cose - ha risposto, rabbuiandosi un poco.
- No - gli ho fatto - c’è da star seri.
- E poi- ho ripreso dopo un minuto, per non mollare l’osso - cos’è questa persecuzione contro il povero Cavaliere: richieste di giudizio, maldicenze, critiche ad ogni piè sospinto qualunque cosa quel disgraziato faccia o dica. Dopotutto - (qui ho calato l’asso) - è stato eletto democraticamente visto che la maggioranza degli elettori lo ha scelto. Pare addirittura che le critiche lo rafforzino, visto che il suo gradimento cresce. Non mi capacito perché a sinistra si comportano come se lui e il suo governo non fossero legittimati a governare. E la democrazia?
Dario non si è scomposto. Si è fermato; ci siamo seduti su una panchina piazzata opportunamente sul bordo di una aiuola.
- Vedi - ha cominciato - la democrazia non vuol dire che la maggioranza è legittimata all’uso del potere sempre e in ogni caso. O meglio, la maggioranza è legittimata all’uso del potere solo se è, come dire? Qualificata.
Lo guardavo fisso.
- Gli elettori del Cavaliere possono anche essere la maggioranza ma non essendo qualificati non sono legittimati a detenere il potere e a governare il Paese - ha proseguito.
- Cioè, tu mi dici che la maggioranza degli elettori di questo Paese, sarebbe delegittimata? E in base a cosa?
- In base alla mancanza di certi indispensabili requisiti culturali, morali e storici.
Non lo seguivo;– Spiegami - gli ho chiesto.
- Requisiti storici gli elettori del Cavaliere certo non ce ne hanno. Da dove vengono? Chi sono i loro precursori? Quali sono le loro radici, i loro antenati, le loro fonti? Quanto ai requisiti morali, poi, converrai che noi li abbiamo tutti: tutti sanno che siamo solidali, multietnici, tolleranti, progressisti, antiimperialisti, antifascisti, pacifisti e amiamo la natura e poiché gli altri sono contro di noi ne consegue che quelli sono egoisti, guerrafondai, intolleranti, reazionari, fascisti nemici dei cibi biologici e dei termoconvettori. Ergo, non hanno nemmeno i requisiti morali.
- Ma non può essercene nemmeno uno tra gli elettori del Cavaliere e della sua coalizione che abbia questi requisiti? - ho insistito.
-Ovviamente no dato che, se li avesse, avrebbe votato per noi - ha risposto sicuro.
Sono restato zitto ma lui ora non si fermava più:
- Quanto ai requisiti culturali poi, lo sanno anche i gatti che la cultura è di sinistra. Chi li gestisce i cinema d’essai, le tavole rotonde, i premi letterari? Chi organizza, partecipa e commenta i dibattiti culturali? E poi un Premio Nobel come Fo o un Premio Oscar come Benigni, quelli del Cavaliere, ce l’hanno? Ce l’hanno un anchor man come Santoro? Eh?- ha chiesto trionfante.
- No - ho risposto subito senza pensarci nemmeno un attimo - Non ce l’hanno davvero.
Eravamo arrivati davanti all’edicola. Prima di lasciarlo per andare a pranzo volevo mantenere la mia promessa; ho tirato fuori le monete e mi sono avvicinato al giornalaio.
- La Settimana Enigmistica e la re-pùbica! - ho chiesto a voce altissima.
Quello mi ha passato in un battibaleno la rivista e il giornale di Scalfari che ho girato in un attimo a Dario. L’ho salutato e l’ho lasciato. Io sono andato a fare "Gli incroci obbligati".
Birituìt
L'ironia
La felicità
Le buone intenzioni
Consultazione
La verità.
Ma come si può definire la verità? Perché alcuni reputano vero un fatto (una dichiarazione, una confessione, una spiegazione, una ideologia, una ricostruzione storica, una teoria, una utopia) e altri no?
Perché si afferma che una cosa è vera? Se quello che ci dicono, o che scrivono, o che ci rappresentano, è conforme alla realtà dei fatti?
Bene; premesso che la Verità (quella assoluta, quella con la V maiuscola) non è di questo mondo, possiamo cercar di dare una definizione della verità (con la v minuscola) terrena.
Per me “Il tasso di verità che accordiamo ad un fatto che non sperimentiamo direttamente risulta dall’aderenza alle nostre aspettative culturali (apprese o sperimentate) dell’evidenza del fatto così come ci viene rappresentato”.
Parlando di tasso di verità (dato che la verità al 100 per 100 non esiste) ecco che siamo disposti a prendere una cosa per vera se la sua descrizione è più o meno conforme a ciò che, per la nostra formazione culturale, siamo disposti ad accettare.
Ma ecco che nascono subito i problemi; la descrizione del fatto ci è esposta da altri ed il nostro giudizio su quel fatto dipende dalla nostra cultura. Poiché un fatto può essere descritto in una miriade di modi (con omissioni, enfasi, punti di vista ideologici, alterazioni varie, mancanza di dati essenziali, ecc. ecc.) e da fonti interessate a provocare un certo tipo di reazione nel destinatario della descrizione del fatto stesso; poiché le formazioni culturali e le esperienze sono tante per ogni essere umano; e poiché possono esserci interessi nella rappresentazione di un fatto ecco che in pratica si può dire che:
a- la verità di ognuno non è che un atteggiamento personale indotto dall’esterno e che
b- la Verità accettata da tutti non può esistere.
A queste condizioni le basi su cui ci regoliamo per destinare ad altri la nostra fiducia, la nostra gratitudine, la nostra stima (e analogamente il nostro odio, il nostro disprezzo, la nostra sfiducia) dipendono quasi sempre non dai fatti (veri o non veri) in sé, ma da noi (come li giudichiamo) e da altri (come ce li propongono).
E allora perché ci danniamo l’anima a perorare certe posizioni, a professare certe ideologìe, a propagandare certezze, a fomentare odii, a concedere simpatie e a sposare tesi che domani, al cambiare di uno dei due termini in gioco (primo: fatti che modificano la nostra esperienza o le nostre conoscenze; secondo: nuovi o diversi mezzi per la presentazione del fatto in questione) possono rivelarsi come mal riposte?
Se il bene e il male, la giustizia e l’ingiustizia, la verità e la menzogna poggiano su basi così fragili come possiamo permetterci “responsabilmente” di giudicare un fatto, un avvenimento, una persona, e a volte un intero popolo, senza rischiare di prendere la posizione sbagliata?
Ecco che la mia posizione può essere, se non condivisa, almeno compresa:
Confessione (1)
I CLASSICI DEL CINEMA IN 3 BATTUTE
THE END
Il Difetto
I FALSI MAESTRI
La saggezza del Biri (3)
"Tutte le cose piacevoli della vita o sono illegali, o sono immorali, o fanno ingrassare"
Woodehouse
l'AFORISMA del mese
"Anche quando le leggi sono scritte, non dovrebbero mai rimanere immutate"
Quanti leggono il taccuino?
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Missione del blog
Ora, avuto il permesso di visionarlo, l'ho trovato per certi versi interessante (come tutto quello che concerne il Biri) e gli ho chiesto perché non lo pubblicasse in un blog. Impresa disperata: il Biri non sa usare nemmeno il telecomando del televisore, figuriamoci il computer! Impietosito ho deciso di aiutarlo e pertanto ecco qui il blog con le pagine del taccuino del Biri che potrete leggere e commentare ricordando sempre che il sottoscritto non si prende alcuna responsabilità del contenuto essendo il suo contributo solamente quello di una collaborazione tecnica e poco più.
Per saperne di più, leggere il post dal titolo: Ouverture.
R.M.
(*) L'Agenzia di Ascolto e Collaborazione Morale della quale parlerò appronditamente in un prossimo futuro su queste pagine.
Roberto Mulinacci
Democrazia qualificata
mercoledì 7 ottobre 2009Pubblicato da Roberto Mulinacci alle 16:36
Etichette: democrazia
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